Mentre se la prende col Giappone, la Cina guarda a Taiwan
La crisi in corso è parte di una campagna più ampia, che riguarda le rivendicazioni cinesi sull’isola e coinvolge anche la propaganda interna

La ritorsione durissima del governo cinese contro il Giappone per una disputa su Taiwan è parte di una campagna che da un lato cerca di isolare Taiwan all’estero, e dall’altro vuole intensificare il nazionalismo della popolazione cinese sulla questione. Come ha scritto il Wall Street Journal, la Cina sta preparando la sua popolazione «a una nuova fase di pressione contro Taiwan».
Taiwan è un’isola di circa 23 milioni di abitanti che si governa autonomamente in modo democratico, ma che la Cina rivendica come propria: ha detto più volte di essere pronta a conquistarla con la forza. A inizio novembre la nuova prima ministra del Giappone, Sanae Takaichi, aveva detto in parlamento che se la Cina dovesse invadere Taiwan il Giappone potrebbe considerare l’attacco all’isola come una «minaccia esistenziale», e rispondere militarmente. Queste parole hanno provocato una reazione spropositata da parte della Cina, con insulti contro Takaichi e ritorsioni economiche e commerciali.
Tra le altre cose il regime cinese ha sconsigliato ai propri cittadini di viaggiare in Giappone, inviato la propria guardia costiera al largo di isole giapponesi contese, rinviato l’uscita di film prodotti in Giappone, sospeso l’importazione di prodotti ittici giapponesi. Minaccia ritorsioni ulteriori se il Giappone, come ha detto un portavoce del ministero degli Esteri, non «ritirerà le sue dichiarazioni errate […] e adotterà misure pratiche per ammettere i propri errori e correggerli».
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Contemporaneamente, la propaganda di stato cinese sta alimentando il sentimento nazionalista tra la popolazione. È abbastanza facile farlo quando l’avversario retorico è il Giappone: negli anni Trenta l’allora Impero giapponese invase la Cina, e fino alla fine della Seconda guerra mondiale dominò buona parte del suo territorio, commettendo crimini atroci contro la popolazione. Da allora i rapporti tra i due paesi non si sono mai del tutto ripresi, e il sentimento anti giapponese in Cina è ancora molto forte.

La guardia d’onore taiwanese a Taipei (AP Photo/Louise Delmotte)
La propaganda cinese su Taiwan sta andando però oltre la disputa attuale con il Giappone. La serie tv di punta sulle reti di stato è L’onore silenzioso, un dramma storico che racconta le vicende di alcune spie cinesi che operarono a Taiwan nel 1949. La loro scoperta e condanna a morte da parte del governo taiwanese vengono presentate come un martirio per la causa dell’«unificazione» della Cina con Taiwan. Il Wall Street Journal ha raccontato che le case di produzione di proprietà dello stato (ma ce ne sono anche di private) hanno cominciato a girare esclusivamente serie tv nazionaliste e legate alla guerra, interrompendo tutti gli altri progetti.
L’intensificazione della propaganda cinese interna su Taiwan va di pari passo con azioni diplomatiche, commerciali e anche militari: da tempo le provocazioni militari cinesi contro Taiwan si sono fatte più frequenti e sempre più gravi. Ciò non significa che un’invasione cinese dell’isola sia imminente. Il regime cinese tuttavia ha deciso che il momento è favorevole per portare a un nuovo livello la pressione, per isolare Taiwan e per spaventare i suoi potenziali alleati, come il Giappone, creando così condizioni più vantaggiose in caso di scontri futuri.
In questo contesto hanno un ruolo anche gli Stati Uniti, che con il presidente Donald Trump hanno indebolito il loro sostegno tradizionale a Taiwan. Mentre l’ex presidente Joe Biden si diceva pronto a difendere militarmente l’isola in caso di invasione, Trump si è finora rifiutato di adottare posizioni esplicite sulla questione. Alcune analisi sostengono che Trump sia orientato a indebolire il sostegno statunitense a Taiwan, in cambio di un accordo economico conveniente con la Cina.
Per il regime cinese il disinteresse statunitense nei confronti di Taiwan è un’occasione per creare quelli che in gergo sono definiti “nuovi fatti sul campo”, cioè per modificare a proprio vantaggio la situazione esistente, aumentare la pressione su Taiwan e indebolire le sue alleanze. In questo modo, anche se la situazione internazionale dovesse tornare più favorevole a Taiwan, l’isola ne uscirebbe comunque indebolita.



