Diversi vini e oli toscani sono prodotti sfruttando i richiedenti asilo
Abbiamo documentato paghe infime e giornate lunghissime, permesse da una norma poco nota
di Angelo Mastrandrea

Ogni notte, davanti ai Centri di accoglienza straordinaria (CAS) delle province di Grosseto e di Siena, centinaia di migranti vengono caricati su furgoni e pulmini per andare a lavorare a valle, nelle campagne del senese. Fino a un mese fa erano impiegati nella vendemmia, ora nella raccolta delle olive. A reclutarli sono altri migranti che, per evitare di essere denunciati per caporalato, hanno creato aziende individuali (cioè gestite da un’unica persona, senza soci) che forniscono la manodopera alle aziende agricole.
Il sistema è apparentemente regolare, perché queste aziende assumono effettivamente alcuni migranti e stipulano contratti di fornitura di manodopera con le aziende agricole. È anche un sistema molto ramificato: alcuni imprenditori contattati dal Post hanno detto che questi intermediari hanno costituito una sorta di cartello. Se si vogliono trovare braccianti per raccogliere l’uva o le olive, bisogna per forza rivolgersi a loro.

Lavoratori migranti in attesa di salire su un furgone ad Arcidosso (Angelo Mastrandrea/il Post)
Nonostante la facciata di regolarità, anche in questo settore le persone finiscono per essere sfruttate. I migranti vengono impiegati in nero o assunti con contratti cosiddetti “in grigio”, cioè che prevedono un numero di ore molto più basso di quelle di lavoro effettivo, vengono pagati pochi euro all’ora, sono costretti a lavorare per 10 o 12 ore e a sobbarcarsi anche diverse ore di viaggio per arrivare nei campi. Tutto esattamente come in altre zone d’Italia, dall’agro pontino fino alla Capitanata, passando per le Langhe.
Allo stesso tempo però lo sfruttamento nei vigneti e oliveti nel senese è diverso dagli altri: si basa infatti su alcune precise storture del sistema di accoglienza italiano.
Secondo la legge italiana le persone migranti che hanno chiesto asilo e alloggiano nei CAS possono lavorare: ma se guadagnano più di 7mila euro lordi all’anno, cioè 583 euro lordi al mese, perdono il diritto all’alloggio e alla mensa e il cosiddetto “pocket money”, un contributo giornaliero di 2 euro e 50 che possono spendere come ritengono. In questo modo non sono incentivate a chiedere contratti veri: soprattutto se sono in Italia da poco e nei centri di accoglienza hanno trovato un minimo di stabilità. È per questo che gli intermediari li contrattualizzano “in grigio” o “in nero”.
Le norme italiane prevedono che le ore di lavoro effettivo per gli operai agricoli vengano comunicate all’INPS a fine mese. Ma visto che spesso non vengono fatti controlli, le ore non vengono dichiarate e quindi il “grigio” e il “nero” proliferano. Il Post ha chiesto al ministero dell’Interno e alle prefetture di Grosseto e Siena se siano a conoscenza del fenomeno, senza ottenere risposte oppure ottenendo risposte molto parziali e non esaustive.
I lavoratori vengono reclutati nei CAS aperti in 16 comuni della provincia di Siena e in 13 del grossetano. Sono ex hotel abbandonati o appartamenti che le prefetture hanno assegnato, attraverso dei bandi, ad associazioni, cooperative o società per ospitare i migranti che hanno ottenuto un permesso di soggiorno provvisorio, in attesa che sia valutata la loro richiesta di asilo. La valutazione è svolta da un’apposita commissione e dura tra i sei mesi e un anno. Molti migranti però rimangono nei CAS molto più a lungo, anche tre o quattro anni. Succede per esempio quando la richiesta viene respinta, si presenta un ricorso e si attende l’esito: spessissimo, quindi.
Ogni centro ospita un numero variabile di persone, che va dalle poche decine al centinaio, e in alcuni comuni ce ne sono anche più di uno: per esempio a Chianciano sono stati aperti tre CAS, ad Abbadia San Salvatore due (sono entrambi in provincia di Siena). In totale nei CAS delle due province toscane vivono circa 2mila persone.
Ad Arcidosso, un comune di 4.500 abitanti sul versante grossetano dell’Amiata, il reclutamento avviene in pieno centro e coinvolge centinaia di persone. Poco dopo le 5 del mattino alcune decine di richiedenti asilo escono dal centro di accoglienza e si avviano verso il corso principale del paese. Indossano abiti già sporchi di fango, portano sulle spalle degli zaini pieni, hanno giubbotti con i cappucci calati sulla testa e il volto coperto da cappelli, sciarpe o passamontagna per ripararsi dal freddo.
Per strada a quell’ora non c’è nessuno e anche i bar sono ancora chiusi. I migranti si avvicinano ai furgoni parcheggiati lungo il marciapiede, parlano brevemente con il conducente e poi salgono a bordo. Dopo pochi minuti cominciano ad arrivare alla spicciolata altre persone, da sole o in piccoli gruppi. Salgono sui mezzi che li stanno aspettando o si mettono ai bordi della strada finché qualcuno passa a prenderli.
I migranti sul corso di Arcidosso sono tutti maschi. Sono per la maggior parte molto giovani, ma ci sono anche diverse persone più in avanti con gli anni. Provengono soprattutto dal Bangladesh e dal Pakistan e parlano poco italiano (da quando il ministero dell’Interno col cosiddetto “decreto Cutro” ha ridotto i fondi per i CAS, i corsi di italiano sono quasi spariti). In un’ora e mezza da Arcidosso partono 25 furgoni da una decina di posti ciascuno e qualche pick-up con una o due persone a bordo. Alle 7 il trambusto sul corso è finito. I furgoni impiegheranno un’ora o due per arrivare nei campi, a seconda delle destinazioni.
Il conducente di un furgone, che dice di chiamarsi Mohamed, accetta di rispondere ad alcune domande mentre carica sul suo furgone dei rastrelli per le olive. Racconta che è arrivato dal Marocco alla fine degli anni Novanta e ha lavorato molti anni come bracciante in tutta Italia. Poi ha preso la patente di guida e ora fa il caposquadra per una piccola impresa che recluta i lavoratori nei centri di accoglienza dei piccoli comuni dell’Amiata e li trasporta nelle aziende agricole a valle. Per questo riceve un compenso più alto, 10 euro all’ora, che però a suo dire non gli basta per far trasferire in Italia la sua famiglia, che è rimasta in Marocco.

Lavoratori caricano su un furgone gli strumenti per abbacchiare le olive, 2 ottobre 2025 (Angelo Mastrandrea/il Post)
Gli altri migranti che sono sul suo furgone dicono di guadagnare 7 euro all’ora. Quelli che non parlano italiano o vengono dal Bangladesh (spesso le due cose coincidono) guadagnano ancora meno, anche se nessuno di loro vuole dire quanto. «Molti di loro devono ripagare i debiti contratti per il viaggio verso l’Italia e allo stesso tempo mandare i soldi alle famiglie nel loro paese», spiega Wayar Khalid, che è arrivato in Italia dal Pakistan dopo sette mesi di viaggio e una tappa in Germania, e ora lavora come mediatore culturale.
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Nel senese ci sono 2.500 aziende vitivinicole. Producono vini molto noti, come il Brunello di Montalcino e il Nobile di Montepulciano. Nella stessa zona sono attivi migliaia di produttori di olio, soprattutto nel Chianti e nella val d’Orcia. Quest’anno alla fine di ottobre in tutta la provincia di Siena sono state raccolte quasi 5mila tonnellate di olive. Per queste attività vengono impiegati circa 4mila lavoratori: una buona parte è assunta dalle ditte individuali che forniscono la manodopera alle aziende agricole. I sindacalisti le chiamano «aziende senza terra», perché hanno i dipendenti ma lavorano per altri, sui terreni piccoli e grandi, i cui proprietari hanno continuo bisogno di manodopera.
Di solito sono formate da persone che sono in grado di organizzare gruppi di propri connazionali anche da un giorno all’altro, e di trasportarli con i propri mezzi nei campi. «In agricoltura c’è un fabbisogno variabile di manodopera, e queste aziende offrono servizi immediati a prezzi bassissimi», spiega Andrea Biagianti, segretario della FLAI CGIL di Siena.
Federico Oliveri, ricercatore dell’università di Camerino che sta studiando il fenomeno, definisce questo sistema una «esternalizzazione» dello sfruttamento e una forma di «caporalato mascherato», perché «alla base c’è un regolare contratto di fornitura di manodopera, e quando c’è un’ispezione le aziende agricole risultano formalmente a posto».

Migranti alla fermata di un bus alle 5:30 del mattino ad Arcidosso, 2 ottobre 2025 (Angelo Mastrandrea/il Post)
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