• Mondo
  • Mercoledì 20 ottobre 2021

La fine dell’ETA, dieci anni fa

Il gruppo terroristico basco rinunciò alla lotta armata il 20 ottobre del 2011, dopo un lungo conflitto per l'indipendenza dallo stato spagnolo e oltre 800 morti

Un'immagine del video del 2011 con cui l'ETA annunciò la fine del conflitto armato (Photo released by Gara via Getty Images)
Un'immagine del video del 2011 con cui l'ETA annunciò la fine del conflitto armato (Photo released by Gara via Getty Images)

Dieci anni fa, il 20 ottobre del 2011, l’organizzazione terroristica basca ETA (Euskadi Ta Askatasuna, che in basco significa “Paese Basco e Libertà”) annunciò la fine definitiva delle sue attività, dopo più di quarant’anni di lotta armata contro lo stato spagnolo. Il conflitto tra l’ETA, che rivendicava l’indipendenza dei Paesi Baschi, e lo stato spagnolo provocò 855 morti, migliaia di feriti e un’enorme destabilizzazione della società. Oggi la sua fine è celebrata in Spagna con sollievo: nei Paesi Baschi la violenza politica è praticamente sparita, anche se secondo alcuni esperti è ancora presto per parlare di una riconciliazione definitiva.

La fine del conflitto arrivò dopo un lunghissimo e difficoltoso negoziato, in cui fu coinvolta anche la comunità internazionale, e che ancora oggi è considerato uno dei processi di pacificazione più efficaci dei tempi recenti: in Spagna il negoziato con l’ETA ha avuto più successo che in Irlanda del Nord con l’IRA e in Colombia con le FARC, altri due processi di pace che si svolsero negli stessi anni e che però, ancora oggi, si portano dietro strascichi di tensione e in alcuni casi di violenza.

Il conflitto tra l’ETA e lo stato spagnolo, tra le altre cose, è stato uno dei più duraturi della storia recente d’Europa.

I primi gruppi che poi avrebbero contribuito alla creazione dell’ETA si formarono durante gli anni Cinquanta nell’ambito dell’indipendentismo basco, in un momento di repressione da parte del regime dittatoriale di Francisco Franco, che allora governava la Spagna. Durante la Guerra civile spagnola, tra il 1936 e il 1939, le forze indipendentiste e autonomiste basche si opposero all’esercito di Franco, e dopo la fine della guerra, con la vittoria dei franchisti, ne subirono la repressione (anche se secondo alcuni storici la repressione contro i baschi non fu più grave di quella subita dai repubblicani in altre regioni).

– Leggi anche: Il bombardamento di Guernica

L’idea di creare un esercito di resistenza e liberazione cominciò a circolare tra alcuni gruppi studenteschi vicini all’indipendentismo basco, inizialmente affiliati con il Partito Nazionalista Basco (PNV), che esiste ancora oggi ed è il principale partito dei Paesi Baschi. Nel 1958, alcuni di questi gruppi studenteschi si staccarono dal PNV e formarono l’ETA, con l’obiettivo di mettere in pratica una strategia di «azione diretta».

L’ETA era un gruppo secolare e di sinistra, e in questo si differenziava dal tradizionale indipendentismo basco, che è in gran parte conservatore e cattolico (il PNV è tuttora un partito centrista). Ma la differenza principale, ovviamente, era la convinzione che il popolo basco andasse liberato con la forza e con il terrorismo, se necessario.

Questo separò l’ETA piuttosto nettamente dal resto delle forze politiche basche, e fu uno dei problemi principali dell’organizzazione: se in Irlanda del Nord il sostegno nei confronti dell’IRA fu sempre abbastanza solido, quello dell’ETA nei Paesi Baschi fu più traballante, e nel corso dei decenni ci furono grandi proteste popolari contro l’organizzazione, specie dopo gli attentati più gravi. Anche il PNV ha sempre condannato le attività dell’ETA, benché secondo alcuni abbia mantenuto alcune ambiguità nei rapporti.

L’ETA ha avuto rapporti ambigui anche con la cosiddetta sinistra abertzale (patriottica, in basco), cioè un complesso di partiti politici e movimenti che nel corso dei decenni hanno avuto vari gradi di complicità e connivenza con il gruppo terroristico, e che però ha avuto un ruolo fondamentale nei negoziati di pace.

L’obiettivo primario dell’ETA era la conquista con la forza dell’indipendenza del Paese Basco, un ampio territorio situato in gran parte nel nord della Spagna e in parte minore nel sud-ovest della Francia. L’ETA operò infatti anche in Francia, dove compì alcuni attentati, e dove alcuni dei suoi leader trovarono rifugio dalle autorità spagnole. Il grosso del conflitto, tuttavia, si svolse in Spagna.

Il primo atto violento dell’ETA avvenne nel 1961, quando un gruppo di miliziani tentò di far deragliare un treno su cui viaggiavano alcuni franchisti in viaggio per celebrare il 25esimo anniversario della Guerra civile. Il primo omicidio lo compirono il 7 giugno 1968, dopo un lungo periodo di organizzazione militare e ideologica: alcuni membri dell’ETA uccisero a colpi di pistola un poliziotto che li aveva fermati per un controllo di routine. In seguito, i leader dell’ETA dissero che quell’omicidio fu un errore: «Non c’era alcuna necessità che quell’uomo morisse».

Il primo omicidio premeditato dell’ETA avvenne però due mesi dopo, il 2 agosto del 1968, quando fu ucciso Melitón Manzanas, un ufficiale della polizia franchista che era stato molto attivo nella repressione di socialisti, sindacalisti e indipendentisti baschi.

Gli attentati e gli attacchi terroristici proseguirono per i successivi 40 anni. L’attentato più celebre fu compiuto nel 1973 contro l’ammiraglio e primo ministro Luis Carrero Blanco, che al tempo era stato designato come il successore di Francisco Franco. Carrero Blanco fu ucciso con un’autobomba che lasciò un piccolo cratere in una strada di Madrid, e la sua morte, oltre a dare un’eccezionale legittimazione al gruppo terroristico, mise in crisi anche il regime franchista: Franco morì soltanto due anni dopo, nel 1975, senza lasciare eredi politici.

Il luogo dell’esplosione in cui fu ucciso Luis Carrero Blanco (Keystone/Getty Images)

L’ETA compì anche gravi attentati terroristici, alcuni dei quali uccisero decine di civili e furono condannati in tutto il paese.

L’attentato forse più grave fu quello contro il centro commerciale Hipecor, nel centro di Barcellona.

I miliziani parcheggiarono un’autobomba piena di esplosivo, e come avviene spesso in questi casi chiamarono la polizia per dare l’allarme e far sgomberare l’edificio (è una tattica usata da molti gruppi terroristici di matrice politica, che mirano a compiere danni contro infrastrutture ed edifici minimizzando le vittime civili). L’allarme fu però ignorato, sia perché in quel periodo i falsi allarmi bomba erano tantissimi (la polizia di Barcellona ne aveva ricevuti 12 soltanto quel giorno), sia perché l’ETA non specificò che l’attacco sarebbe stato fatto con un’autobomba: la polizia si aspettava un pacchetto esplosivo, e quando la dirigenza del centro commerciale confermò che non era arrivato niente si convinse che si trattava di un falso allarme. Ci furono 21 morti e 45 feriti.

Nel corso dei decenni l’ETA uccise anche diversi politici baschi considerati collaborazionisti, e membri di associazioni della società civile che chiedevano la fine delle violenze.

Il conflitto con lo stato spagnolo fu comunque molto duro, e in alcuni momenti si trasformò in una “guerra sporca”: si formarono gruppi paramilitari che sequestrarono, torturarono e uccisero vari membri dell’ETA. Alcuni di questi gruppi, in seguito, furono collegati da varie inchieste dapprima al regime franchista e poi ad alti esponenti dei partiti politici spagnoli.

Con la fine del regime franchista e l’instaurazione della democrazia in Spagna, diversi governi tentarono di porre fine al conflitto, senza riuscirci. La fine del franchismo e il processo di transizione alla democrazia, però, tolsero all’ETA una parte consistente delle sue motivazioni ideologiche, e indebolirono progressivamente il gruppo, che pure continuò a fare grossi attentati per tutti gli anni Ottanta e Novanta.

Negli anni Novanta, anzi, l’ETA adottò una strategia nota come “socializzazione della violenza”, che puntava a compiere azioni particolarmente spettacolari e cruente, per aumentare l’impatto mediatico e sulla società.

La scena di un attentato dell’ETA del 1986 a Madrid, in cui morirono otto poliziotti (AP Photo)

Le cose cominciarono a cambiare agli inizi degli anni Duemila, per due ragioni: anzitutto, il governo conservatore di José María Aznar mise in atto una serie di misure antiterrorismo eccezionalmente dure, che indebolirono l’ETA. In secondo luogo, dopo l’attentato dell’11 settembre a New York, le condizioni per un gruppo terroristico come l’ETA, che pure non aveva niente a che vedere con il terrorismo islamico, diventarono molto sfavorevoli: sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti aggiunsero l’ETA alle loro liste di organizzazioni terroristiche, e a livello internazionale furono applicate varie misure per privare il gruppo di ogni fonte di finanziamento e armamento.

L’ETA era sempre più divisa e indebolita, e seppe approfittarne il socialista José Luis Rodríguez Zapatero, diventato presidente del governo nel 2004.

I primi negoziati si aprirono tra i rappresentanti del governo socialista da un lato (dapprima il capo dei socialisti baschi, Jesús Eguiguren, poi Alfredo Pérez Rubalcaba, allora ministro dell’Interno) mentre dall’altro la figura più importante fu quella di Arnaldo Otegi. Otegi era stato un membro dell’ETA, ma negli anni era diventato sempre più critico nei confronti della strategia terroristica del gruppo, e in quel momento era il capo di Batasuna, uno dei partiti della sinistra abertzale.

I primi negoziati avvennero nel 2005 e portarono a un cessate il fuoco che in realtà durò soltanto pochi mesi: il 30 dicembre del 2006 l’ETA mise un’autobomba all’aeroporto di Madrid-Barajas, uccidendo due persone. Il dialogo si interruppe, ma l’attentato di Barajas creò una spaccatura fortissima all’interno della sinistra abertzale tra chi voleva continuare con la lotta armata e chi voleva porre fine al conflitto. Vinsero questi ultimi, aiutati dal fatto che tra il 2008 e il 2010, in operazioni congiunte della polizia spagnola e francese, tutti i principali leader della fazione militarista dell’ETA furono arrestati.

L’ETA compì il suo ultimo omicidio nel marzo del 2010: fu ucciso Jean-Serge Nérin, un brigadiere della polizia francese, mentre inseguiva dei miliziani che avevano rubato un’auto.

I negoziati ricominciarono nell’ottobre del 2009 e le cose da quel momento si mossero rapidamente, come ha ricordato anche Zapatero in una recente intervista al País: nel gennaio del 2011 l’ETA annunciò un nuovo cessate il fuoco; a febbraio i vari gruppi della sinistra abertzale liquidarono i loro vecchi movimenti e fondarono Sortu, un nuovo partito che per la prima volta nel suo manifesto condannava l’utilizzo della violenza come mezzo per ottenere l’indipendenza: Otegi ne divenne il leader, e pochi mesi dopo divenne il leader anche di Bildu, la coalizione elettorale della sinistra indipendentista basca, che siede tuttora nel parlamento nazionale spagnolo.

Il 17 ottobre del 2011 si celebrò la cosiddetta Conferenza internazionale di Aiete, nella città di San Sebastián: un evento che ebbe valore soprattutto simbolico, ma che segnalò al mondo che i negoziati erano conclusi e che avevano la benedizione della comunità internazionale. Parteciparono, tra gli altri, Kofi Annan, ex segretario generale dell’ONU, e Gerry Adams, che pochi anni prima era stato il protagonista del processo di pace in Irlanda del Nord.

Tre giorni dopo Aiete, il 20 ottobre del 2011, l’ETA annunciò la fine definitiva del conflitto armato, in un videocomunicato storico.

Per Zapatero, una delle ragioni principali del successo dei negoziati fu che, al contrario di quello che era avvenuto in altri casi, l’ETA era già estremamente indebolita quando cominciò il dialogo con il governo, e dunque non chiese «nessuna contropartita».

Questo è un passaggio dibattuto tra gli storici, perché se è vero che non ci fu un’amnistia generale (come è successo per esempio in Colombia), è anche vero che molti dei protagonisti di quel periodo oggi sono attori politici legittimati, mentre centinaia di ex membri dell’ETA non sono mai stati arrestati e ancora vivono in clandestinità.

La dismissione delle strutture terroristiche dell’ETA proseguì negli anni successivi: nel 2017 il gruppo consegnò tutte le sue armi (comprese tre tonnellate di materiale esplosivo); nell’aprile del 2018 fece una parziale ammissione di colpa («Siamo consapevoli che in questo lungo periodo di lotta armata abbiamo provocato molto dolore») e nel maggio del 2018 si sciolse definitivamente, pur sostenendo che il conflitto per l’indipendenza dei Paesi Baschi non era terminato.

Oggi i Paesi Baschi sono di fatto pacificati, e Bildu, l’erede della sinistra abertzale, è una forza politica riconosciuta sia a livello locale sia nazionale.

In occasione del decimo anniversario della fine della lotta armata, tuttavia, il País ha parlato con diversi storici ed esperti, che hanno spiegato come la riconciliazione non sia ancora completata del tutto.

Secondo lo storico Luis Castells, per esempio, «l’ETA è stata sconfitta ma non ha perso legittimità. Un settore della società basca continua a non rifiutare la volontà passata del gruppo di imporre la propria ideologia con la forza». Un altro problema, secondo altri storici sentiti dal Páis, è che il processo di riconciliazione è stato sostituito almeno in parte con il tentativo di dimenticare quanto accaduto, di superarlo come qualcosa di ormai passato, e questo è un problema non soltanto per le famiglie delle vittime, ma anche per la coesione della società basca.

Un altro tema di fatto irrisolto è quello dei cosiddetti “presos de ETA”, cioè delle centinaia di persone arrestate nel periodo della lotta armata, e di cui gli indipendentisti ancora oggi chiedono la liberazione.

Un esempio delle tante difficoltà della riconciliazione è lo stesso Arnaldo Otegi: pur avendo avuto un ruolo fondamentale nel processo di pace, Otegi ha sempre mantenuto una posizione molto ambigua nei confronti dell’ideologia dell’ETA. Tra le altre cose, non ha mai voluto commemorare esplicitamente le vittime dell’ETA, e per dieci anni durante gli eventi e le cerimonie pubbliche ha sempre usato la locuzione «tutte le vittime», comprendendo sia quelle dell’ETA sia quelle della repressione dello stato.

Ha cambiato idea per la prima volta soltanto due giorni fa, alla commemorazione della conferenza di Aiete, quando ha detto che «le vittime della violenza dell’ETA» meritano una commemorazione «speciale». È la prima volta che un esponente della sinistra abertzale lo dice.