Fuori Parigi c’è un posto impressionante con una pessima fama tra i turisti
Gli Espaces d'Abraxas sono apparsi in film come “Hunger Games”, ma per visitarli è meglio avere una guida, l'unica che c'è
di Viola Stefanello

Prendendo la linea ferroviaria suburbana dal centro di Parigi, in una ventina di minuti si raggiunge Noisy-le-Grand. È una di quelle cittadine periferiche che fino alla Seconda guerra mondiale avevano poche migliaia di abitanti e che, negli anni Sessanta, sono state trasformate in “nuove città” per contenere lo sviluppo urbanistico e demografico della capitale. È anche il genere di posto che ci si immagina quando si pensa a una banlieue parigina: un luogo che oggi non è ricco e nemmeno bello, spesso associato a delinquenza e miseria.
Solitamente le banlieue di questo tipo non sono destinazioni turistiche, e anzi si tende a starne alla larga. A Noisy, però, c’è un posto che di attenzione turistica ne attirerebbe eccome, specie in alcune nicchie di appassionati di cinema e architettura del Novecento. Sono gli Espaces d’Abraxas: un complesso architettonico così imponente e teatrale che negli anni è stato più volte usato come set di film distopici.

La piazza centrale degli Espaces d’Abraxas (Viola Stefanello/il Post)
Alcuni potrebbero riconoscerci le ambientazioni più memorabili di Brazil, grottesco film di fantascienza di Terry Gilliam del 1985. Più di recente invece lo si è visto in una scena del quarto film della saga di Hunger Games, in cui un gruppo di ribelli guidati dalla protagonista deve rifugiarsi in uno dei palazzi degli Espaces d’Abraxas per sfuggire a un’ondata di catrame. Qualche mese fa, poi, l’ex cantante del gruppo k-pop Blackpink Rosé ha ambientato lì il video del suo singolo “Number One Girl”.
Benché gli Espaces d’Abraxas siano un luogo impressionante e vicino a una delle città più visitate del mondo, è difficile incrociarci più di tre o quattro turisti alla volta. Uno dei motivi principali è che su internet ci sono molte recensioni che sconsigliano di andarci. Su Tripadvisor, per esempio, una delle prime recensioni che compare dice: «sono un uomo di un metro e 88 che non si lascia intimidire facilmente, ma non tornerei mai in questo posto. Ci sono andato in un tranquillo giovedì pomeriggio per scattare qualche foto e all’improvviso sono spuntati dei teppisti dai vicoli laterali che mi hanno minacciato. Hanno quasi rubato la mia costosa macchina fotografica e sono dovuto scappare. Non vale la pena di andarci per curiosità, è pieno di teppisti e spacciatori».
Sui muri del complesso, tra i vari graffiti dozzinali, è molto facile trovare scritte che dicono «TURISTI: NO FOTO», in inglese, o «SE VUOI FARE LE FOTO, DEVI PAGARCI».

Alcune delle scritte che chiedono di non fare foto sui muri degli Espaces d’Abraxas (Viola Stefanello/il Post)
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Samir Rouab, che vive nel complesso dal 1989, racconta che gli capita spesso di incontrare visitatori che hanno aspettato a lungo prima di visitare gli Espaces d’Abraxas perché temevano fosse troppo pericoloso. Quasi ogni sabato mattina, da un paio d’anni, Rouab fa un piccolo tour del complesso in francese: costa 12 euro a persona ed è l’unica visita guidata esistente degli Espaces d’Abraxas. Alla fine di ogni tour chiede se qualcuno si è sentito in pericolo e dice che la risposta è sempre no.

Una parte del Palacio vista dall’alto (Viola Stefanello/il Post)
Rouab non si è improvvisato guida turistica da un giorno all’altro. Nel 2020 gli enti semi-pubblici che gestiscono gli alloggi popolari degli Espaces d’Abraxas hanno chiesto al dipartimento della Seine-Saint-Denis, a cui appartiene Noisy-le-Grand, di proporre un corso di formazione agli abitanti per diventare guide del proprio quartiere. Così, il dipartimento ha offerto a dieci persone la possibilità di frequentare gratuitamente un programma di studi che fornisse loro nozioni di architettura, storia e sociologia, ma anche delle competenze per parlare meglio in pubblico.
L’architetta Valentine Vuillermoz, che ha lavorato alla formazione gratuita degli abitanti del quartiere, racconta che i gestori dell’immobile «sapevano che le visite turistiche improvvisate dai visitatori stranieri non sempre andavano bene». E sapevano che certi abitanti «non vedevano di buon occhio il fatto che persone esterne al quartiere venissero a visitarlo senza essere accompagnate, in una maniera un po’ voyeurista».
I partecipanti avevano tra i 15 e i 50 anni, e una volta finito il corso hanno organizzato una prima serie di visite guidate tutti assieme. Hanno scelto come tappe del tour dei luoghi che loro, personalmente, consideravano particolarmente belli o significativi, come il piccolo ponte che unisce due ali di un edificio da cui la sera si vedono tutte le luci di Parigi fino alla Tour Eiffel. Man mano però tutti hanno smesso di fare visite tranne Rouab e oggi, ogni settimana, tra le dieci e le venti persone partecipano al suo tour. Rouab non mostra mai l’interno delle abitazioni, ma l’interno di uno dei tre edifici sì, per permettere di intravedere le condizioni abitative di chi ci vive.
Gli Espaces d’Abraxas sono, infatti, in primo luogo un gigantesco complesso residenziale. I tre edifici che lo compongono sono divisi in circa 600 appartamenti: 20 nell’Arco, 130 nel Teatro, 441 nel “Palacio”.

Una planimetria degli Espaces d’Abraxas, divisi in tre principali edifici: il Teatro, l’Arco e il Palacio (Wikimedia Commons)
A Ricardo Bofill, l’architetto spagnolo che l’ha progettato alla fine degli anni Settanta, il governo francese aveva chiesto di costruire un edificio di edilizia popolare come ne stavano spuntando tanti, in quel periodo. Bofill, però, aveva in mente di costruire «un monumento emblematico in un’area per il resto progettata in modo piuttosto scarso» e, soprattutto, uno spazio dove potesse realizzarsi una «mescolanza sociale» tra classe media e ceti popolari. A suo avviso, se avesse costruito degli edifici dall’aria lussuosa a un prezzo contenuto grazie all’uso massiccio di cemento prefabbricato, sarebbe riuscito ad attrarre famiglie borghesi e a convincerle a condividere gli spazi comuni con persone con mezzi economici più limitati.
È un obiettivo in parte riuscito: oggi al suo interno esistono decine di proprietà private di singoli individui più facoltosi, soprattutto nel Teatro, oltre a una grossa percentuale di alloggi “a vocazione sociale”, ovvero destinati a persone sotto una determinata fascia di reddito e gestiti da enti pubblici.
Al contempo, non è un posto dove è particolarmente semplice vivere, per vari motivi. Uno ha a che fare con la conformazione stessa del complesso: nel tempo, vari critici hanno sottolineato che dal punto di vista del design gli Espace d’Abraxas ricordano una prigione, o un’istituzione psichiatrica, più che un posto dove vivere e crescere una famiglia. Tra gli abitanti c’è chi li paragona ad Alcatraz, chi a Gotham City.

Una parte del Palacio, al diciottesimo piano (Viola Stefanello/il Post)
Un altro problema sta nel fatto che Noisy è abitata da tantissime persone marginalizzate – arrivate in parte dall’Asia e dall’est Europa, e in parte ancora maggiore dalle ex colonie francesi dell’Africa settentrionale e subsahariana – con tutte le complessità che questo comporta. E poi c’è la questione degli spacciatori, che vengono da altri quartieri ma nell’ultimo decennio hanno trasformato gli Espaces d’Abraxas in una delle principali aree di spaccio di droga della zona. Capita spesso che la polizia faccia irruzione nel quartiere per cercare di arrestarli, ed è successo anche varie volte, negli ultimi anni, che qualcuno abbia tirato fuori pistole e gas lacrimogeni.
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I corridoi del Palacio, al diciottesimo piano (Viola Stefanello/il Post)
La prima cosa che Rouab dice, una volta riunito il gruppo, è che per lui «questa non è solo una visita per capire l’architettura di questo posto, ma un momento che serve anche a capire meglio come si vive in un edificio così iconico, al di là dei pregiudizi e dell’ignoranza». Le scritte «NO PHOTOS» sui muri, dice per esempio, non sono state messe lì dagli abitanti ma dagli spacciatori, «perché sono paranoici, e pensano che sia possibile che le persone che si aggirano con le macchine fotografiche non siano turisti ma poliziotti in borghese».

I corridoi del Palacio, al diciottesimo piano (Viola Stefanello/il Post)
Ci sono stati degli anni in cui a essere paranoici non erano soltanto gli spacciatori: attorno agli anni Dieci, la situazione di degrado negli Espaces d’Abraxas era talmente grave che il sindaco dell’epoca, il socialista Michel Pajon, aveva ipotizzato di far abbattere l’intero complesso. La sindaca successiva, Brigitte Marsigny, fu eletta nel 2015 anche perché riuscì a convincere gli abitanti del quartiere, che storicamente partecipavano pochissimo alle elezioni, ad andare a votare per lei, promettendo che avrebbe lavorato per rendere le loro condizioni di vita più dignitose.
Da allora sono stati realizzati qualche spazio verde in più, un parco giochi per i bambini, migliori collegamenti alle scuole della zona. Da un paio d’anni ha aperto nel bel mezzo del Palacio un centro socio-culturale che offre corsi per tutte le età: lezioni di lingua francese e inglese, danza, cucito, ginnastica. «Era veramente quel che mancava», dice Rouab. Al momento è in corso una massiccia operazione di ristrutturazione che costerà attorno ai 16 milioni di euro.
Il complesso, comunque, ha ancora le sue difficoltà. Gli ascensori si rompono spesso e ci vogliono giorni per ripararli. Gli enti che gestiscono gli edifici nel tempo hanno tagliato sempre più i fondi, e oggi il numero di custodi e addetti alle pulizie che ci lavorano è decisamente insufficiente: così, ci sono giorni in cui la spazzatura si ammassa nei corridoi.

Il parco giochi costruito subito fuori dagli Espaces d’Abraxas (Viola Stefanello/il Post)
Rouab sottolinea che visitare il quartiere da soli non è comunque l’ideale, specie in alcuni momenti. «Se venite verso le dieci della mattina, in tre o quattro persone, nessuno vi darà fastidio in alcun modo, anche perché non beccherete in giro nessuno», spiega. Per chi fosse interessato, online è anche possibile ascoltare il file audio originale della visita guidata degli Espaces d’Abraxas organizzata dagli abitanti che hanno seguito la formazione pubblica nel 2020.
Nelle giornate di sole, dalle due o tre del pomeriggio, la situazione si complica: «è probabile che troverete degli spacciatori che vi dicono di non fare le foto. C’è gente che li ascolta e mette via il cellulare, o che quanto meno fa le foto con maggiore discrezione. Altri invece se ne fregano e fanno come se nulla fosse: è in quei casi che diventano aggressivi».



