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  • Venerdì 12 gennaio 2024

Che rapporto hanno Taiwan e la Cina

Taiwan è un paese sovrano o no? Perché non ha ambasciate all'estero? Che pretese ha la Cina? Un po' di risposte

Un uomo trasporta bandiere taiwanesi a Taipei
Un uomo trasporta bandiere taiwanesi a Taipei (Wiktor Dabkowski/ ANSA)
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L’eccezionale complessità delle relazioni tra Taiwan e la Cina deriva dalla storia intrecciata e conflittuale dei due paesi e contribuisce a rendere la questione di Taiwan una delle più delicate a livello internazionale. Capire questa relazione può rendere più chiare le dispute politiche tra i due paesi: può aiutare a capire, per esempio, perché la Cina ritiene inaccettabile che Taiwan si dichiari “indipendente”, e perché gli Stati Uniti, pur essendo i più forti sostenitori militari di Taiwan, non abbiano una rappresentanza diplomatica ufficiale nel paese.

Taiwan è un’isola nell’oceano Pacifico che si trova a circa 180 chilometri di distanza dalle coste della Cina, separata dallo Stretto di Taiwan. Oltre all’isola principale, che si chiama isola di Formosa, il governo taiwanese controlla anche altri piccoli arcipelaghi vicini, come quelli delle Penghu e delle Matsu. Taiwan è di fatto uno stato che gode di una sovranità piena, ha un parlamento e un governo, una moneta e un esercito. Controlla i propri confini e i suoi commerci. È anche una democrazia estremamente vivace, probabilmente la più libera di tutta l’Asia. Eppure la sua situazione è molto complicata.

Semplificando molto, la Cina governata dal Partito Comunista ritiene che Taiwan sia una sua provincia ribelle destinata a “riunificarsi” con il resto del paese, in maniera pacifica o violenta. Per questa ragione ha un atteggiamento estremamente aggressivo nei confronti di chiunque vada contro a questa pretesa e tratti Taiwan come uno stato sovrano. Per evitare conflitti con la Cina, la maggior parte dei paesi del mondo non riconosce ufficialmente Taiwan e ha adottato stratagemmi ed espedienti per continuare ad avere rapporti politici e commerciali con Taiwan senza provocare le proteste della Cina.

Paradossalmente, la Cina stessa accetta tutta una serie di peculiari ambiguità politiche per mantenere rapporti commerciali con Taiwan, che sono molto forti e di interdipendenza reciproca: gli scambi commerciali bilaterali valevano nel 2022 più di 200 miliardi di dollari.

Per capire come funzionano questi strani e complicati rapporti, bisogna partire dalla storia di Taiwan.

1949
Una questione piuttosto notevole di Taiwan è che, benché la Cina governata dal Partito Comunista la rivendichi come propria, in realtà Taiwan non è mai stata governata dal Partito Comunista cinese.

Considerata per secoli una parte remota e periferica dell’Impero cinese, conquistata dal Giappone all’inizio del Novecento, Taiwan assunse un’importanza fondamentale nella politica internazionale nel 1949. In quell’anno il Partito Comunista cinese vinse la guerra civile contro il Kuomintang, l’amministrazione nazionalista che aveva governato la Cina fino a quel momento.

Il leader del Kuomintang, Chiang Kai-shek, inseguito dall’armata comunista di Mao Zedong, si rifugiò a Taiwan con quel che rimaneva del suo esercito e della sua amministrazione, oltre a moltissimi civili. Nei piani di Chiang Kai-shek, la permanenza a Taiwan avrebbe dovuto essere temporanea: i nazionalisti si sarebbero fermati sull’isola il tempo di recuperare le forze e pianificare la riconquista di tutta la Cina. Ovviamente non avvenne, e la permanenza di Chiang e dei suoi a Taiwan divenne permanente.

Nel 1949 oltre due milioni di cinesi — in gran parte membri dell’esercito e dell’amministrazione del Kuomintang, con le famiglie — scapparono dalla Cina continentale a Taiwan. Chiang Kai-shek installò il suo governo nella capitale Taipei, lo chiamò Repubblica di Cina e lo presentò al mondo come il governo legittimo di tutta la Cina, benché in esilio sull’isola di Taiwan. Dalla piccola Taiwan, il regime di Chiang rivendicava la piena sovranità sull’enorme Cina abitata da centinaia di milioni di persone e governata dai comunisti, chiamata Repubblica popolare cinese.

Nonostante questo, nel contesto della Guerra fredda che opponeva il blocco comunista a quello occidentale, gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi del mondo riconobbero la sovranità di Taiwan su tutta la Cina, e riconobbero quello di Chiang come il vero governo cinese.

Le cose cominciarono a cambiare negli anni Settanta, quando gli Stati Uniti si avvicinarono alla Cina comunista e, accettando uno stato dei fatti ormai consolidato, riconobbero la sovranità del governo comunista sulla Cina. In quegli anni, più o meno tutti i paesi che riconoscevano Taiwan come governo legittimo della Cina interruppero i rapporti diplomatici con Taiwan e cominciarono a stabilirli con la Cina.

Questo creò una situazione estremamente complicata per gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali: per stabilire rapporti diplomatici con la Cina erano stati costretti a interromperli con Taiwan, ma al tempo stesso non volevano abbandonare del tutto Taiwan, che era un alleato militare e aveva una posizione strategica invidiabile. Per questo, con il benestare più o meno implicito di tutte le parti, furono create una serie di politiche piuttosto ambigue per regolare i rapporti tra Taiwan e l’Occidente, e soprattutto tra Taiwan e la Cina.

Gli Stati Uniti, per esempio, svilupparono la politica di “una sola Cina”, secondo cui riconoscono il governo del Partito Comunista come il solo governo legale della Cina, ma al tempo stesso «riconoscono che i cinesi su entrambi i lati dello stretto di Taiwan sostengono che ci sia solo una Cina e che Taiwan faccia parte della Cina». Se questa formulazione, espressa nel 1972, sembra ambigua è perché è volutamente così: gli Stati Uniti non specificano di quale Cina fa parte Taiwan, e riconoscono semplicemente che da entrambe le parti dello stretto ci sono rivendicazioni.

Questa politica (definita di “ambiguità strategica”) ha consentito agli Stati Uniti di stabilire relazioni con la Cina comunista ma di non abbandonare del tutto Taiwan. Nel 1979 il Congresso fece passare una legge che impegnava gli Stati Uniti a mantenere rapporti diplomatici informali e provvedere armi di natura difensiva «al popolo di Taiwan». Simili politiche sono oggi adottate dalla maggior parte dei paesi del mondo, compresa l’Italia.

Per quanto riguarda i rapporti bilaterali tra Cina e Taiwan, la Cina mantiene la sua posizione granitica secondo cui Taiwan è una parte inalienabile del suo territorio.

Ma nel 1992 i due governi, pur non riconoscendosi l’un l’altro, fecero un accordo secondo cui entrambi concordavano sul fatto che esiste «una sola Cina», ma riconobbero di essere in disaccordo su quale dovesse essere il significato di «Cina»: se la Repubblica popolare cinese (la Cina comunista) o la Repubblica di Cina (Taiwan). In pratica, Cina e Taiwan concordarono sul proprio disaccordo. Questo accordo del 1992 è stato poi contestato dalla parte più progressista della politica taiwanese.

Questa situazione complicata oggi fa sì che Taiwan sia un paese sovrano e indipendente di fatto, ma che a livello formale non è riconosciuto come tale praticamente da nessun paese al mondo. La maggior parte dei paesi del mondo continua però a mantenere rapporti con Taiwan usando degli espedienti: Taiwan non ha ambasciatori all’estero, perché gli ambasciatori si scambiano solo tra stati sovrani riconosciuti, ma ha “uffici di rappresentanza” che svolgono la stessa identica funzione, senza il nome. Taiwan può anche partecipare alle Olimpiadi, ma solo con lo strano nome di “Taipei cinese”.

Questo crea anche tutta una serie di situazioni piuttosto strambe: per esempio i voli che partono dalla Cina per arrivare a Taiwan sono trattati come voli interni (perché la Cina ritiene che Taiwan sia propria) ma partono dai terminal dei voli internazionali (perché nei fatti Taiwan non lo è).

Sovranità e indipendenza
Negli ultimi trent’anni questa situazione, che era già molto complicata, lo è diventata ancora di più mano a mano che il popolo taiwanese ha cominciato ad assumere una propria identità sempre più marcata e sempre più autonoma da quella della Cina continentale.

Tra il 1949 e gli anni Ottanta il regime di Chiang Kai-shek continuò a sostenere la teoria, sempre più surreale, che quello di Taiwan fosse il legittimo governo in esilio di tutta la Cina. Un noto aneddoto è che i più fedeli commilitoni di Chiang vivevano in case con mobilia di bassa qualità, convinti che non valesse la pena comprare mobili pregiati perché presto sarebbero tornati nelle loro case in Cina. Per decenni, dunque, l’identità di Taiwan fu forgiata dall’idea che l’isola fosse solo un luogo di passaggio, in attesa di riconquistare la Cina: ai bambini a scuola non veniva insegnata la geografia di Taiwan, ma la geografia di tutta la Cina. Questo provocò tra le altre cose enormi discriminazioni tra i taiwanesi “cinesi” arrivati nel 1949 con Chiang e gli aborigeni che abitavano sull’isola da secoli, e che furono brutalmente repressi.

Tra gli anni Ottanta e Novanta, però, il regime di Chiang e dei suoi successori – che era una brutale e sanguinaria dittatura – crollò e Taiwan divenne gradualmente un paese democratico. I taiwanesi cominciarono a capire che la pretesa di riprendersi tutta la Cina era irrealizzabile, e che il loro futuro era a Taiwan. Questa consapevolezza trasformò radicalmente l’identità della popolazione taiwanese, che smise di considerarsi cinese e cominciò a creare una storia e un’autonomia proprie.

Secondo i sondaggi, nel 1992 il 25,5 per cento della popolazione si riteneva cinese, il 17,6 per cento taiwanese e il 46,4 entrambi. Oggi il 62,8 per cento della popolazione si ritiene taiwanese, e appena il 2,5 per cento si ritiene cinese.

Oggi, di fatto, tutte le forze politiche e tutta la popolazione taiwanese hanno rigettato l’idea di rivendicare la sovranità su territori che non siano Taiwan (anche se formalmente la rivendicazione esiste ancora), e la maggior parte dei taiwanesi vorrebbe vivere in tranquillità nel proprio paese.

Questa tendenza si è accentuata con la salita al potere del Partito Progressista Democratico (DPP nell’acronimo inglese), il partito della presidente uscente Tsai Ing-wen: il DPP è un partito originariamente indipendentista, favorevole cioè a tagliare ogni legame con la Cina e a trasformare Taiwan in uno stato indipendente e sovrano, ma nel corso degli anni ha moderato le sue posizioni, ancora una volta per timore di provocare tensioni con la Cina. Oggi Tsai Ing-wen ritiene che Taiwan non abbia bisogno di dichiararsi indipendente, perché lo è già di fatto.

Per quanto possa risultare paradossale, per la Cina la possibilità che Taiwan rinunci alle pretese ormai soltanto formali sul territorio cinese e dichiari la propria indipendenza è l’opzione più sgradita e insopportabile di tutte, perché significherebbe che Taiwan si oppone direttamente al sogno di “riunificazione” del Partito Comunista e rinuncia all’ambiguità adottata finora, che ha consentito a tutte le parti di mantenere la propria posizione di facciata.

In più di un’occasione la leadership cinese ha fatto capire che se Taiwan dovesse dichiararsi indipendente, sarebbe inevitabile una risposta militare, e forse perfino l’invasione dell’isola da parte dell’esercito cinese.