Tra Mattarella e Meloni le cose vanno male da tempo
E in questi tre anni di governo il rapporto, se possibile, si è ulteriormente logorato

Martedì pomeriggio, quando la polemica tra Fratelli d’Italia e la presidenza della Repubblica era già iniziata, Giorgia Meloni ha provato a ridimensionarla. Il suo più fidato consigliere politico, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, ha voluto precisare che nessuno, in Fratelli d’Italia, ha mai messo in discussione la lealtà istituzionale del presidente della Repubblica. La veemente richiesta di chiarimento nei confronti del Quirinale fatta in modo irrituale dal capogruppo del partito alla Camera, Galeazzo Bignami, era indirizzata solamente al consigliere di Sergio Mattarella coinvolto nella polemica, e cioè Francesco Saverio Garofani, e non al presidente.
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I contorni della vicenda sono ancora da chiarire. Di certo però i rapporti tra Mattarella e Fratelli d’Italia sono, da sempre, tutt’altro che distesi e sereni come ieri Fazzolari ha voluto far intendere.
Per certi versi la diffidenza tra Mattarella e l’estrema destra è antichissima. Da esponente del cattolicesimo di sinistra e dirigente della Democrazia Cristiana, Mattarella già all’inizio degli anni Novanta, quando i partiti di centro dovevano discutere la loro collocazione nel nuovo scenario politico (se stare col centrodestra o col centrosinistra), fu tra quelli che più fermamente si batterono contro l’alleanza dei democristiani con la coalizione guidata da Silvio Berlusconi. E questa sua convinzione derivava anche dal ritenere impraticabile un’intesa col partito postfascista Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, erede del Movimento Sociale Italiano e antenato dell’attuale Fratelli d’Italia. Su RaiPlay è ancora disponibile un dibattito televisivo fatto il giorno dopo la famosa “discesa in campo” di Berlusconi, nel 1994: a confrontarsi, tra gli altri, ci sono appunto Mattarella e Fini, e lo scambio di battute tra loro è piuttosto salace.
Ma è stato in tempi più recenti che questo rapporto si è logorato, quando Mattarella assunse per la prima volta l’incarico di presidente della Repubblica. Nel gennaio del 2015, quando su iniziativa dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi il parlamento elesse per la prima volta Mattarella come capo dello Stato, Fratelli d’Italia contestò molto la scelta. Meloni, che proponeva invece il giornalista Vittorio Feltri come presidente della Repubblica, scrisse un tweet molto polemico: «E dal cilindro del rottamatore [così veniva chiamato Renzi, ndr] esce Mattarella, già ministro con Andreotti, Goria, Amato. Tutto cambia perché nulla cambi». Tra le risposte a quel post ce n’è una proprio di Fazzolari: «Direi: dal cilindro del rottamatore esce un rottame».
E dal cilindro del rottamatore esce #Mattarella, già ministro con Andreotti, Goria, Amato. Tutto cambia perché nulla cambi #feltripresidente
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) January 29, 2015
Non solo. Prendendo spunto dal fatto che Mattarella aveva ottenuto 665 voti, Fazzolari scherzò dicendo che si era fermato «a un passo dal numero della bestia 666. Aspirante anticristo».
Tre anni più tardi, gli attacchi di Meloni a Mattarella si fecero ancora più duri. Nel maggio del 2018 Mattarella si rifiutò di nominare Paolo Savona come ministro dell’Economia nel governo di Giuseppe Conte sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle. Per Meloni questa decisione del capo dello Stato rendeva «drammaticamente evidente che il presidente Mattarella è troppo influenzato dagli interessi delle nazioni straniere». E così fu lei la prima a invocare l’impeachment, cioè la messa in stato d’accusa per Mattarella, un’iniziativa eclatante e quantomeno audace, a cui poche ore dopo si accodò anche il M5S.
Lo stesso Fazzolari su Twitter invitò Mattarella a rileggersi «l’articolo 1 della Costituzione, si accorgerà che è scritto in italiano, non in tedesco o in francese», di nuovo alludendo a un presunto asservimento del capo dello Stato a poteri stranieri.
Questi tweet di Fazzolari ebbero poi un peso nell’ottobre del 2022, quando Meloni, dopo aver vinto le elezioni, si accingeva a comporre la sua squadra di governo. Alcuni giornali, come L’Espresso, recuperarono quelle dichiarazioni e le pubblicarono, proprio nelle ore in cui si parlava con insistenza di una possibile nomina di Fazzolari come principale sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lui si affrettò a cancellare il suo profilo, così da evitare che i tweet più imbarazzanti circolassero: ma ormai già circolavano gli screenshot, e la sua nomina venne, anche per questo, evitata. Solo in un secondo momento fu indicato da Meloni come suo sottosegretario, ma con deleghe formalmente ridotte (l’Attuazione del programma).
D’altronde Meloni non nascose la sua totale contrarietà all’ipotesi di riconfermare Mattarella per un secondo mandato, nel 2022. «Chiunque meglio di lui», disse alla Camera, quando quella prospettiva iniziò a farsi concreta. E quando Matteo Salvini, allora leader del centrodestra, dopo giorni confusi e caratterizzati da alcuni suoi grossolani errori tattici, decise infine di dare il proprio sostegno alla rielezione di Mattarella, Meloni lo criticò apertamente. Disse di non volerci credere, e per mesi non volle incontrare l’alleato leghista.
Tutto ciò non indusse però Mattarella a complicare la nascita del governo di Meloni, nell’ottobre dell’anno della sua rielezione. Anzi, per certi versi, in quei giorni di turbolente tensioni con Forza Italia, il capo dello Stato dette in più occasioni il suo contributo per consentire che la formazione del governo non venisse compromessa dalle iniziative ostili di Berlusconi. Da lì in poi, tra Meloni e Mattarella si sviluppò un rapporto di cordiale lealtà istituzionale – garantito soprattutto dalla collaborazione tra il segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano – che però col tempo è diventato sempre più complicato, soprattutto nel corso del 2025.
Ad agosto la newsletter Montecit. del giornalista del Post Valerio Valentini aveva elencato le moltissime questioni – sia di politica internazionale, sia relative a specifiche norme – su cui c’erano stati attriti tra Meloni e Mattarella. Tra le altre, l’abuso della decretazione d’urgenza, alleanze internazionali, le questioni legate alla sicurezza, alla gestione dell’ordine pubblico e alle carceri, la questione Starlink e i rapporti con Elon Musk, il revisionismo storico sul manifesto di Ventotene. «Si spiega così anche la scelta di Mattarella di far sapere che non ama certo molte delle leggi che deve firmare, ma che le firma perché quello impone il suo ruolo», aveva scritto Valentini.
Alcune di queste questioni, peraltro, tiravano in ballo proprio il consigliere Garofani. È stato lui, infatti, a seguire particolarmente da vicino la questione di Starlink, cioè un accordo tra Musk e l’Italia per utilizzare i suoi servizi di telecomunicazione satellitare in ambito militare e istituzionale, accordo che poi non si è concluso. È stato Garofani a incontrare gli esponenti del governo favorevoli all’accordo, e anche alcuni mediatori dell’azienda. È stato lui, poi, a limitare le insistenze di Andrea Stroppa, il referente in Italia di Musk, che voleva promuovere il progetto e che cercava di accreditarsi direttamente col presidente della Repubblica. È stato lui, infine, a spiegare a vari membri del governo e delle forze armate le tante perplessità che il capo dello Stato aveva su quell’ipotesi di accordo.
Nel febbraio del 2022, quando Mattarella nominò Garofani consigliere per gli Affari del Consiglio supremo di difesa, fu il solito Fazzolari a criticare questa scelta: «In Europa torna la guerra e l’Italia per la prima volta non avrà un militare come Segretario del Consiglio supremo di difesa, ma un politico del PD: Francesco Saverio Garofani. Lo ha deciso il presidente della Repubblica Mattarella. Ci guadagna il PD, non l’Italia», scrisse su X.
Il Consiglio supremo di difesa è un organismo molto delicato: è la riunione che periodicamente il capo dello Stato presiede, e in cui analizza insieme al presidente del Consiglio e ai ministri coinvolti le principali questioni militari, di sicurezza nazionale e di intelligence. È una riunione segreta, alla quale il consigliere preposto del presidente della Repubblica è uno dei pochi, insieme al segretario generale del Quirinale, a essere ammesso. Gli articoli della Verità che rivelavano le frasi di Garofani al centro della polemica di queste ore sono stati pubblicati martedì, il giorno dopo un Consiglio supremo di difesa in cui Mattarella aveva ribadito, tra l’altro, la necessità di proseguire nel sostegno politico e militare all’Ucraina.



