• Mondo
  • Martedì 21 ottobre 2025

Avere il deserto al posto di un lago

È successo agli abitanti della regione più povera dell’Uzbekistan, che con il prosciugamento dell’Aral hanno perso la principale fonte di sostentamento

di Valerio Clari

Urga, lago d'Aral, 23 settembre
(Valerio Clari/il Post)
Urga, lago d'Aral, 23 settembre (Valerio Clari/il Post)
Caricamento player

Nel suo momento di massima produttività, la pesca sul lago d’Aral in Uzbekistan dava lavoro a circa 10mila pescatori. Nel 1957 dal lago arrivavano 48mila tonnellate di pesce all’anno, il 13 per cento della produzione dell’intera Unione Sovietica: storione, passera pianuzza e altre 18 specie di pesci, oltre al 10 per cento del caviale dell’URSS. Tutto intorno al lago, e in particolare nella città portuale di Munyak, c’erano fabbriche in cui il pesce veniva inscatolato o essiccato sul posto. L’indotto dava lavoro alla comunità locale: il lago e la pesca erano la principale risorsa del Karakalpakstan, regione che occupa il nord-ovest dell’Uzbekistan e che fino al 1932 era una repubblica indipendente all’interno dell’URSS.

Oggi il Karakalpakstan è la regione più povera dell’Uzbekistan anche perché l’industria della pesca non esiste più: alla fine degli anni Sessanta oltre 16mila persone impiegate nel settore, fra pescatori e operai dell’indotto, sono rimaste senza lavoro. Non esiste più nemmeno il pesce e sta scomparendo anche il lago d’Aral, prosciugato da interventi umani sui fiumi che vi affluiscono, deviati per irrigare i campi di cotone a partire dagli anni Cinquanta (la storia della quasi scomparsa del lago d’Aral si legge qui).

Il disastro ecologico del lago d’Aral ha di fatto cancellato l’economia della regione, che non è stata sostituita da nulla. Qualche sussidio e impieghi governativi in impianti d’estrazione sono le poche risorse rimaste a disposizione. L’emigrazione verso il Kazakistan e la Russia è spesso una scelta obbligata.

L’insediamento di Urga con l’ex stabilimento di essiccamento del pesce e l’unica casa rimasta, 23 settembre 2025 (Valerio Clari/il Post)

Nell’insediamento abbandonato di Urga si vedono concretamente le conseguenze di questo processo. Ci si arriva seguendo una lunga strada sterrata dopo aver abbandonato quella principale, che da Nukus, la capitale del Karakalpakstan, va verso nord. Bisogna conoscerla, la strada: non ci sono cartelli, i navigatori non la prevedono e comunque nell’area non c’è campo telefonico né connessione internet.

Si trova sul bacino del lago Sudochie, che un tempo era un pezzo meridionale del più ampio lago d’Aral. Ora sembra destinato a sopravvivergli, perché ancora ha un piccolo fiume che lo alimenta, che nasce in Turkmenistan. A Urga, che ebbe al massimo circa 1.500 abitanti, c’era un’azienda dove il pesce veniva essiccato, confezionato e inviato in altre zone dell’Unione Sovietica: la fabbrica fu la prima a chiudere, quando negli anni Sessanta l’acqua dell’Aral iniziò a ritirarsi e Sudochie rimase un bacino più piccolo e non collegato al resto. Nel 1966 se ne andò anche l’ultimo residente.

Ora a Urga resta solo un guardiano della riserva ornitologica: in realtà sono due, che si danno il cambio ogni mese e vivono nell’unica casa rimasta vicino all’ex stabilimento ittico. Pescano, non professionalmente ma con una barchetta a remi: vendono qualche pesce alle guide che portano lì i turisti.

Il guardiano della riserva ornitologica di Urga, lago Sudochie, 23 settembre 2025 (Valerio Clari/il Post)

Urga, lago Sudochie, 23 settembre (Valerio Clari/il Post)

A nord di Urga comincia il deserto, l’Aralkum, che ha preso il posto del lago. Nella steppa si vedono da lontano i pozzi di estrazione: a partire dal 2000 è stata verificata la presenza di gas naturale sotto quello che era il fondo del lago. Imprese russe e cinesi, in collaborazione con il governo uzbeko, stanno lentamente aumentando le stazioni di estrazione e hanno costruito centrali termoelettriche. Il nuovo settore però ha portato poco lavoro alla popolazione locale: gli operai specializzati arrivano dall’estero o da altre parti dell’Uzbekistan, restano due settimane nelle foresterie degli impianti, poi tornano due settimane a casa e vengono sostituiti da altri lavoratori.

Per vivere in queste zone serve uno spirito da pionieri: nel villaggio Kubla-Ustyurt, anche conosciuto come K7, vivono 42 famiglie a ore di auto di distanza da qualsiasi altro centro urbano. L’insediamento risale a un periodo in cui le prime estrazioni di gas cominciarono per iniziativa del governo sovietico e venne costruito un gasdotto: c’è anche una piccola pista d’atterraggio, che veniva utilizzata per i rifornimenti da Mosca. Ora gli abitanti si occupano soprattutto di allevamento, non hanno l’acqua corrente e l’elettricità arriva da impianti solari: c’è una sola scuola per tutti, dalle elementari alle superiori. Sono gelosi del loro isolamento e non amano le visite da fuori. Restano lì per tradizione familiare e perché le tasse sono azzerate.

La pista d’atterraggio di Kubla-Ustyurt (Valerio Clari/il Post)

Da anni il governo uzbeko usa sussidi e incentivi ad aprire esercizi commerciali per cercare di sostenere l’economia della zona ed evitare lo spopolamento, senza troppo successo.

Darina Solod è la direttrice di uno dei pochi siti di informazione indipendenti dell’Uzbekistan, Hook.report. Dice: «Se sommassimo tutti i soldi che il governo ha annunciato che avrebbe investito nella regione si arriverebbe a una cifra altissima. Ma poi non c’è mai una rendicontazione o anche solo chiarezza su come questi fondi vengano spesi, dove finiscano».

Munyak, dove c’era il principale porto della zona, era una città da 60mila abitanti. Ora ne ha poco più di 13mila: sono passati più di sessant’anni dall’inizio del declino e non sono molti i testimoni dell’epoca migliore. I più giovani invece si lamentano del fatto che i salari restano sensibilmente più bassi che altrove.

I karakalpaki (letteralmente gli uomini dal cappello nero) sono di un’etnia diversa dagli uzbeki, hanno tratti somatici differenti e parlano una lingua, il karakalpako, più simile al kazako che all’uzbeko. La regione ha uno status da repubblica indipendente all’interno dell’Uzbekistan, ma autonomie limitate: la povertà è più diffusa che altrove (riguarda il 16,4 per cento della popolazione), lo stipendio mensile medio equivale a 400 dollari, la metà di quello kazako, e il 20 per cento dei karakalpaki fa affidamento sulle rimesse dei parenti che sono emigrati.

In Karakalpakstan gli effetti del prosciugamento del lago e dell’inquinamento diffuso hanno causato a lungo anche un’emergenza sanitaria. Negli anni Novanta la mortalità infantile degli abitanti dell’area del lago Aral era tra le più alte al mondo; fra gli adulti l’incidenza di anemia, cancro, malattie renali e tubercolosi epidemica erano molto superiori alla norma. Ancora oggi una parte della popolazione locale ha problemi respiratori e agli occhi, dice Jane Modelova, un’altra giornalista di Hook.report.

L’insediamento di Kubla-Ustyurt, dove vivono 42 famiglie (Valerio Clari/il Post)

Sale, residui di fertilizzanti e pesticidi provenienti dal letto prosciugato del lago d’Aral hanno anche compromesso parte dei terreni agricoli, che non sono ancora stati recuperati. Oggi l’agricoltura produce cotone, riso e frutta (soprattutto meloni), ma non rappresenta una risorsa sufficiente.

A Nukus c’è stata l’ultima grande protesta e crisi politica dell’Uzbekistan, un paese in cui manifestare non è comune né troppo tollerato. Le proteste iniziarono nel 2022 per alcuni articoli della nuova Costituzione promossa dal presidente Shavkat Mirziyoyev che eliminavano parte dell’autonomia della regione e la possibilità di indire un referendum per l’indipendenza (che i politici locali comunque non hanno mai promosso): dopo alcuni giorni di scontri e 18 persone uccise fra i manifestanti, gli articoli contestati furono eliminati.

Le prospettive di crescita della regione sembrano piuttosto limitate, mentre il futuro del lago è segnato: dopo anni di discussioni, convegni e progetti non attuati il governo uzbeko ha di fatto abbandonato ogni piano di recupero. Limitati programmi di salvaguardia ambientale e di rallentamento della desertificazione sono affidati a ong internazionali e all’intervento della Cina, che negli ultimi anni sta aumentando la sua influenza sull’Uzbekistan. All’inizio del 2025 il governo cinese ha inviato una tonnellata e mezza di semi di piante resistenti a terreni ad alta salinità (come quelli dell’ex fondale del lago) e ha realizzato sistemi di irrigazione più efficienti in varie aree coltivate dell’Uzbekistan, nell’ottica di un risparmio generale dell’acqua dei fiumi.

– Leggi anche: Uno dei peggiori disastri ecologici dell’ultimo secolo