Il cibo a Gaza non è ancora abbastanza
E quello che arriva viene in maggioranza rivenduto ai mercati, dove i prezzi rimangono troppo alti

Il numero di camion carichi di cibo e altri beni entrati nella Striscia di Gaza è aumentato molto da quando è cominciato il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, venti giorni fa. I mercati della Striscia sono di nuovo forniti, e i prezzi del cibo hanno cominciato a scendere leggermente, dopo aver raggiunto livelli eccezionali negli scorsi mesi. Ma la quantità di cibo che arriva alle persone di Gaza, soprattutto a quelle più in difficoltà, non è ancora sufficiente. Giovedì Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha detto che la situazione a Gaza è ancora «catastrofica» per molti.
L’accordo su Gaza negoziato dagli Stati Uniti – che sembra reggere, nonostante le accuse di violazione reciproche, i recenti bombardamenti israeliani e le uccisioni israeliane di palestinesi nei pressi della cosiddetta “yellow line” – prevede che entrino nella Striscia almeno 600 camion di cibo e altri beni ogni giorno. È una quantità teoricamente sufficiente, considerando che prima della guerra i camion che entravano a Gaza erano in media 500 al giorno.
Il problema è che soltanto una minoranza di questi camion trasporta aiuti umanitari da distribuire gratuitamente alla popolazione. Il grosso del carico è destinato alla rivendita presso le attività commerciali della Striscia, dove i prezzi sono ancora alti e dove i beni venduti non sono sempre adatti a soddisfare i bisogni delle persone malnutrite e indebolite da due anni di guerra e dalla carestia.

Un mercato a Khan Yunis, 23 ottobre 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)
È molto difficile calcolare quanti camion di aiuti umanitari siano entrati a Gaza dall’inizio del cessate il fuoco, anche perché COGAT, la divisione dell’esercito israeliano che gestisce i movimenti tra Israele e la Striscia di Gaza, ha smesso di pubblicare i dati sui movimenti transfrontalieri il 10 ottobre, giorno dell’entrata in vigore dell’accordo. Secondo una stima statunitense ottenuta dal New York Times, mercoledì 22 ottobre erano entrati nella Striscia in tutto 784 camion. Ma secondo i dati dell’ONU, di questi soltanto 199 erano di aiuti umanitari.
I dati dell’ONU potrebbero essere un po’ sottostimati, perché calcolano esclusivamente gli aiuti inviati dalle organizzazioni internazionali e non quelli dei paesi terzi, come l’Egitto o la Giordania, ma mostrano comunque come soltanto una frazione dei camion trasporti cibo e beni di prima necessità per la distribuzione a chi ne ha bisogno.
Come detto, i beni da rivendere nei negozi e nei mercati hanno ancora prezzi insostenibili: un chilo di carne di pollo, per esempio, è passato da circa 60 euro prima del cessate il fuoco a circa 20 euro adesso. Inoltre i camion per uso commerciale molto spesso trasportano cibi non essenziali, come biscotti, cioccolata e bibite. Le persone malnutrite, invece, hanno bisogno di mangiare proteine e frutta e verdura fresche. Quelle in condizioni più gravi hanno bisogno di cibo terapeutico, cioè cibo ad alto valore nutrizionale pensato apposta per contrastare i problemi della malnutrizione.
Fare in modo che a Gaza torni a svilupparsi il commercio privato e si ricrei un tessuto economico è importante, ma al momento secondo molte organizzazioni internazionali la quantità è sproporzionata rispetto all’emergenza.
Questo dipende anche dal fatto che a partire da quest’anno Israele ha imposto un nuovo e stringente sistema di registrazione delle ong che possono lavorare a Gaza, che impone alle organizzazioni di rendere nota l’identità dei propri dipendenti gazawi. Molte ong si sono rifiutate di farlo, per timore di esporre i propri dipendenti, e in risposta Israele sta bloccando decine di camion di aiuti. La settimana scorsa 41 ong, tra cui Oxfam e altre, hanno denunciato che tra il 10 e il 21 di ottobre (quindi a cessate il fuoco già in corso) Israele ha rifiutato 99 richieste di invio di aiuti umanitari.



