Instagram quando non aveva le Storie

Ma neanche i link in bio, i caroselli e gli hashtag: come è cambiata in 15 anni dalla sua nascita, e come ha cambiato noi

La prima foto mai pubblicata su Instagram (@kevin/Instagram)
La prima foto mai pubblicata su Instagram (@kevin/Instagram)

Il 6 ottobre 2010 Kevin Systrom pubblicò online la foto del suo cane. Era una foto sgranata, fatta con la telecamera degli smartphone dell’epoca, ingiallita da un filtro. In un angolo c’era pure il piede della sua fidanzata in infradito. Se oggi qualcuno si ricorda quella foto, è per un solo motivo: Systrom era il fondatore di Instagram, e quella era la prima foto pubblicata sull’applicazione da quando fu aperta al pubblico, quel giorno.

Systrom e il collega Mike Krieger avevano inizialmente chiamato la propria app Burbn: l’idea era quella di creare un servizio di geolocalizzazione come 4square, che all’epoca molti usavano per cercare posti dove mangiare o monumenti interessanti da visitare quando viaggiavano, permettendo al contempo di condividere le foto scattate col proprio smartphone.

Presto si resero conto che il servizio di geolocalizzazione somigliava, in effetti, un po’ troppo al già esistente 4square, ma anche che gli utenti sembravano più interessati alla possibilità di condividere foto. Gli altri due grossi social network frequentati all’epoca – Facebook e Twitter – permettevano di condividere immagini, ma non era una loro funzione centrale, e comunque non offrivano la possibilità di modificarle prima di pubblicarle. Per di più, entrambi erano social network usati principalmente da desktop.

«Instagram è stato il primo social network pensato primariamente per i dispositivi mobili», ricorda il giornalista Sean Monahan, esperto di cultura dei social media. «Quando Twitter è stato lanciato nel 2006, l’iPhone non esisteva ancora. Per twittare dal tuo Motorola Razr, dovevi inviare un SMS al numero 40404». Facebook aveva un’app per smartphone, ma non era particolarmente intuitiva né comoda.

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Al contempo, un numero crescente di persone aveva cominciato a comprare gli smartphone e a usarli per scattare foto di qualità piuttosto scarsa: il fatto che Instagram permettesse di migliorarle un po’, scegliendo tra una serie di filtri predefiniti, attirò l’attenzione di un numero crescente di utenti, soprattutto tra i più giovani. Nelle prime 24 ore dal lancio sull’App Store di Apple, Instagram venne scaricata da 25mila persone. Quando, nel 2012, uscì l’app per Android, la scaricarono un milione di persone in un solo giorno. Qualche giorno dopo Instagram venne comprata da Facebook per un miliardo di dollari.

Un’evoluzione dei loghi di Instagram nel tempo

Oggi, per milioni di persone, Instagram è una parte centrale della quotidianità: tra ventenni e trentenni è facile che, ancora prima di chiedere il numero a una persona appena conosciuta, le si chieda il contatto su Instagram, e spesso chi non ha un profilo scherza sul fatto di sentirsi tagliato fuori dal mondo. Alcuni ce l’hanno da più di un decennio: scorrendo sui loro profili si possono ripercorrere anni e anni di viaggi, feste, matrimoni, selfie. Altri, soprattutto tra i più giovani, hanno invece profili completamente vuoti e lo usano soprattutto come app di messaggistica, o per pubblicare contenuti che scompariranno dopo 24 ore nelle Stories. Altri ancora – influencer o, sempre più spesso, content creator – sono riusciti a trasformare la propria presenza su Instagram in un lavoro. La stessa figura dell’influencer non esisteva, quanto meno come la conosciamo, prima di Instagram.

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Rispetto a Facebook, che all’epoca quasi tutti usavano principalmente per connettersi con le persone che conoscevano nella vita reale, Instagram pensò fin da subito a delle funzionalità per trovare e seguire sconosciuti con cui si condivideva qualcosa – uno specifico gusto estetico, una passione per certi hobby – o a cui ispirarsi. Pochi mesi dopo il lancio, la piattaforma introdusse gli hashtag (già usati su Twitter) per permettere agli utenti di scoprire profili nuovi collegati a certe parole chiave. Ancora oggi, sotto ai post dell’epoca, è facile trovare una lunga lista di hashtag di qualsiasi tipo: #flower, #sun, #throwbackthursday, #travel, #follow4follow, #travellover e così via.

Nel giugno del 2012, poi, introdusse la sezione Esplora, uno spazio personalizzato che mostra contenuti pubblici, selezionati da un algoritmo in base agli interessi e alle attività passate dell’utente. Persone comuni cominciarono ad ammassare migliaia e poi milioni di follower perché particolarmente belle, o interessanti, o stilose, o brave a raccontare una versione della propria vita che generasse invidia e desiderio negli altri. Altre videro che questa cosa stava succedendo e cominciarono a soffrire del costante confronto che l’app tende a incentivare: da anni ricercatori e politici discutono dell’effetto degli standard di Instagram sulla psiche degli utenti, soprattutto i più giovani.

Al contempo, Instagram stava introducendo la possibilità di comprare slot pubblicitari, ma anche strumenti per vendere prodotti facilmente dall’app e per monetizzare l’attenzione dei propri follower, diventando in parte anche una piattaforma di e-commerce e marketing. «Instagram ha avuto un effetto profondo e visibile sullo sviluppo dei prodotti e sulle strategie di vendita al dettaglio», si legge sul sito specializzato in marketing Sociallyin. «Le aziende progettano sempre più spesso prodotti ed esperienze tenendo conto, in primo luogo, la loro “instagrammabilità”, e questo ha portato anche alla nascita di installazioni pensate appositamente per essere condivise sui social network. Intere categorie di attività commerciali, dai negozi di dolciumi fotogenici ai musei interattivi, sono emerse o si sono espanse in gran parte grazie al loro potenziale su Instagram».

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Oggi, insomma, la piattaforma è molto diversa da quella che era quando Systrom pubblicò la foto del suo cane e del piede della sua fidanzata: negli ultimi quindici anni l’app ha continuato a cambiare, peraltro copiando spesso e volentieri funzionalità di successo introdotte prima da app rivali. Il primo cambiamento veramente significativo fu l’introduzione delle Stories, fortemente ispirato da Snapchat, nel 2016.

Il fatto di poter pubblicare un contenuto sapendo che sarebbe poi scomparso dopo ventiquattr’ore trasformò il modo in cui gli utenti interagivano con la piattaforma: «prima molti utenti trattavano Instagram come un portfolio molto ben curato», spiega l’esperta di social network Jodie Cook. «Con le Stories gli utenti, e in particolare le celebrità o quelli che hanno un profilo pubblico di rilievo, si sono permessi di condividere contenuti personali e meno curati». La possibilità di avere un accesso maggiore – almeno percepito – alla vita quotidiana delle proprie celebrità preferite contribuisce peraltro tuttora al successo di Instagram.

Altre funzioni ci misero molto più tempo ad arrivare: per i primi sei anni, per esempio, fu del tutto impossibile pubblicare link che portassero su altri siti, per disincentivare lo spostamento anche temporaneo degli utenti. Nel 2016 fu introdotta la possibilità di includere dei link nelle Stories, ma soltanto per gli account che avevano più di 10mila follower. Dal 2018, invece, si può inserire un link anche nella biografia, sotto al nome: è il cosiddetto “link in bio” che è entrato nel linguaggio comune di molti utenti che per qualche ragione vogliono usare Instagram per promuovere proprie attività: influencer ma anche giornalisti, scrittori, artisti, sex worker, organizzatori di eventi ed attivisti che, con il progressivo declino di Facebook, hanno cominciato a vedere Instagram come il modo principale di raggiungere un pubblico più ampio possibile.

L’ultima grande trasformazione è avvenuta nel 2020, con l’introduzione di Instagram Reels, nuova funzione per realizzare, modificare e condividere brevi video. Copiati in modo piuttosto evidente da TikTok, la nuova piattaforma social di maggior successo di quell’anno, i Reels furono immediatamente stroncati sia dagli utenti che dagli esperti sia per motivi tecnici, legati al loro funzionamento, che per motivi più pratici, legati alla creazione e fruizione dei video da parte degli utenti. A distanza di cinque anni c’è chi ha cominciato ad apprezzarli e a guardarli più di TikTok, fosse solo per la comodità di usare una sola app come fonte di intrattenimento. Gli utenti più affezionati a TikTok, però, scherzano sul fatto che le cose più interessanti e divertenti si trovino sempre, per prime, su TikTok.