Come si negozia un accordo fra uno stato e un gruppo terrorista
Lo racconta al Post Jesús Eguiguren, storico leader dei Socialisti baschi, che fu determinante nelle trattative che portarono al disarmo dell'ETA
di Matteo Castellucci

Jesús Eguiguren non è molto conosciuto fuori dalla Spagna. Anzi, a dirla tutta, fuori dai Paesi Baschi. Eppure da storico leader dei Socialisti locali ebbe un ruolo determinante nelle trattative che nel 2011 portarono alla rinuncia alla lotta armata dell’ETA, il gruppo terrorista che attraverso la violenza chiedeva l’indipendenza dei Paesi Baschi dalla Spagna. Ancora oggi Eguiguren è considerato uno dei principali artefici di quel processo di pace, che regge da 14 anni ed è ritenuto uno dei più efficaci dei tempi recenti.
Si può dire che l’inizio della fine dell’ETA sia avvenuto durante una serie di incontri segreti in un casolare a Elgoibar, una cittadina di quasi 12mila abitanti nell’entroterra basco. Dal 2002 Eguiguren iniziò a trovarsi laggiù con Arnaldo Otegi, una figura chiave della sinistra basca abertzale, cioè nazionalista. Otegi da giovane aveva fatto parte dell’ETA, poi se ne era distanziato ma non troppo: ai tempi era il capo di Batasuna, il partito considerato il braccio politico dell’ETA. Otegi era convinto che il gruppo dovesse abbandonare il terrorismo e a sua volta è stato decisivo per convogliare l’indipendentismo di sinistra-sinistra nel sistema democratico.
A mettere in contatto Eguiguren e Otegi fu un loro amico comune, il proprietario del casolare. Le trattative, segrete e condotte per i primi anni senza coinvolgere il governo centrale spagnolo, durarono fino al 2006, quando di fatto fallirono dopo una tregua di pochi mesi. Furono però l’antefatto che pose le basi per altri negoziati, da cui scaturì il cessate il fuoco definitivo.
Eguiguren racconta che nei primi anni Duemila fu un’«intuizione» a smuoverlo e fargli capire che una pace era possibile. Al tempo era già un politico in vista dei Socialisti, in una zona tradizionalmente ostile al suo partito e dove la causa nazionalista era molto radicata. All’improvviso però iniziarono a salutarlo diversi suoi ex compagni di scuola che non lo avevano mai fatto. Per Eguiguren era il sintomo che qualcosa stava cambiando, anche solo in maniera inconscia e sotterranea. Forse, dopo molte violenze, i rispettivi fronti si stavano allentando: e lui era in una posizione privilegiata per provare a mediare.

Jesús Eguiguren con l’allora ministro dell’Interno basco, Rodolfo Ares, durante un evento dei Socialisti a San Sebastián, nell’ottobre del 2011 (REUTERS/Vincent West)
Come i suoi ex compagni, Eguiguren viene da un contesto etarra: cioè dalle zone rurali della provincia di San Sebastián, dove l’ETA aveva maggiori appoggi e consensi. È nato e cresciuto ad Aizarna, un paesino dell’entroterra di neanche 800 abitanti, il più piccolo dei dieci figli di una famiglia contadina. Dice che se non fosse stato per gli studi che per un periodo lo avevano portato lontano, a Parigi, probabilmente sarebbe finito anche lui tra i nazionalisti.
Eguiguren dice che le sue «radici», come le chiama, hanno fatto la differenza e gli hanno permesso di capire la matrice socioculturale dei membri dell’ETA, e intendersi con loro. Parlavano anche la stessa lingua: quella basca. «Ho imparato lo spagnolo solo a scuola. Normalmente i politici, quando diventavano famosi, se ne andavano a Madrid. Invece io non me ne sono mai andato».
Eguiguren, in effetti, ha sempre fatto politica nei Paesi Baschi: è stato presidente del parlamento basco e dal 2002 al 2012 è stato il leader del Partito Socialista nella regione. Ha lasciato la politica quando ha considerato concluso il suo compito, col disarmo dell’ETA (oggi insegna diritto costituzionale all’università di Deusto). Da poco ha raccontato la sua lunghissima carriera in un libro.
«Ho visto tutto lo sviluppo del terrorismo, il suo funzionamento, e il fatto di non essermi mai mosso da qui mi ha permesso di capire prima degli altri che stava cambiando qualcosa». Eguiguren spiega che all’inizio degli anni Duemila si era accorto che l’ETA era nella fase terminale, perché inesorabilmente indebolita dalle divisioni interne, dalle dure operazioni antiterrorismo del governo di destra di José María Aznar, e anche da un certo stigma legato alle operazioni terroristiche dopo l’attentato di al Qaida dell’11 settembre 2001. Quindi, che era possibile dialogarci.
Non erano molti a pensarlo, all’epoca.
La pratica della violenza politica nei Paesi Baschi era considerata quasi ineluttabile. Nei suoi 60 anni di esistenza l’ETA ha ucciso almeno 850 persone, tra cui politici, magistrati e poliziotti spagnoli (soprattutto della Guardia civile) e ferito altre migliaia di persone in attentati e aggressioni. Per la destra spagnola era, ed è tuttora, uno spauracchio da riesumare ciclicamente.

Jesús Eguiguren, a destra, porta la bara di Juan María Jáuregui, ex presidente della Guipúzcoa ucciso dall’ETA nel luglio del 2000 (ANSA/EPA PHOTO EFE/LUIS TEJIDO)
Gli incontri con Otegi acquisirono nuova importanza dopo la vittoria alle elezioni del 2004 di Luis Rodríguez Zapatero, quando un governo Socialista sostituì quello conservatore di Aznar. Eguiguren parlò dei suoi incontri con Otegi al nuovo governo e mediò la stesura di un documento ufficiale dell’ETA dove il gruppo si diceva disposto al dialogo. Da lì in poi ci furono vere riunioni diplomatiche a Ginevra e Oslo, a cui partecipò anche il leader dell’ETA Josu Ternera. Il lavoro di Eguiguren, di fatto, fu preparatorio. Gli incontri segreti chiarirono che il gruppo faceva sul serio e, per converso, Eguiguren suggerì quali garanzie avrebbe chiesto lo stato.
Otegi ed Eguiguren, insomma, si fecero trovare pronti non appena a livello nazionale e locale maturarono le condizioni per coinvolgere il governo nei negoziati. Sarebbe stato impossibile con Aznar, fautore di una linea di totale intransigenza e rifiuto del dialogo (peraltro Aznar perse le elezioni anche per la gestione del gravissimo attentato islamista a Madrid, tre giorni prima del voto, per cui aveva inizialmente incolpato l’ETA). Nel 2005 soltanto i Popolari di Aznar votarono in parlamento contro la risoluzione che autorizzava il governo a trattare con l’ETA.
Un fattore significativo nelle trattative fu che Eguiguren e Otegi si erano concentrati sul lato concreto – su come arrivare alla tregua – lasciando per il futuro le discussioni su quello più politico e quindi più problematico (la legalizzazione di Batasuna, il braccio politico dell’ETA). Per anni Eguiguren aveva promosso la necessità di dialogare, tra le perplessità di molti. «Sembrava che volessi cedere ai terroristi, che fosse irresponsabile alimentare false aspettative. Avevo contro la stampa e anche la direzione del mio partito, ma ero convinto che fosse la cosa giusta», dice oggi.

Jesús Eguiguren, il 27 novembre 2025 (Matteo Castellucci/il Post)
Racconta che proprio il fatto che l’ETA continuasse a fare attentati, assieme all’ostracismo dei media e della politica, fu uno dei rischi più grandi del negoziato. Negli ultimi due anni, però, ottenne dall’ETA l’impegno a interrompere gli attentati mortali in cambio della disponibilità del governo a trattare. Gli incontri in Svizzera e Norvegia portarono a una tregua, tra la fine del 2005 e il 2006, che come detto saltò quando il gruppo cambiò tattica su pressione dell’ala militare più dura. Nel frattempo anche i colloqui si erano incagliati, quando appunto si erano addentrati nella parte più politica.
Quella tregua fu la penultima, prima di quella definitiva. «Fu difficile perché l’ETA continuava a uccidere. Per esempio, se uccidevano un mio compagno di partito o un mio amico sospendevamo le riunioni per 15 giorni. Ma noi ci eravamo promessi che quello che succedeva fuori non importava». Quando anche quel ciclo finale di violenze si interruppe, le trattative ripresero e andarono a buon fine.
Solo una volta raggiunta una tregua definitiva Eguiguren ha sentito le conseguenze di anni così intensi. Spiega che all’epoca delle trattative aveva resistito, ma alla fine ha percepito una sorta di «frattura psicologica», che considera il risultato di «dieci anni di tensione». Pensa che la società basca nel suo insieme abbia vissuto qualcosa di simile: un misto di sollievo e fatica per gli anni precedenti.
Eguiguren dice che, da allora, lui e Otegi sono rimasti «grandi amici», e che continuano a vedersi spesso. Oggi non se la sente di dare consigli su altre trattative diplomatiche, come quelle per la fine della guerra in Ucraina o il futuro di Gaza. «Credo però che in tutti i conflitti la chiave sia la tregua. I negoziati sono possibili solo se ci si ferma».



