In Europa nessuno fa lobby come le aziende di tecnologia
Spendono più di tutti gli altri, per cercare di influenzare le politiche dell'Unione Europea ed eliminare obblighi e restrizioni

Negli ultimi anni le principali aziende del settore tecnologico fra cui Meta, Microsoft, Apple, Amazon e Google hanno aumentato moltissimo le loro attività di lobby nelle istituzioni dell’Unione Europea, diventando di gran lunga quelle che ci spendono più soldi.
Dal 2023 al 2025 la spesa per attività di lobby di queste aziende è passata da 113 a 151 milioni di euro, un aumento del 33 per cento in appena due anni. Per mettere in prospettiva questo dato: la spesa totale delle dieci aziende di tecnologia che investono di più nelle attività lobby nelle istituzioni europee è maggiore di quella delle dieci principali aziende dei settori farmaceutico, finanziario e automobilistico messe assieme. Sono informazioni che emergono in un rapporto di Corporate Europe Observatory e LobbyControl, due organizzazioni che si occupano di sorvegliare le attività dei lobbisti, pubblicato mercoledì.
Questi numeri rispecchiano la crescente rilevanza che queste aziende hanno nell’economia dell’Unione e, anche, quanto le regole approvate dall’Unione influenzino il loro lavoro in territorio europeo. Non è un caso che l’Unione Europea riesca ad avere maggiore influenza nel settore tecnologico rispetto ad altri: la concorrenza fra aziende è uno dei pochi ambiti in cui l’Unione ha una competenza esclusiva, rispetto ai governi nazionali, e nella tecnologia abbondano aree grigie e potenziali monopoli.
Anche per questo negli ultimi quattro anni la spesa che le aziende del settore digitale hanno destinato a fare lobby – e quindi cercare di influenzare il lavoro legislativo per ottenere misure a proprio vantaggio – è raddoppiata.
Qualche altro numero interessante. I lobbisti del settore (che possono essere dipendenti delle aziende o persone pagate per fare i loro interessi) registrati presso le istituzioni europee sono 899, rispetto ai 699 nel 2023. Meta, l’azienda che controlla Instagram, WhatsApp e Facebook, è in assoluto l’azienda che nel 2025 ha speso di più: 10 milioni di euro. Nella prima metà del 2025 lobbisti del settore hanno avuto 146 incontri con funzionari della Commissione (l’organo esecutivo dell’Unione). Quelli con europarlamentari, per lo stesso periodo, sono stati 232.

Un uomo cammina all’interno di una delle due sedi del Parlamento Europeo, a Strasburgo (AP/Pascal Bastien)
Bruxelles è, notoriamente, piena di lobbisti, e la loro attività è prevista e regolamentata: al Parlamento Europeo, per esempio, devono girare con un badge marrone al collo, molto riconoscibile. Il Trattato sull’Unione Europea (il documento fondativo dell’Unione) ha specifiche disposizioni per regolarla nelle varie istituzioni. Esiste anche un Registro per la trasparenza, rafforzato dopo il cosiddetto Qatargate, che tiene conto dei lobbisti accreditati nelle istituzioni, delle spese che compiono, e dei loro incontri con i funzionari dell’Unione (proprio questo registro è la principale fonte dei dati del rapporto).
In linea generale le aziende tecnologiche vogliono contrastare i tentativi dell’Unione Europea di introdurre obblighi e restrizioni nei loro confronti, e cercare di rendere meno rigidi quelli già in vigore. Negli anni dal 2019 al 2024, la Commissione Europea aveva approvato diverse leggi per regolamentare il funzionamento delle grandi piattaforme digitali: per esempio, per rendere più trasparenti i loro dati e algoritmi, oppure per evitare che quelle più grandi e potenti creassero monopoli.
Queste iniziative sono sempre state accolte con grandi resistenze dalle aziende, in particolare da quelle più grosse con sede negli Stati Uniti. Per cambiare queste leggi, alcune hanno anche cercato il sostegno del presidente statunitense, Donald Trump: blandendolo apertamente, abolendo diverse misure invise alla destra statunitense, e in alcuni casi facendo donazioni sostanziose a Trump o ad associazioni e comitati a lui vicini. Il risultato è che Trump ha più volte minacciato di imporre ulteriori dazi commerciali contro l’Unione, se continuerà a regolamentare in maniera severa l’operato delle aziende di tecnologia statunitensi.

Da sinistra a destra, Mark Zuckerberg, Lauren Sanchez, Jeff Bezos (il proprietario di Amazon), Sundar Pichai (amministratore di Google) ed Elon Musk (il proprietario di Tesla e di X), alla cerimonia per l’inaugurazione di Donald Trump, il 20 gennaio 2025 (AP/Julia Demaree Nikhinson)
Oltre alle aziende di tecnologia, anche altre stanno investendo più soldi per fare lobby nelle istituzioni europee: per esempio, le aziende attive nel settore energetico e nella produzione di prodotti chimici per l’agricoltura, per influenzare il dibattito sulle leggi per la protezione dell’ambiente. In particolare sono interessate a influenzare l’attuazione del Green Deal, una serie di misure contro il riscaldamento globale approvata nel 2020, che la Commissione Europea sta ridimensionando.
Negli anni scorsi si è parlato spesso di come l’Unione Europea avesse un problema con le attività dei lobbisti, giudicati troppo influenti e poco trasparenti. Alcuni grossi scandali hanno riguardato il Parlamento Europeo: in quello più recente, nel marzo del 2025, il Belgio ha accusato un’importante azienda tecnologica cinese, Huawei, di avere corrotto alcuni parlamentari e funzionari al Parlamento Europeo per prendere decisioni in suo favore. Negli anni l’Unione Europea ha approvato diverse misure per assicurare che l’attività dei lobbisti avvenga in modo trasparente. La principale è il già citato Registro per la trasparenza. Le associazioni che si occupano di trasparenza sostengono però che siano misure troppo poco severe e facilmente aggirabili.



