L’energia delle parrocchie

L'iniziativa di molti parroci sta contribuendo alla diffusione delle comunità energetiche per condividere i benefici economici ottenuti dai pannelli solari

Pannelli fotovoltaici sul tetto della sala Paolo VI, in Vaticano
Pannelli fotovoltaici sul tetto della sala Paolo VI, in Vaticano (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Lo scorso 22 dicembre è stato firmato l’atto costitutivo della prima comunità energetica diocesana, che riunisce le 265 parrocchie della diocesi di Treviso in un’estesa rete per la produzione e la condivisione di energia prodotta da fonti rinnovabili (soprattutto fotovoltaico). L’obiettivo della diocesi è rendersi il più possibile indipendente dal punto di vista energetico e per farlo punta a coinvolgere nella comunità energetica aziende, associazioni e parrocchiani.

Quella aperta da Treviso è la prima comunità energetica diocesana, cioè di un’intera diocesi, con un’organizzazione piuttosto complessa. Ma non è la prima comunità creata nell’ambito della Chiesa cattolica. Molte delle comunità energetiche aperte in Italia nell’ultimo anno sono state create proprio dalle parrocchie, riprendendo lo spirito comunitario delle cooperative nate nell’Ottocento e del cosiddetto cattolicesimo sociale.

Non è un caso che le parrocchie abbiano sfruttato questa possibilità. Le comunità energetiche, con le loro regole e le loro leggi, sembrano essere fatte su misura per organizzazioni comunitarie già sviluppate.

Le comunità energetiche rinnovabili, conosciute con l’acronimo CER, sono reti locali formate da diversi soggetti come amministrazioni comunali, aziende o privati che generano energia grazie a impianti fotovoltaici e la condividono tra loro. Negli ultimi decenni si sono diffuse soprattutto nei paesi del Nord Europa e negli ultimi anni anche in Italia grazie a un sistema di incentivi previsto dal decreto-legge 199 del 2021. Le comunità energetiche assicurano vantaggi collettivi perché permettono di ridurre l’utilizzo di fonti fossili per la produzione di energia, quindi di diminuire le emissioni di gas serra nell’ambiente. Ma garantiscono anche benefici individuali: chi aderisce a una comunità energetica infatti ha un risparmio grazie a compensazioni economiche per lo scambio di energia e a incentivi statali.

In Italia possono costituire una comunità energetica privati cittadini, piccole e medie imprese oltre a diversi enti, fra cui quelli di ricerca e formazione, del terzo settore e di protezione ambientale, tutte le amministrazioni locali e appunto gli enti religiosi. Questi soggetti possono aprire una comunità energetica senza avere un impianto per la produzione di energia rinnovabile di proprietà (può essere messo a disposizione da uno solo dei membri o da un ente terzo), ma l’importante è che la comunità energetica non diventi un’azienda e condivida semplicemente gli utili tra tutti i soci.

Anche se si è cominciato a parlarne di più, in realtà negli ultimi anni in Italia si è fatta un po’ confusione tra le comunità energetiche e le unità di autoconsumo, che sono due cose diverse. Delle unità di autoconsumo possono far parte diversi soggetti che tuttavia devono condividere la proprietà e l’utilizzo di un impianto fotovoltaico nello stesso edificio, per esempio un condominio. L’energia prodotta viene condivisa esclusivamente nel posto dove viene generata, cioè il condominio stesso.

Le comunità energetiche, invece, mettono insieme più soggetti che producono energia attraverso impianti fotovoltaici che sono vicini, ma non necessariamente nello stesso edificio. La dimensione è più vicina al quartiere che al condominio. Inoltre nelle comunità energetiche rinnovabili chi non è proprietario dell’impianto fotovoltaico può comunque usufruire dell’energia prodotta.

Una delle prime parrocchie italiane a creare una comunità energetica è stata San Giuseppe a Mestre, in provincia di Venezia. L’ha voluta don Natalino Bonazza, che ha un po’ il pallino del risparmio energetico e dell’educazione ambientale: già nel 2015 fece installare un impianto fotovoltaico sul tetto dell’oratorio per l’autoconsumo a cui seguì un accumulatore di energia nel 2017, una sorta di batteria dove immagazzinare l’energia elettrica prodotta per utilizzarla quando serve. «Avere i congelatori sempre accesi con le scorte di cibo per la festa patronale o quelli di gelati e ghiaccioli in oratorio è un costo non indifferente», dice don Bonazza. «Lo stesso accade per il sistema di riscaldamento e raffrescamento della cappella usata per le messe feriali. Non vogliamo strafare, tutto è pensato per le nostre esigenze e in questo modo contribuiamo alla sostenibilità della parrocchia».

Il passaggio dall’autoconsumo alla comunità energetica è stato naturale. «Di fatto siamo già una comunità», dice don Bonazza. «Noi saremo i fratelli maggiori delle persone che vorranno aggiungersi».

L’iniziativa delle singole parrocchie non è del tutto spontanea. Durante la 49° settimana sociale dei cattolici italiani dell’ottobre 2021, a Taranto, il delegato per i problemi sociali e il lavoro della CEI (la conferenza episcopale italiana) monsignor Filippo Santoro esortò tutte le oltre 25mila parrocchie italiane ad aprire una comunità energetica rinnovabile. Se in ciascuna venissero installati impianti da 200 chilowatt, disse monsignor Taranto, le parrocchie contribuirebbero con 5,2 gigawatt alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Questa sollecitazione da parte della Chiesa deriva dall’attenzione nei confronti dei problemi ambientali cresciuta in seguito all’enciclica Laudato si’ pubblicata da papa Francesco nel 2015. L’enciclica parla tra le altre cose della protezione del mondo, del riscaldamento globale, di biodiversità, dello scioglimento dei ghiacciai, dei paesi in via di sviluppo, del «nuovo paradigma» e delle «forme di potere che derivano dalla tecnologia», di «altri modi di intendere l’economia e il progresso», della «necessità di dibattiti sinceri e onesti» attraverso argomentazioni sia scientifiche che etiche.

«Per noi lavorare alla costituzione della nostra comunità energetica è stata l’occasione per riflettere sulla responsabilità nei confronti della creazione e sullo spirito di comunità, oltre ovviamente alla sostenibilità», dice don Valerio Pennasso, parroco di Rodello, un comune di quasi mille abitanti in provincia di Cuneo. Grazie alla comunità energetica si possono sfruttare meglio gli investimenti fatti dai singoli, un modello che può essere utilizzato anche per altri tipi di acquisti.

Secondo don Pennasso, grazie alle comunità energetiche le parrocchie stanno riprendendo lo spirito corporativistico dei primi anni del Novecento. Nei prossimi mesi a Rodello sarà costruito un nuovo impianto fotovoltaico con un investimento di 585mila euro messo a disposizione da bandi regionali.

Ma a Rodello, così come nelle altre parrocchie italiane, prima di entrare nella fase più operativa delle comunità energetiche bisogna aspettare l’approvazione dei decreti attuativi del cosiddetto decreto CER, firmato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin lo scorso 6 dicembre. Il decreto è molto importante perché introduce una tariffa agevolata per l’energia rinnovabile prodotta e condivisa dai soci della comunità energetica, e un contributo a fondo perduto per gli investimenti legati agli impianti fotovoltaici. L’incentivo cambia in base alla potenza dell’impianto ed è formato da una quota fissa di 60 euro per megawattora più una parte variabile.

Per i comuni italiani con meno di cinquemila abitanti, inoltre, è previsto un contributo a fondo perduto fino al 40 per cento del costo sostenuto per la costruzione di un nuovo impianto o per potenziarne uno esistente. Questa misura è finanziata con 5,7 miliardi di euro, di cui 2,2 del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza con cui l’Italia deve spendere i finanziamenti garantiti dall’Unione Europea. Prima dell’approvazione dei decreti attuativi il governo deve aspettare il parere della Corte dei Conti.

«Ci auguriamo di avere qualcosa di concreto entro la fine di febbraio», commenta Daniele Ferrari, amministratore del gruppo d’acquisto diocesano della diocesi di Milano (GAD) a cui aderiscono quasi tutte le 1.106 parrocchie milanesi. Il gruppo di acquisto è un servizio che consente di risparmiare sulle spese di beni e servizi.

Nell’aprile del 2023 il GAD ha inviato ai parroci una lettera per spiegare l’opportunità delle comunità energetiche. Gli amministratori del gruppo d’acquisto stanno raccogliendo dati per alcuni progetti sperimentali da estendere in futuro. Bisogna capire soprattutto quali sono le disponibilità di spazi per la costruzione di impianti fotovoltaici. «Partiamo da quattro progetti pilota perché ogni realtà ha i suoi vantaggi e i suoi problemi», dice Ferrari. «L’obiettivo è contenere i costi dell’energia, ma sfruttando le possibilità delle comunità energetiche si può dare una mano anche alle persone in difficoltà economiche».

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