Sulla Flotilla e su Gaza Elly Schlein non sa bene cosa dire

E infatti non ha detto niente o quasi: segno della grande confusione che c'è nel Partito Democratico su questi temi

La segretaria PD Elly Schlein arriva alla sede nazionale del PD per incontrare Maria Elena Delia, portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, il 28 settembre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
La segretaria PD Elly Schlein arriva alla sede nazionale del PD per incontrare Maria Elena Delia, portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, il 28 settembre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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In mezzo alle moltissime prese di posizione sul piano di pace per la Striscia di Gaza presentato da Donald Trump, si è distinta in modo particolare una mancata presa di posizione: quella della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che non ha detto niente. A un certo punto il suo silenzio è stato così evidente che alcuni singoli esponenti del PD – come l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il senatore Alessandro Alfieri – si sono sentiti in dovere di fare dichiarazioni in favore della prospettiva di pace contenuta nel piano.

Schlein non dice niente perché non sa bene cosa dire. Non è un caso: la sua indecisione mostra bene lo stato confusionale del PD sui temi che riguardano Gaza in questi giorni, a cui si sono aggiunti un po’ di affanni dovuti alla sconfitta elettorale nelle Marche. Schlein, in particolare, in questo momento ha un timore: apparire troppo moderata su Israele rispetto ai suoi principali alleati, ovvero il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, entrambi su posizioni piuttosto radicali.

La preoccupazione e i tentennamenti fanno in modo che di fatto prenda le distanze, più o meno esplicitamente, da leader internazionali che pure le sono vicini (come lo spagnolo Sánchez, socialista, suo abituale punto di riferimento per le questioni di politica estera) e soprattutto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Lo si è visto anche venerdì scorso, quando Mattarella ha pubblicato un appello agli attivisti della Global Sumud Flotilla per esortarli ad accettare la mediazione offerta dal Vaticano, consegnando a Cipro gli aiuti umanitari da far arrivare a Gaza attraverso il Patriarcato latino di Gerusalemme, ed evitando infine di avvicinarsi alle acque controllate militarmente da Israele. La scelta di Mattarella non è stata banale: è arrivata al termine di un confronto delicato con la Santa Sede, e ha coinvolto anche il governo italiano e israeliano, tra gli altri.

Il presidente Sergio Mattarella al Quirinale, il 12 settembre 2025 (Francesco Ammendola/LaPresse)

Se il presidente della Repubblica ha scelto di esporsi in modo così coraggioso è stato per togliere tutti da un imbarazzo: dal momento che era stata Meloni a rivelare pubblicamente l’esistenza di questa trattativa, per la Flotilla era politicamente difficile accettare la proposta di un governo di destra molto vicino a quello di Benjamin Netanyahu. Questa era stata anche l’obiezione che avevano fatto gli esponenti del PD a bordo della Flotilla. Con l’intervento di Mattarella questo impaccio si poteva considerare superato. Allo stesso tempo la presidenza della Repubblica aveva fatto arrivare sollecitazioni ai vari leader politici affinché placassero i toni esasperati utilizzati fino a quel momento sulla Flotilla.

– Leggi anche: E il PD cosa pensa su Israele e Palestina?

Sembrava insomma scontato che da parte di Schlein arrivasse a quel punto una presa di posizione netta per invitare gli attivisti della Flotilla, o quantomeno i propri parlamentari a bordo delle navi, a raccogliere l’appello di Mattarella. Schlein è stata invece molto più cauta e più ambigua: ha ringraziato Mattarella e il Patriarcato di Gerusalemme, ha auspicato che il «canale» tra la Flotilla e la Chiesa rimanesse aperto, ma poi non ha mai messo in dubbio il suo sostegno all’iniziativa.

Per una leader del PD non è una decisione banale, quella di non allinearsi con Mattarella: un po’ perché negli ultimi vent’anni il PD è sempre stato il «partito del presidente», come si dice spesso nel gergo parlamentare, e un po’ perché Mattarella è stato un esponente del PD stesso, e da questo per due volte votato come capo dello Stato. E infatti questa decisione di Schlein ha generato grossi malumori tra molti dirigenti del partito.

Per Schlein ovviamente è importante rispettare le posizioni di Mattarella. Ma lo sono anche le preoccupazioni per la concorrenza che il PD subisce “da sinistra” (cioè dai partiti della coalizione più apertamente schierati) sui temi che riguardano Gaza. Poche ore dopo l’appello del presidente della Repubblica, non a caso, Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi e Sinistra aveva ribadito che «ogni scelta spetta alla Flotilla», e Giuseppe Conte aveva detto che «qualunque decisione prenderà, la Flotilla avrà sempre il sostegno del Movimento 5 Stelle».

Queste tensioni interne al PD e al centrosinistra sono state esasperate nelle ultime ore da Meloni, che con una certa abilità è riuscita a giocare sulle ambiguità per mettere agevolmente in difficoltà le opposizioni. Meloni da un lato ha auspicato che tutti i partiti diano un sostegno unanime, a nome dell’Italia, al piano di Trump; dall’altro è tornata a criticare duramente la Flotilla, paventando addirittura l’ipotesi che proprio questa iniziativa possa compromettere l’accettazione del piano di pace da parte di Israele e di Hamas.

Nello sviluppo di questa polemica ci sarà un momento importante giovedì, quando il ministro degli Esteri Antonio Tajani farà un’informativa prima alla Camera e poi al Senato per riferire sugli sviluppi di politica estera legati a Gaza. La possibilità che maggioranza e opposizioni votino insieme un’unica risoluzione sembra molto remota: da una parte perché il governo sembra tentato di inserire riferimenti molto elogiativi del lavoro di Trump, che metterebbero in imbarazzo il centrosinistra. Dall’altra perché, di nuovo, M5S e AVS hanno già fatto sapere di non essere disposti ad accettare compromessi sulla condanna a Israele e sul sostegno alla Flotilla.

In questa situazione il PD sta di nuovo nel mezzo. Già martedì Peppe Provenzano, responsabile Esteri della segreteria di Schlein, ha spiegato ad alcuni colleghi di partito che la segretaria non può accettare di mostrarsi accomodante con Meloni, proprio mentre si fa campagna elettorale per le elezioni regionali attaccando in modo duro il governo. D’altra parte è impensabile anche cercare di scrivere una risoluzione che le opposizioni possano votare unite: per un nutrito gruppo di esponenti del PD, quelli più moderati, le distanze in politica estera rispetto a Conte e Fratoianni sono incolmabili.

Martedì pomeriggio Carlo Calenda ha scritto a Schlein inviandole il testo della bozza di risoluzione di Azione, il partito di cui è leader: il testo definisce il piano di Trump come «una svolta potenzialmente decisiva, anche se drammaticamente tardiva» e impegna il governo italiano a sostenerne l’attuazione, assicurando «la piena collaborazione dell’Italia per la sua realizzazione, nella prospettiva di una definitiva soluzione del conflitto secondo il principio dei “due popoli – due stati”». Schlein ha preso tempo, dicendo che deve rifletterci.

L’ipotesi più probabile è che ciascun partito di opposizione presenti e voti una propria risoluzione, giovedì. Il PD potrebbe astenersi su quella degli altri partiti di centrosinistra (anche se una manciata di deputati e senatori potrebbe votare contro quella del M5S e di AVS), e adottare una soluzione ancor più sfuggente su quella della maggioranza, ovvero non partecipare al voto. In sostanza i membri del partito si assenterebbero al momento della votazione, che è un escamotage a cui si ricorre quando non si vuole osteggiare una proposta del governo, ma senza neppure mostrarsi in alcun modo dialoganti.

Fino a giovedì mattina le discussioni andranno avanti un po’ a oltranza e in maniera caotica, anche perché Schlein vorrebbe evitare di convocare ufficialmente un’assemblea dei gruppi, da cui inevitabilmente emergerebbero divisioni e spaccature, pochi giorni prima delle già complicate elezioni regionali in Calabria (si vota domenica 5 e lunedì 6).