Le molte cose su cui Mattarella e Meloni non vanno d’accordo

Politiche europee e relazioni diplomatiche del governo, soprattutto, su cui il capo dello Stato comincia a essere più perentorio

Foto di Mattarella e Meloni che parlano a un evento per il centenario dell'Aeronautica Militare italiana
Meloni e Mattarella a Roma per la celebrazione del centenario dell'Aeronautica Militare italiana, il 28 marzo 2023 (Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse)
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Martedì il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato la legge annuale sulla concorrenza del 2022. Nel farlo, però, ha segnalato alcune sue obiezioni di merito sul contenuto del provvedimento, che disciplina vari settori del mercato nazionale: Mattarella ha scritto infatti una lettera ai presidenti di Camera e Senato esprimendo la sua contrarietà nei confronti della proroga delle concessioni dei commercianti ambulanti per altri 12 anni decisa dal governo. La legge è comunque entrata in vigore.

La promulgazione è l’atto formale con cui il capo dello Stato, Mattarella appunto, rende pienamente esecutivo un provvedimento approvato dal parlamento. La Costituzione assegna al presidente della Repubblica anche il potere di opporsi alla convalida di una legge, rinviando alle camere il testo con un messaggio motivato, anche se poi deve comunque promulgarla se il parlamento la approva una seconda volta.

Mattarella in questo caso ha scelto una via intermedia: non ha messo il veto ma ha espresso una sua valutazione, e non è la prima volta che lo fa. Su molti temi, specialmente alcuni che riguardano i rapporti con l’Unione Europea e il rispetto delle sue raccomandazioni, le visioni del governo e del capo dello Stato divergono molto. Per farlo notare, Mattarella usa questo metodo che da un lato non intralcia il percorso dei provvedimenti del governo, dall’altro però fa risaltare una distanza tra lui e il governo mettendo quest’ultimo in una posizione politicamente scomoda.

La legge annuale sulla concorrenza del 2022, che è stata voluta dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso l’11 luglio del 2023 e poi approvata in via definitiva dal parlamento il 19 dicembre scorso, rientra tra gli impegni fissati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), cioè il grande progetto di investimenti europei che per l’Italia prevede quasi 200 miliardi di euro. In particolare, la legge sulla concorrenza è uno dei traguardi che il nostro paese doveva conseguire entro il quarto trimestre del 2023. «E pertanto, al fine di adempiere all’impegno assunto in sede europea, è necessario procedere con sollecitudine alla promulgazione», ha scritto Mattarella.

Nonostante i tempi stretti, Mattarella ci ha tenuto a criticare l’articolo 11 della legge. È quello che disciplina le procedure con cui i comuni possono assegnare le nuove concessioni per l’occupazione degli spazi pubblici per la vendita ambulante (come le piazzole di sosta e i posteggi nei mercati di strada), secondo criteri che privilegiano chi già detiene quelle licenze. Inoltre, la legge appena promulgata fa a sua volta riferimento a una legge approvata durante l’emergenza della pandemia (la legge 77 del luglio 2020) che consentiva la proroga per dodici anni a tutte le concessioni che sarebbero scadute entro il dicembre del 2020. Ora per tutti i casi in cui i comuni non avessero ancora provveduto a concludere le assegnazioni di nuove licenze di fatto si applicherà quella proroga.

In sintesi, la nuova legge sulla concorrenza offre a tutte le amministrazioni locali una soluzione facile per non mettere a gara le concessioni, estendendo la proroga fino al 2032.

Per questo Mattarella scrive nella sua lettera che la legge «appare incompatibile con i principi più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia [europea], dalla Corte costituzionale, dalla giurisprudenza amministrativa e dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di apertura al mercato dei servizi». Il paradosso è che la legge sulla concorrenza dovrebbe servire proprio a questo: garantire una maggiore apertura al mercato, contrastando monopoli e poteri delle corporazioni secondo quanto chiede la Commissione Europea.

I deputati di Fratelli d’Italia protestano in aula contro la messa a gara delle concessioni balneari, il 17 febbraio 2022 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

La notizia della lettera di Mattarella è stata accolta con un certo fastidio dai partiti di maggioranza, in particolare dalla Lega di Matteo Salvini. La destra italiana del resto è storicamente contraria alla messa a gara delle concessioni ai venditori ambulanti. Se infatti la tendenza ad assecondare questa specifica “lobby” (così come quelle dei tassisti e dei balneari) negli anni è stata piuttosto trasversale e condivisa anche dai partiti e dai governi di centrosinistra, la destra unisce a questa diffidenza nei confronti della concorrenza anche una propaganda contro l’Unione Europa, accusandola di volere il fallimento delle piccole aziende italiane in favore delle multinazionali.

È la stessa logica che spiega perché la destra è contraria alla messa a gara delle concessioni balneari, un altro tema su cui in passato sempre Mattarella aveva criticato le scelte del governo. Il 24 febbraio del 2023 aveva promulgato la conversione del cosiddetto decreto “Milleproroghe”, con cui il governo ogni anno prolunga la validità delle norme in scadenza, ma aveva contestualmente inviato una lettera ai presidenti di Camera e Senato per segnalare «specifiche e rilevanti perplessità» sulla proroga delle concessioni balneari inserita dal governo in quel provvedimento. Anche in questo caso parliamo di un problema irrisolto che l’Italia si trascina da oltre quindici anni, e su cui la destra e Giorgia Meloni hanno sempre fatto una propaganda agguerrita.

In quella lettera Mattarella se l’era presa con le proroghe decise dal governo di Meloni per prolungare la validità delle concessioni balneari fino al 2024 o al 2025, aggirando così una sentenza del Consiglio di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa, che nell’ottobre del 2021 aveva indicato il 31 dicembre 2023 come termine massimo oltre il quale quelle licenze sarebbero decadute. Mattarella aveva scritto che per questo motivo erano «indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e parlamento» per correggere la stortura. Nei dieci mesi seguenti la maggioranza di destra non ha adottato misure in questo senso, anzi ha adottato diversi stratagemmi per rinviare la decisione e permettere nuove proroghe.

Questo atteggiamento attendista non è mutato neppure dopo che il 16 novembre scorso la Commissione Europea ha emesso un parere motivato contro l’Italia, prevedendo di avviare una procedura d’infrazione a partire da metà gennaio. Il 28 dicembre scorso il ministro dei Trasporti Salvini nel corso del Consiglio dei ministri ha letto un’informativa per prendere altro tempo, in cui ha suggerito di raccomandare ai comuni di non procedere con la messa a gara delle concessioni balneari nei loro territori di competenza.

Balneari e ambulanti non sono gli unici temi di politica europea su cui governo e capo dello Stato la vedono in modo diverso. Mattarella in queste ultime settimane è tornato più volte su un tema che gli sta particolarmente a cuore: l’urgenza di superare il voto all’unanimità in Consiglio Europeo per le decisioni sulla difesa comune e sulla politica estera.

Meloni con Macron e la presidente della Commissione Europea Von der Leyen a Malta, il 29 settembre 2023 (Filippo Attili/La Presse)

La necessità di trovare ogni volta l’accordo di tutti i 27 Stati membri, prevista dai trattati fondamentali dell’Unione, rende complicate le scelte dei governi e costringe a negoziati lunghi, che si concludono spesso con compromessi modesti, oltre a spingere alcuni paesi a usare l’arma dell’ostruzionismo a oltranza esercitando il loro diritto di veto. Per Mattarella, la necessità di superare l’anacronistico principio dell’unanimità a favore di un più ragionevole sistema di voto a maggioranza è ancora più evidente ora che si discute dell’ulteriore allargamento dell’Unione Europea, che nei prossimi anni potrebbe accogliere anche paesi dei Balcani occidentali e dell’Europa dell’Est. Tuttavia Meloni si è sempre detta contraria a questo cambiamento, anzi ha più volte ribadito che rimuovere il vincolo dell’unanimità proprio a ridosso dell’ingresso di nuovi membri sarebbe una sorta di sgarbo nei confronti di chi vuole aderire.

Nel settembre scorso è emersa un’altra divergenza in campo europeo tra Meloni e Mattarella, quando lei e altri ministri del suo governo avevano alimentato una polemica contro Paolo Gentiloni, il commissario europeo agli Affari economici, accusato di non fare abbastanza per aiutare l’Italia nelle complicate trattative in corso con la Commissione Europea sul PNRR e su materie fiscali e finanziarie. Dopo settimane di critiche e di accuse verso Gentiloni, che è un esponente del Partito Democratico e dunque considerato un avversario politico da Fratelli d’Italia, Mattarella ricevette Gentiloni stesso al palazzo del Quirinale, la sede della presidenza della Repubblica.

Non ci furono comunicati né dichiarazioni ufficiali, ma il gesto fu abbastanza eloquente, e testimoniò in maniera piuttosto inequivocabile l’orientamento di Mattarella: mettere a tacere le polemiche e rinnovare la fiducia a Gentiloni.

Insomma, nonostante il garbo istituzionale con cui si confrontano, gli approcci di Meloni e di Mattarella sono assai diversi. Oltre alle questioni europee elencate finora ci sono anche le relazioni con la Francia, solo per fare un altro esempio. Più volte il governo italiano è entrato in contrasto con quello francese, con reciproco scambio di critiche, da quando Meloni è presidente del Consiglio. Alla base c’è una diffidenza tra Meloni ed Emmanuel Macron, con cui Meloni aveva polemizzato molto negli anni, anche con attacchi piuttosto sgradevoli. Il rapporto tra i due resta complicato, ed è capitato che per questo Mattarella abbia svolto con discrezione una funzione di supplenza in questo senso, mantenendo sempre buone consuetudini con Macron e contribuendo più volte a una distensione delle relazioni.

In un caso questo ruolo di supplenza ha provocato risentimento tra i dirigenti di Fratelli d’Italia. Subito dopo la nascita del governo di Meloni, a seguito di una dura polemica tra Italia e Francia intorno all’accoglienza di 234 migranti a bordo della nave Ocean Viking, Mattarella ebbe un colloquio telefonico con Macron per ribadire la necessità di collaborazione. Questo intervento venne visto da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia come una specie di opposizione politica al governo di Meloni sulla gestione dei migranti, e ci fu un commento un po’ stizzito del presidente del Senato Ignazio La Russa: «Credo che l’opera del presidente Mattarella sia sempre utile, ma credo anche che la fermezza del nostro governo possa e debba essere condivisa».

È irrituale che il presidente del Senato, cioè la seconda carica dello Stato, commenti con toni critici l’operato del presidente della Repubblica, che invece è la prima.

Meloni e Mattarella con il presidente del Senato Ignazio La Russa durante le celebrazioni per la festa della Repubblica, il 2 giugno 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Oltre alle questioni diplomatiche e di politica europea, poi, ha richiamato il governo anche in maniera più puntuale su alcuni provvedimenti. Quasi sempre, però, più che per il merito delle leggi, per il metodo con cui venivano approvate. Mattarella è sempre stato piuttosto rigoroso nel ribadire la sua contrarietà nei confronti di provvedimenti troppo eterogenei, in cui vengono cioè inserite norme molto diverse tra loro. Perlopiù lo fa attraverso segnalazioni informali e riservate tra i consiglieri legislativi del Quirinale e quelli del governo. In un paio di circostanze, però, gli interventi dei collaboratori di Mattarella in questo senso sono stati più evidenti.

Nel novembre del 2022, ad esempio, la proroga della norma che consentiva al governo di proseguire con l’invio di armi all’Ucraina per tutto il 2023 venne inserita in un emendamento a un decreto che si occupava di sanità calabrese. Dopo alcune polemiche in parlamento, il ministro della Difesa si confrontò col Quirinale e poi decise di ritirare quell’emendamento, riproponendo poche settimane dopo la misura in un provvedimento specifico dedicato al tema. Nel febbraio 2023, invece, i consiglieri di Mattarella segnalarono ai collaboratori di Meloni che sarebbe stato opportuno rimuovere una norma sui diritti televisivi delle squadre di calcio di Serie A, fortemente voluta dal senatore di Forza Italia Claudio Lotito, dal decreto Milleproroghe in via di approvazione. Il governo accolse la richiesta del Quirinale.

Infine, c’è una certa distanza tra Meloni e Mattarella anche su una questione che non riguarda né le leggi né la diplomazia. Il 20 dicembre scorso, nel suo intervento alla tradizionale cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni e i leader politici, Mattarella ha letto un discorso che conteneva un passaggio piuttosto critico nei confronti di «oligarchi di diversa estrazione» che «si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social, agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri».

Queste frasi sono state notate da molti commentatori e messe in relazione con la visita di Elon Musk a Roma in occasione del raduno nazionale di Fratelli d’Italia, Atreju, pochi giorni prima. L’amministratore e fondatore di Tesla e SpaceX, oltreché proprietario di X (Twitter), aveva anche incontrato Meloni e Salvini in riunioni riservate, e in quei colloqui peraltro il governo italiano aveva fatto capire di volersi impegnare contro la procedura d’infrazione nei confronti di X, avviata dalla Commissione Europea per motivi legati ai rischi di disinformazione.

Nel suo discorso, due giorni dopo, Mattarella ha detto: «È alla politica, alle democratiche istituzioni rappresentative che vanno affidate le scelte e le decisioni che incidono sulla vita sociale e sulla libertà dei cittadini, non alle strategie di grandi gruppi finanziari in base ai loro interessi, che vanno rispettati ma nell’ambito delle regole che devono osservare per tutelare i valori fondamentali della convivenza civile».