La prima condanna a un soldato russo per l’esecuzione di un prigioniero di guerra in Ucraina
È un reato frequente e ampiamente documentato, ma difficile da perseguire

Un tribunale ucraino ha condannato il soldato russo Dmitry Kurashov all’ergastolo per aver ucciso un soldato ucraino che si era arreso sul campo di battaglia: è la prima condanna in un processo di questo tipo. I soldati che si arrendono sono da considerarsi prigionieri di guerra e sono quindi protetti dalla terza Convenzione di Ginevra, uno dei trattati fondativi del diritto internazionale: ucciderli in queste circostanze equivale a un’esecuzione ed è considerato un crimine di guerra.
Kurashov ha 27 anni ed è uno degli oltre 100mila carcerati russi che avevano scelto di combattere in Ucraina in cambio di un’amnistia totale dei loro reati. La sua storia è emblematica della strategia russa di arruolare quante più persone possibili per sopraffare le truppe ucraine, mandandole a combattere con un addestramento minimo e senza spiegare loro le regole da rispettare. Il suo caso però è anche eccezionale: in oltre tre anni di guerra in Ucraina ci sono state più di 150 esecuzioni documentate di prigionieri di guerra ucraini per mano di soldati russi, ma nella maggior parte dei casi è impossibile perseguire i presunti responsabili, dato che non vengono catturati dall’esercito ucraino.
Kurashov non ha mai testimoniato in tribunale, ma ha raccontato la sua storia in diverse interviste. Si è arruolato mentre stava scontando una condanna per furto e appropriazione indebita in una colonia penale russa, e gli mancavano ancora cinque anni. Ha detto di aver ricevuto 21 giorni di addestramento, durante i quali lui e i suoi compagni erano quasi sempre ubriachi, anche perché molti erano coscienti di essere stati reclutati sostanzialmente per andare a morire. Ha detto che nessuno gli aveva parlato delle Convenzioni di Ginevra e del divieto di uccidere i soldati che si arrendono, e che anzi i suoi istruttori gli avevano detto di non fare prigionieri.
La sua avvocata Anna Karpenko ha ripetuto la stessa cosa al processo, così come la polizia ucraina, secondo cui «le perizie, le dichiarazioni dei testimoni e i filmati della scena hanno confermato che il soldato russo ha deliberatamente ucciso il prigioniero di guerra su ordine dei suoi comandanti, che avevano dato istruzioni alle truppe di non catturare soldati ucraini».

Kurashov ascolta la traduttrice durante l’udienza del 6 novembre 2025 (ANSA/EPA/OLEG MOVCHANIUK)
Kurashov ha detto che pensava di essere mandato a scavare trincee al fronte, ma che si era invece trovato a combattere in prima linea nella regione di Zaporizhzhia. È stato giudicato colpevole di aver sparato al soldato ucraino 41enne Vitalii Hodniuk diversi colpi mentre strisciava fuori da una trincea disarmato. Lui e altri suoi compagni sono stati poi sopraffatti dalle truppe ucraine e catturati.
Il processo era iniziato a giugno. Kurashov si era dichiarato prima innocente, poi colpevole, quindi aveva di fatto ritrattato, sostenendo di averlo fatto solo per accelerare il processo e sperando di essere incluso in uno scambio di prigionieri. Ha attribuito l’omicidio a un altro soldato della sua unità, poi morto in battaglia, ma è stato accusato dagli altri soldati russi presenti, anche loro prigionieri di guerra.
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, a febbraio del 2022, l’esercito russo ha compiuto molte azioni considerate crimini di guerra e crimini contro l’umanità: tra gli altri il massacro di Bucha, nelle prime settimane di guerra, e gli attacchi con droni contro i civili nella regione di Kherson, definiti come tali a maggio del 2025 da una commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite.
Di questi crimini si stanno occupando principalmente i tribunali ucraini, che da tre anni indagano su migliaia di episodi di questo tipo e hanno già condannato decine di soldati russi. La Corte penale internazionale ha emesso dei mandati d’arresto per il presidente russo Vladimir Putin e per alcuni suoi stretti collaboratori, fra cui due importanti ufficiali russi accusati di aver «condotto attacchi militari su obiettivi civili».



