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  • Lunedì 21 febbraio 2022

La storica visita di Nixon in Cina, cinquant’anni fa

In piena Guerra fredda il leader del mondo occidentale visitò per la prima volta il regime comunista, con stupore dell'opinione pubblica mondiale

Richard Nixon con Zhou Enlai il 28 febbraio 1972 (AP Photo)
Richard Nixon con Zhou Enlai il 28 febbraio 1972 (AP Photo)

Il 21 febbraio 1972, cinquant’anni fa, l’allora presidente statunitense Richard Nixon si trovava a Pechino, in Cina, per uno dei più importanti eventi diplomatici del secondo Novecento: il leader del mondo occidentale, Repubblicano e anticomunista, in visita ufficiale presso un regime comunista con cui gli Stati Uniti non avevano rapporti diplomatici ufficiali, e che era assai più rigido e isolato di oggi. Il tutto in piena Guerra fredda, il lungo periodo di tensioni tra blocco occidentale e blocco comunista in seguito alla Seconda guerra mondiale.

La visita di Nixon segnò l’inizio dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina comunista. Soprattutto, avviò la progressiva integrazione della Cina nel sistema diplomatico e commerciale che, decenni dopo, ne ha fatto una delle più grandi potenze mondiali, in aperta competizione proprio con gli Stati Uniti.

Nixon aveva in programma di rimanere in Cina una settimana, ma non sapeva se si sarebbe incontrato anche con il leader cinese Mao Zedong, che nel 1949 aveva fondato la Repubblica Popolare e che, seppure anziano, ancora aveva potere assoluto sul paese. Tuttavia, appena arrivato a Pechino dopo giorni di viaggio, Mao gli fece sapere di essere disponibile a incontrarlo a casa sua. Nixon salì quindi sulla limousine nera presidenziale e ci andò, assieme al Consigliere per la sicurezza Nazionale Henry Kissinger e al suo assistente, Winston Lord.

Nixon scrisse poi nelle sue memorie che il clima dell’incontro fu cordiale e scherzoso, e che Mao a un certo punto gli disse: «Credo che il nostro vecchio amico Chiang Kai-shek non sarà contento», riferendosi al leader nazionalista e oppositore di Mao che aveva fondato una Repubblica alternativa a quella comunista, sull’isola di Taiwan, e che aveva stretto alleanza con gli Stati Uniti.

Fu l’unico incontro tra i due capi di Stato. Per tutta la sua permanenza, poi, Nixon fu accompagnato dal primo ministro di Mao, Zhou Enlai.

La visita di Nixon fu storica per diversi motivi. Innanzitutto, per il suo significato politico. In quanto regime comunista, gli Stati Uniti si erano rifiutati di riconoscere il governo cinese quando Mao aveva fondato la Repubblica popolare, e da allora i contatti diplomatici erano ai minimi termini. Non c’erano state mai visite ufficiali e nessun presidente americano era mai stato in Cina. Come ha ricordato uno degli assistenti di Nixon, Dwight Chapin, la Cina era «la parte più oscura e misteriosa dell’impero comunista».

Inoltre, il viaggio di Nixon fu un grosso evento mediatico per l’epoca. Il presidente fu seguito da corrispondenti di tutti i principali media statunitensi e internazionali, e persino da celebri conduttori di news americani come Walter Cronkite. Tutti i commentatori sottolinearono fin dall’inizio la portata storica dell’evento, poi confermata anche da analisi di storici e storiche pubblicate nei decenni successivi. Poco prima della visita il Washington Post scrisse che se «Nixon avesse annunciato di andare personalmente sulla Luna l’opinione pubblica mondiale si sarebbe stupita di meno».

Anche i media nazionali cinesi, controllati dallo Stato, diedero ampio spazio ai resoconti della visita, sui giornali e alla radio, un fatto che di per sé fu ritenuto notevole.

Questi segnali di apertura, giudicati all’epoca clamorosi, non furono però un caso. Nonostante le profonde differenze, Stati Uniti e Cina in quella fase della Guerra fredda si trovavano accomunati da un sentimento di ostilità nei confronti dell’Unione Sovietica: i primi per via dell’incessante tentativo di contenere la diffusione del comunismo nel mondo; la seconda perché l’esercito cinese aveva avuto una serie di scontri armati con l’esercito sovietico poco tempo prima, circoscritti nella zona di confine tra Cina e Russia, e c’era quindi il timore che l’Unione Sovietica potesse invadere militarmente la Cina.

Alla fine degli anni Sessanta le relazioni tra Cina e Unione Sovietica erano insomma in crisi, non solo per via delle dispute territoriali ma anche perché i due paesi avevano visioni diverse su come applicare la teoria marxista-leninista a cui si ispiravano i regimi comunisti, e fin dalla morte di Stalin nel 1953 Mao aveva cercato di assumere su di sé la guida del blocco comunista.

Fu in parte per questo motivo che la Cina iniziò a cercare una sponda diplomatica in Occidente, ma anche perché Mao aveva interesse a riaprire i canali diplomatici con gli Stati Uniti. Il suo obiettivo era negoziare la smobilitazione dell’esercito americano da Taiwan, dove si trovava dai tempi della Guerra di Corea, all’inizio degli anni Cinquanta. L’isola di Taiwan si trova a 180 chilometri dalla costa cinese, e la presenza dell’esercito americano costituiva da decenni un grosso pericolo potenziale.

In questa operazione di avvicinamento giocò un ruolo importante la cosiddetta “diplomazia del ping pong”. Più di un anno prima della visita di Nixon, c’era stato un incontro e uno scambio di regali tra un membro della squadra americana di ping pong e un giocatore cinese, durante i Mondiali in Giappone. Dopo quell’incontro il giocatore cinese, che si chiamava Zhuang Zedong, propose alla squadra americana un viaggio in Cina. Dopo una fase di incertezza in cui i due paesi si studiarono l’un l’altro, l’iniziativa ebbe il benestare dei rispettivi governi e il viaggio si fece. Le foto dei giocatori e delle giocatrici americane in Cina, riempite di regali e souvenir, fecero il giro del mondo e in qualche modo prepararono il terreno per la distensione diplomatica tra Cina e Stati Uniti.

Nixon con la first lady alla Città Proibita (AP Photo, file)

A luglio del 1971, Kissinger fece un viaggio segreto in Cina per discutere le questioni diplomatiche più delicate in vista di un’eventuale visita ufficiale di Nixon. In particolare quella più importante era la questione di Taiwan, sulla quale Kissinger si mostrò disponibile ad andare incontro ai cinesi dicendo che gli Stati Uniti non avrebbero tentato di imporre una netta separazione tra Cina e Taiwan (anche se poi, nelle sue memorie, Kissinger scrisse che la questione di Taiwan fu trattata solo marginalmente).

In ogni caso, il viaggio di Kissinger confermò le aperture in corso tra le due parti, un passaggio fondamentale che avrebbe portato poi al viaggio di Nixon dell’anno seguente, che fu un successo dal punto di vista politico e diplomatico. Dopo essersi incontrato con Mao il 21 febbraio, Nixon girò la Cina per sette giorni con la first lady Pat Nixon, a cui il primo ministro Zhou Enlai regalò due esemplari di panda gigante, poi inviati allo zoo nazionale di Washington.

Nixon assistette a manifestazioni sportive e culturali, partecipò a vari pranzi durante i quali venne fotografato mentre si esercitava a usare le bacchette. Visitò i siti e i monumenti cinesi più significativi, come la Città Proibita e la Grande Muraglia. Quando la vide disse: «Non si può negare che sia grande, e che solo un grande popolo può averla costruita». Nel frattempo approfittò del clima di apertura per chiedere la liberazione di un agente della CIA, John T. Downey, che era stato fatto prigioniero venti anni prima durante la Guerra di Corea. Sarebbe stato liberato nel 1973.

Pochi anni dopo la visita di Nixon, la Cina e gli Stati Uniti giunsero alla definitiva normalizzazione dei rapporti: nel dicembre del 1978 i due paesi annunciarono che dall’anno successivo ci sarebbe stato un riconoscimento reciproco dei rispettivi governi, i quali avrebbero stabilito normali relazioni diplomatiche.