Per fare le comunità energetiche ci sono molti meno soldi del previsto
Lo ha deciso all'improvviso il ministero dell'Ambiente, creando grossi problemi agli operatori

Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha limitato i fondi previsti per la creazione di comunità energetiche rinnovabili (CER). Queste comunità sono forme di collaborazione tra persone, enti, associazioni, parrocchie e aziende per la produzione e la condivisione di energia prodotta soprattutto dal fotovoltaico. Dei 2,2 miliardi di euro previsti inizialmente ne verranno dati soltanto 795,5 milioni. I soldi sono stati spostati improvvisamente su altri obiettivi perché negli ultimi mesi il numero delle domande è stato inferiore alle aspettative, principalmente a causa di incertezze, regole complesse e ritardi. Molti operatori e associazioni hanno criticato il ministero parlando di una grande occasione persa.
Fin dal 2021, quando fu approvato il primo decreto, il ministero promise di incentivare la costituzione delle comunità energetiche rinnovabili attraverso fondi pubblici del PNRR, il piano di riforme e investimenti finanziato con fondi europei. Oltre a garantire benefici individuali per chi ne fa parte, infatti, le comunità energetiche assicurano vantaggi collettivi perché permettono di ridurre l’utilizzo di fonti fossili, quindi di diminuire le emissioni inquinanti.
I dati più recenti diffusi dal GSE, il Gestore dei Servizi Energetici, una società controllata dal ministero dell’Economia, dicono che al 31 ottobre in Italia c’erano 1.530 comunità energetiche e 409 comunità di autoconsumo collettivo. Negli ultimi anni l’aumento è stato notevole, ma ancor più significativo è stato negli ultimi mesi, visto che ne sono state aperte circa 700. Secondo gli operatori però avrebbero potuto essere molte di più se tutto il meccanismo degli incentivi non fosse stato caratterizzato da ritardi e cambi improvvisi di regole che hanno complicato le procedure e scoraggiato l’iniziativa di enti e associazioni.
Come già accaduto per altre questioni legate all’energia, il ministero si è mosso fin da subito con grande lentezza. Il decreto attuativo che stabiliva le regole per gli incentivi nei comuni fino a cinquemila abitanti è stato approvato all’inizio del 2024, con 25 mesi di ritardo. Uno dei problemi più gravi riguarda la quota di finanziamento: inizialmente il ministero aveva ipotizzato di coprire il 100% delle spese, ma i vincoli europei sugli aiuti di Stato alle imprese hanno imposto una riduzione della quota al 40% del totale. Nel frattempo però molte associazioni e imprese avevano già iniziato a lavorare ai progetti.
A causa dei ritardi accumulati, lo scorso 24 marzo il ministero ha poi prorogato la presentazione delle richieste per il finanziamento pubblico dal 30 marzo al 30 novembre. In quell’occasione il ministro Gilberto Pichetto Fratin aveva detto che gli incentivi sarebbero stati estesi ai comuni fino a 50mila abitanti per far aumentare le domande, ma la conferma è arrivata soltanto alla fine di giugno.
Molti dei problemi segnalati dagli operatori però non sono stati risolti, in particolare quelli legati alle procedure e alla burocrazia. Per presentare la domanda infatti è necessario avere un preventivo di connessione alla rete, ma soprattutto bisogna dimostrare l’approvazione di tutte le autorizzazioni per la realizzazione degli impianti. La connessione alla rete è essenziale per scambiare energia, ovvero per cedere quella che non viene consumata e per prelevarla dalla rete quando i pannelli solari non ne producono abbastanza per soddisfare il fabbisogno.
Avere le autorizzazioni è una richiesta ragionevole, ma allo stesso tempo queste procedure sono troppo lente rispetto ai tempi concessi dal ministero e alle scadenze per presentare la domanda. Soltanto per gli impianti più piccoli è prevista una procedura semplificata, più veloce.
Il rilascio del preventivo di connessione da parte dei gestori di rete può richiedere settimane, ma in molti casi sono serviti mesi, soprattutto per gli impianti complessi o in aree dove la capacità della rete è limitata. Solo con il preventivo di connessione si possono chiedere tutte le autorizzazioni. Basta un intoppo per rovinare mesi di lavoro. Lo scorso ottobre il Consiglio Nazionale dei Periti Industriali (CNPI) ha chiesto al governo una modifica delle procedure per tutti, ma senza risultati.
Una delle modifiche più importanti decise dal ministero riguarda proprio gli obiettivi del PNRR: all’inizio di giugno ha iniziato a circolare l’ipotesi che il ministero non puntasse più ad assegnare tutti i 2,2 miliardi di euro, ma che l’obiettivo sarebbe stato raggiungere 1,7 gigawatt di potenza installata. Solo la scorsa settimana, al raggiungimento di questo obiettivo, il ministero ha comunicato la chiusura anticipata del bando.
Secondo molti operatori, questa chiusura anticipata è un pasticcio perché è arrivata mentre il GSE stava ancora valutando molte domande. In effetti i dati lo dimostrano: al 25 novembre il GSE ha ricevuto richieste per un miliardo di euro, 204 milioni in più rispetto al limite comunicato la scorsa settimana. Andrea Brumgnach, vicepresidente dell’associazione Italia Solare, dice che tutto questo è il risultato di una mancanza di chiarezza da parte del ministero: «In tutti i documenti si è sempre parlato di una potenza di almeno 1,7 gigawatt, non di un limite. Fino a ottobre si parlava di una possibile proroga, invece la scorsa settimana il ministero ha fatto questa comunicazione improvvisa, intempestiva e spiegata male».
Negli ultimi giorni al portale del GSE sono arrivate moltissime nuove pratiche – oltre mille al giorno – in vista della scadenza del 30 novembre, ma non è chiaro cosa succederà. Il ministero ha risposto alle polemiche con una nota per chiarire che lo spostamento dei soldi è stato deciso per evitare il rischio di non rispettare le scadenze del PNRR e quindi di perdere i fondi. Il ministero ipotizza che tra il 10 e il 15 per cento dei progetti presentati non saranno idonei al finanziamento, liberando fondi per chi ha presentato la domanda negli ultimi giorni.
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