Il caso dell’imam di Torino che rischia l’espulsione per le sue dichiarazioni sul 7 ottobre
Oltre all'assalto alla redazione della Stampa, dopo il suo arresto ci sono state varie manifestazioni in suo sostegno

L’assalto alla redazione della Stampa da parte di un centinaio di manifestanti filopalestinesi ha attirato molte attenzioni sul caso di Mohamed Shahin, l’imam di Torino che dallo scorso 24 novembre è detenuto nel CPR (centro di permanenza per il rimpatrio) di Caltanissetta, in attesa di essere espulso. I manifestanti che hanno partecipato all’assalto si erano staccati da un corteo di protesta più ampio organizzato proprio a sostegno di Shahin.
Shahin è l’imam del quartiere torinese di San Salvario, e ha ricevuto un decreto di espulsione dal ministero dell’Interno perché accusato di avere posizioni estremamente radicali. In particolare gli sono contestati alcuni passaggi di un discorso che aveva tenuto lo scorso ottobre durante una manifestazione organizzata per protestare contro i due anni di invasione israeliana nella Striscia di Gaza. In quell’occasione disse di essere «d’accordo» con quanto successo il 7 ottobre del 2023, e che la strage compiuta dai miliziani di Hamas in Israele, in cui furono uccise circa 1.200 persone e altre 250 furono rapite, «non è una violenza».
Il giorno dopo, Shahin era tornato a parlare di quelle dichiarazioni e le aveva un po’ ridimensionate, dicendo di vedere quello che è successo il 7 ottobre non come un’azione, ma come una reazione nel contesto dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi che va avanti da decenni. Shahin è accusato anche di avere avuto dei rapporti, nel 2012 e nel 2018, con persone condannate per apologia di terrorismo.
Shahin è descritto da chi lo conosce e frequenta come un uomo non violento, pacifico e aperto al dialogo, oltre che una figura importante e positiva a San Salvario, quartiere multiculturale che ospita luoghi di culto di diverse confessioni, tra cui una sinagoga. Per questo ci sono state manifestazioni in suo sostegno e contro il decreto di espulsione: non solo da parte della comunità islamica di San Salvario ma anche da parte di accademici e ricercatori italiani e di politici soprattutto di centrosinistra, secondo cui il decreto di espulsione sarebbe una violazione della libertà di espressione.
È intervenuto per difenderlo anche il vescovo cattolico di Pinerolo (vicino a Torino) Derio Olivero, secondo cui Shahin «ha sempre lavorato per il dialogo e per la cooperazione».
Shahin vive in Italia da quasi 21 anni. Non ha mai avuto particolari problemi con la giustizia: secondo le informazioni disponibili fu denunciato per blocco stradale a maggio dell’anno scorso in occasione di una manifestazione a sostegno della popolazione palestinese. A novembre del 2023, un mese dopo l’attacco del 7 ottobre e dopo la successiva invasione israeliana della Striscia di Gaza, gli fu negata la cittadinanza italiana sempre «per ragioni di sicurezza dello Stato» (non ci sono altre informazioni al riguardo: questo episodio è citato nel decreto di espulsione del ministero dell’Interno).
Oltre che per la detenzione in un CPR (luoghi noti per le condizioni pessime e le violazioni di diritti al loro interno), il decreto di espulsione emesso contro Shahin è molto contestato anche perché prevede che venga rimpatriato in Egitto, dove rischierebbe persecuzioni, violenze e torture da parte del regime del presidente autoritario Abdel Fattah al Sisi. Shahin ha espresso varie volte posizioni molto critiche nei confronti del regime: chi lo difende lo definisce un suo «oppositore politico» e ritiene che riportarlo in Egitto lo metterebbe a rischio di persecuzioni e costituirebbe quindi una violazione del diritto d’asilo.
Proprio per questo, dopo l’arresto Shahin ha presentato una richiesta di protezione internazionale per chiedere asilo come rifugiato, lo status giuridico riconosciuto a chi ha lasciato il proprio paese per il rischio di essere perseguitato e trova rifugio in un altro.

Una manifestazione a sostegno di Mohamed Shahin (ANSA/TINO ROMANO)
Il caso dell’imam Shahin ha raggiunto queste dimensioni a seguito di un intervento nella vicenda della deputata torinese di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che dopo le dichiarazioni dell’imam sul 7 ottobre aveva presentato un’interrogazione parlamentare al ministero dell’Interno chiedendone l’espulsione dall’Italia. Montaruli è una deputata molto attiva su temi molto diversi tra quelli cari al governo di Giorgia Meloni: in questo caso ha chiesto l’espulsione di Shahin motivandola con la «tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale». Secondo il Fatto Quotidiano, tra l’altro, Shahin era già stato denunciato per le sue parole sul 7 ottobre, e la denuncia era stata archiviata perché secondo la procura quelle affermazioni non costituivano reato.
Lo scorso 24 novembre Shahin è stato arrestato mentre accompagnava i figli a scuola (ne ha due, di 9 e 12 anni) e successivamente portato al CPR di Caltanissetta. Shahin aveva un permesso di soggiorno, che il decreto del ministero dell’Interno ha revocato, notificandogli il decreto di espulsione. Secondo il ministero Shahin avrebbe «intrapreso un percorso di radicalizzazione religiosa connotata da spiccata ideologia antisemita» e avrebbe contatti con quelli che ha definito «soggetti noti per la loro visione radicale e violenta della religione».
Il decreto di espulsione contro Shahin è stato convalidato dalla corte d’appello di Torino: secondo i giudici con le sue dichiarazioni a proposito del 7 ottobre l’imam avrebbe superato il «limite non derogabile» della tutela della libertà di espressione, limite necessario per garantire il rispetto della Costituzione e il mantenimento dell’ordine pubblico.
Shahin ha negato tutte le accuse. Ha detto di non aver mai espresso sostegno ad Hamas e ha aggiunto che le sue parole a proposito del 7 ottobre dovevano essere contestualizzate nel discorso più ampio fatto in quella manifestazione. Il discorso riguardava la fondazione dello stato di Israele nel 1948 e le sistematiche violazioni dei diritti della popolazione palestinese: per questo, ha detto Shahin, dal suo punto di vista la strage del 7 ottobre non andava vista «come un’azione, ma come una reazione». Rispetto alle sue presunte frequentazioni con persone condannate per terrorismo e con posizioni di estremismo religioso, Shahin ha detto di non conoscerle, anche se non ha escluso di averle incontrate.
Attualmente Shahin si trova ancora al CPR di Caltanissetta e non ci sono informazioni sui tempi per la sua espulsione, né sugli effetti che potrebbe avere sulla detenzione la sua richiesta di protezione internazionale: in teoria una persona che ha presentato una richiesta non può essere espulsa dal paese finché la richiesta non viene valutata, cosa che può richiedere molto tempo.



