Un po’ di storia italiana del Novecento, nelle vignette di Giorgio Forattini
Dal tappo a forma di Fanfani a Craxi raffigurato come Mussolini, passando per il sequestro Moro

Giorgio Forattini, morto ieri a 94 anni, è stato il più celebrato tra i vignettisti italiani soprattutto durante la Prima Repubblica, cioè fino alle inchieste sulla corruzione dei partiti note come “Tangentopoli” e all’elezione di Silvio Berlusconi nel 1994. Le sue vignette, che hanno accompagnato il racconto delle notizie politiche in Italia fin dagli anni Settanta, sono spesso ricordate per la loro efficacia nel rappresentare singoli momenti o svolte storiche: qui sono raccolte alcune delle più note.
Divorzio
Il 14 maggio del 1974 tutti i quotidiani italiani fecero il titolo sulla vittoria del “no” al referendum per l’abrogazione del divorzio introdotto quattro anni prima, referendum sostenuto attivamente dal Vaticano e da quei partiti che non erano riusciti a bocciare la legge in parlamento: la Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani e il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante, nostalgico del fascismo. La campagna per il referendum, il primo abrogativo della storia della Repubblica, ebbe un impatto mediatico significativo: i giornali si schierarono apertamente da una parte o dall’altra, i leader politici andarono in televisione, furono coinvolti personaggi famosi che presero parola pubblicamente, girarono spot cinematografici o incisero canzoni.
Il 12 e il 13 maggio, giorni del voto, andarono ai seggi più di 33 milioni di persone, l’87,72 per cento di chi ne aveva diritto, e il “no” vinse con il 59,26 per cento dei voti. Sulla prima pagina di Paese Sera Forattini raccontò la vittoria del “no” disegnando una bottiglia di champagne con un tappo, raffigurato come Amintore Fanfani (che era «uomo basso», dirà più tardi il vignettista), che saltava via.

Giulio Andreotti e Aldo Moro
Il 16 marzo del 1978 Aldo Moro, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana, venne rapito dalle Brigate Rosse. Quella mattina Moro era atteso in parlamento per votare la fiducia al nuovo governo presieduto da Giulio Andreotti, che per la prima volta avrebbe avuto il sostegno del Partito Comunista Italiano. Durante i 55 giorni del sequestro Moro le Brigate Rosse recapitarono vari comunicati con i quali spiegarono i motivi del sequestro e le condizioni di una possibile trattativa per la liberazione di Moro, proponendo anche di scambiare la vita di Moro con la libertà di 13 persone in quel momento in carcere. Lo stesso Moro scrisse al segretario della Democrazia Cristiana Zaccagnini pregandolo di salvargli la vita.
Il segretario Zaccagnini raffigurato da Forattini sulla croce simbolo della DC, con l’espressione addolorata per dover sostenere la linea della fermezza; sulle sue braccia sono appollaiati vari leader di partito (Moro, Berlinguer, Spadolini) e papa Paolo VI
La politica si divise in due: da una parte c’era chi sosteneva la linea cosiddetta della trattativa, come il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, e dall’altra chi sosteneva la linea della fermezza, promossa dal governo di Giulio Andreotti ma anche da altri partiti, secondo i quali scarcerare i brigatisti e trattare con loro avrebbe costituito una resa da parte dello Stato e una legittimazione politica per i terroristi. Prevalse il secondo orientamento e dopo 55 giorni di detenzione Moro venne ucciso.

Tangentopoli
Il 17 febbraio del 1992 venne arrestato Mario Chiesa, un ingegnere che dal 1969 faceva politica nel Partito Socialista e che era presidente del Pio Albergo Trivulzio, una casa di cura e di riposo di Milano che aveva acquisito un enorme patrimonio immobiliare. Quello fu il giorno in cui venne resa nota l’inchiesta che divenne poi conosciuta come “Mani pulite”, la più grande indagine giudiziaria sulla corruzione mai svolta in Italia, che arrivò a coinvolgere quasi tutti i partiti accusati di aver messo in piedi un esteso sistema di finanziamenti illeciti e tangenti, con la collaborazione di un gran pezzo dell’imprenditoria nazionale. Dopo la notizia dell’arresto di Chiesa Bettino Craxi, allora segretario del PSI, prese le distanze da lui definendolo pubblicamente un semplice «mariuolo»: per salvaguardare il partito e suggerire che l’episodio fosse un caso singolo e non un problema sistemico.
Craxi raffigurato da Forattini che violenta l’Italia turrita, con in testa una berretta da cardinale
Craxi
Nel 1985 l’allora presidente del Consiglio Craxi firmò la convenzione per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina, pronunciandosi a favore di una sua rapida realizzazione. Nel tempo, e soprattutto in piena stagione di Mani pulite, Forattini raffigurò spesso Craxi con la mascella volitiva e con gli stivali neri che ricordavano la figura di Benito Mussolini. Nell’aprile del 1993 lo raffigurò a testa in giù con un cappio legato ai piedi, a commento del fatto che il parlamento negò l’autorizzazione a procedere contro Craxi, chiesta dalla procura di Milano.

Falcone
Il 23 maggio del 1992 ci fu un’esplosione sul tratto dell’autostrada A29 all’altezza dello svincolo per Capaci-Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. L’obiettivo erano le tre auto blindate del convoglio che trasportava il giudice Giovanni Falcone e sua moglie dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Falcone faceva parte della squadra di magistrati che indagava su Cosa Nostra e che aveva istruito il celebre “maxiprocesso” alla mafia, il più grande che fosse mai stato celebrato e sicuramente quello con il più alto numero di imputati: 476. Fu un processo fondamentale perché per la prima volta venne scritta in una sentenza definitiva, quella della Cassazione del 30 gennaio del 1992, l’esistenza di un’associazione mafiosa, unica e organizzata in maniera verticistica, governata da un gruppo (la celebre “cupola”) che fungeva da commissione di controllo.

Nell’attentato, oltre a Falcone e alla moglie Francesca Morvillo, morirono anche i tre agenti della sua scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. A organizzare l’attentato fu Giovanni Brusca, considerato da Totò Riina uomo di completa fiducia. A pochi giorni dall’attentato Forattini disegnò sulla prima pagina di Repubblica la Sicilia come una testa di coccodrillo che piange. È una delle vignette in cui si nota di più la capacità figurativa di Forattini, maggiore rispetto a quella di molti altri vignettisti.
Cossiga
Francesco Cossiga, storico leader della Democrazia Cristiana e ottavo presidente della Repubblica Italiana dal 1985 al 1992, è ricordato con il soprannome di “picconatore”. A partire dalla caduta del muro di Berlino, nel 1989, Cossiga iniziò a prendersela frequentemente con i partiti e a rimproverarli su varie questioni di politica interna e internazionale. Il soprannome è dovuto a una definizione che lo stesso Cossiga diede a queste esternazioni imprevedibili e perentorie: «picconature».

Il picconatore piccona con tanta foga che si piccona da solo
D’Alema
Nel settembre del 1999 in Italia venne pubblicato il primo di tre libri scritti dallo storico inglese Christopher Andrew sull’archivio di Vasilij Mitrokhin, un ex funzionario del KGB, i servizi segreti sovietici, che dichiarava di aver raccolto e copiato numerosi documenti segreti sull’attività svolta all’estero dal KGB. Secondo il libro, dai documenti emergeva che numerose spie agivano in vari paesi per conto del KGB, ruolo che in Italia sarebbe stato svolto prevalentemente da funzionari del PCI, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Dopo la diffusione della notizia da più parti si cominciò a chiedere a Massimo D’Alema, allora capo del governo, di rendere pubblica la lista dei nomi contenuti nel dossier Mitrokhin.
D’Alema parlò di strumentalizzazione politica, invocò il segreto istruttorio poiché nel frattempo il dossier era stato consegnato ai magistrati della procura di Roma, e per ragioni di opportunità politica cercò di ritardare il più possibile quel momento. Alla fine D’Alema cedette e l’11 ottobre consegnò il dossier alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia, la quale decise all’unanimità di renderlo pubblico. Alla fine, dunque, la lista venne pubblicata dai giornali, ma solo parzialmente.
Repubblica pubblicò in prima pagina una vignetta di Forattini in cui Massimo D’Alema è seduto alla scrivania, con alle spalle un ritratto di Marx, e usa il bianchetto su un lungo rotolo di carta. Per questa vignetta Forattini venne querelato da Massimo D’Alema, che chiese un risarcimento di 3 miliardi di lire (che oggi sarebbero circa 2,5 milioni di euro), ma poi ritirò la richiesta. Il caso fu dunque archiviato con una dichiarazione di Forattini che diceva di «aver voluto esclusivamente fare della satira, senza alcun riferimento a fatti reali». In seguito a questa vicenda, non sentendosi sostenuto dal suo quotidiano, Forattini decise di lasciare Repubblica.

Berlinguer
Il 2 dicembre del 1977 i metalmeccanici convocarono uno sciopero generale e manifestarono a Roma con i giovani del movimento, le femministe e alcuni ambientalisti. Da una parte l’obiettivo era sindacale, lo sblocco delle vertenze, dall’altra era politico, cioè un cambiamento radicale della politica economica e industriale del governo che si era formato dopo le elezioni dell’anno precedente: un governo monocolore (ovvero con tutti i ministri dello stesso partito, la Democrazia Cristiana), guidato per la terza volta da Giulio Andreotti, che per un anno e mezzo fu costretto a contrattare tutti i principali provvedimenti con il PCI, in una continua opera di mediazione che aveva per protagonisti Andreotti da una parte ed Enrico Berlinguer, segretario del PCI, dall’altra.
Il PCI si impegnò di fatto a tenere a freno i sindacati ed evitare proteste più estese, entrando in conflitto con loro proprio in occasione della grande manifestazione del 1977. Dal PCI l’iniziativa era infatti vista come rischiosa perché avrebbe messo a repentaglio l’avvicinamento in corso all’area di governo. Fu in questo contesto che su Repubblica apparve una delle più note vignette di Giorgio Forattini, che mostrava un borghesissimo Enrico Berlinguer in vestaglia intento a sorseggiare un tè sotto un ritratto di Marx, mentre dalla finestra aperta del suo salotto arrivava il rumore delle proteste degli operai.



