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  • Martedì 7 ottobre 2025

Cosa ne è stato dei kibbutz attaccati il 7 ottobre 2023

In alcuni sono tornati gli abitanti, altri sono rimasti nelle condizioni di due anni fa, e si dibatte su come conservare il ricordo di ciò che è accaduto

Una casa bruciata nel kibbutz Nir Oz (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
Una casa bruciata nel kibbutz Nir Oz (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
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Nell’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre del 2023 furono uccise più di 1.100 persone, tra cui 318 abitanti dei kibbutz costruiti vicino al confine con la Striscia di Gaza. Nei kibbutz di Be’eri, Kfar Azza e Nir Oz, le persone uccise o rapite furono decine e molte delle loro case furono bruciate e distrutte. Nei giorni e mesi successivi 56 kibbutz al confine con Gaza o nel nord, al confine con il Libano, furono evacuati e quasi 40mila persone furono costrette a lasciare le loro case e spostarsi temporaneamente o definitivamente da altre parti.

Dopo due anni di guerra, in cui gli attacchi israeliani hanno ucciso 67mila palestinesi nella Striscia di Gaza, la gran parte degli abitanti dei kibbutz è tornata ad abitarli. In diversi sono ancora in corso lavori di ricostruzione o ampliamento, possibili grazie a ingenti fondi pubblici e finanziamenti privati. Inoltre ci sono piani per facilitare e incentivare il trasferimento di cittadini israeliani nelle nuove strutture, che stanno avendo un certo successo.

Case ristrutturate a Kfar Azza (Photo/Ohad Zwigenberg)

I kibbutz sono piccole comunità ebraiche egalitarie, nate soprattutto prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Oggi in Israele ce ne sono più o meno 260, con una popolazione totale di circa 125mila abitanti: nacquero essenzialmente come comunità di agricoltori, ma nel tempo si sono evolute. Il termine “kibbutz” viene dalla parola ebraica che significa “ritrovo” o “collettivo” e indica una specie di comune. Sono comunità autosufficienti che generalmente hanno tra i cento e i mille abitanti, nate inizialmente come strutture socialiste e animate da ideali di sinistra. In molti casi negli anni i kibbutz hanno abbandonato la natura comunitaria, privatizzando le proprietà.

In alcuni dei kibbutz attaccati vivevano israeliani impegnati in processi di integrazione con la comunità palestinese e attivisti contro l’occupazione dei Territori palestinesi.

Lavori di recupero a Kfar Azza (Photo/Ohad Zwigenberg)

Dopo il 7 ottobre 2023 lo stato israeliano ha approvato un piano che stanziava l’equivalente di circa 5 miliardi di euro in cinque anni per le comunità di abitanti vicine al confine con Gaza: oltre 2 miliardi sono già stati spesi, circa 137 milioni sono andati in programmi per favorire e sostenere il ritorno di abitanti sfollati. Secondo un rapporto governativo dello scorso settembre è rientrato circa il 90 per cento dei residenti, a cui si sono aggiunti 2.500 nuovi abitanti, all’interno di un progetto noto come “Chalutzi”, una parola che deriva da quella ebraica usata per definire il concetto di “pioniere”.

Ai fondi pubblici si sono aggiunti quelli raccolti da privati, in particolare per il Kibbutz Movement Rehabilitation Fund, che nei primi tempi si è occupato di ricollocare i bambini sfollati nelle scuole, trovare nuovi lavoratori per i campi e assicurare sostegno psicologico, mentre oggi finanzia la ricostruzione e il ripopolamento dei kibbutz.

Buche delle lettere nel kibbutz Nir Oz nel dicembre del 2024: gli adesivi rossi indicano le persone uccise, quelli neri gli ostaggi, quelli azzurri gli ostaggi liberati (AP Photo/ Ohad Zwigenberg).

La situazione è diversa nei kibbutz che hanno subìto gli attacchi maggiori, che sono anche quelli più vicini al confine. Al kibbutz Holit, dove 15 persone furono uccise e sette rapite, i residenti non sono ancora stati autorizzati a rientrare: potranno farlo dal prossimo luglio, e le strutture al momento sono rimaste nelle stesse condizioni di due anni fa.

La comunità di Nir Oz (40 residenti uccisi, 76 rapiti) ha raggiunto solo ad aprile un accordo con lo stato per lo stanziamento di circa 90 milioni di euro per la ricostruzione, e fino a qualche mese fa erano rientrati nel kibbutz solo 8 residenti.

A Be’eri, che aveva più di 1.000 abitanti, le persone uccise furono più di 100: alla fine del 2024 erano tornati circa 200 abitanti e il progetto di ricostruzione dovrebbe essere completato entro la fine del 2026. Al momento i quartieri delle Olive e delle Vigne, i più colpiti dagli attacchi, sono stati lasciati com’erano, con i segni dell’attacco ancora visibili.

La casa della famiglia Bibas, i cui membri sono stati presi in ostaggio, a Nir Oz (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

A Be’eri e in altri kibbutz ci sono discussioni aperte su come debba essere preservato il ricordo di ciò che è accaduto: c’è chi vorrebbe mantenere parte delle strutture distrutte come testimonianza, chi invece ritiene che sarebbe meglio ricostruire tutto. In alcuni le case più danneggiate o bruciate sono già state distrutte, in vista di una ricostruzione, in altri non ci sono stati interventi.

Alon Futterman è il direttore della fondazione che raccoglie i fondi per sostenere il kibbutz Kfar Azza (81 persone uccise, 20 rapite). Ha detto al quotidiano francese Le Monde che in questi due anni la ricostruzione non è stata la priorità, ma che il piano di lavoro prevedeva prima «l’istruzione; la salute, in particolare quella mentale; gli aiuti sociali; il ricordo e la commemorazione; il recupero di una vita comunitaria».

Commemorazioni nel kibbutz Kfar Azza, il 7 ottobre 2025 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Molti media israeliani e internazionali in questi giorni hanno raccontato le storie dei parenti delle persone uccise o rapite nei kibbutz, perlopiù combattute tra la volontà di rientrare nelle case che avevano abitato e il trauma del ricordo di quei giorni, che rende difficile pensare a un futuro in quei luoghi. Oltre 15mila persone hanno partecipato a sedute di terapia personale o familiare.

Molti dei kibbutz più colpiti sono poi così vicini al confine con Gaza che è possibile sentire chiaramente le esplosioni e i bombardamenti dell’esercito israeliano nella Striscia.