In cosa consiste esattamente il compromesso proposto alla Flotilla
Prevede di scaricare il cibo a Cipro, affidarlo alla Chiesa cattolica e da lì farlo arrivare a Gaza; ma è tutto più complicato di come sembra

Venerdì il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto un appello alle persone a bordo delle barche della Global Sumud Flotilla, invitandole tra le altre cose ad accettare la proposta di affidare il cibo e i beni essenziali a bordo delle barche, destinati ai palestinesi della Striscia di Gaza, al patriarcato latino di Gerusalemme. È una proposta di cui si parla da alcuni giorni, sostenuta dal governo italiano e dalla Conferenza episcopale italiana (CEI), l’assemblea dei vescovi italiani della Chiesa cattolica. Finora gli attivisti e le attiviste della Flotilla l’hanno rifiutata.
Il patriarcato di Gerusalemme è una diocesi della Chiesa cattolica che ha diverse sedi, chiamate “vicariati”, anche in altre città israeliane, in Cisgiordania, in Giordania e a Cipro. La proposta, in sintesi, prevede di sbarcare il carico della Flotilla a Cipro, da lì trasportarlo fino al porto israeliano di Ashdod e poi farlo arrivare nella Striscia di Gaza sotto la supervisione della Chiesa cattolica.
In questa operazione sarebbero coinvolti appunto il patriarcato di Gerusalemme e la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia, un’organizzazione cattolica di volontariato fondata alla fine dell’Ottocento che opera in vari posti del mondo tra cui appunto anche a Cipro. A Cipro è stato istituito da tempo un corridoio marittimo per gli aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che ha previsto anche accordi bilaterali tra Cipro e Israele e il coinvolgimento di una serie di altri paesi. Questo corridoio è già stato usato dalle Misericordie d’Italia ma è anche stato criticato perché ritenuto inefficiente.
Il meccanismo di consegna attraverso il corridoio di Cipro prevede che chi vuole fare arrivare cibo e beni essenziali dentro la Striscia si registri su un database, e che prima di avviare tutto il processo venga identificata un’organizzazione all’interno della Striscia che riceverà il carico. Questa organizzazione deve essere approvata da Cipro e dal COGAT, la divisione dell’esercito israeliano che si occupa delle attività nei territori palestinesi occupati.
Interpellato dal Post, l’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa di questa procedura (chiamata UN2720 Mechanism for Gaza) assicura che sono coinvolte solo organizzazioni che operano secondo i principi umanitari stabiliti dalle Nazioni Unite, come la World Central Kitchen, e che in nessun modo è coinvolta la Gaza Humanitarian Foundation, la criticatissima ong creata da Israele per controllare la distribuzione di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità nella Striscia di Gaza allo scopo di usare la fame come un’ulteriore arma contro i palestinesi.
Se la richiesta viene approvata, il carico può essere trasportato a Cipro, dove viene esaminato, e poi diretto verso Ashdod, in Israele. Lì deve essere nuovamente approvato, poi l’organizzazione incaricata di ricevere il carico può decidere se portarlo lei stessa dentro la Striscia o affidarlo a un servizio di logistica coinvolto in questo processo. Tutto comunque passa in ultima analisi dalle autorità militari israeliane.
Più in generale, tuttavia, dall’inizio dell’invasione Israele lascia passare soltanto una piccola quantità degli aiuti umanitari necessari per soddisfare le necessità delle persone nella Striscia di Gaza, che infatti da mesi stanno affrontando una carestia e condizioni di vita enormemente difficili.
Finora gli organizzatori della Global Sumud Flotilla hanno rifiutato questa mediazione e ripetuto che uno degli obiettivi della loro missione è rompere il blocco navale imposto da Israele davanti alla Striscia di Gaza (blocco peraltro ritenuto illegittimo e sproporzionato da diverse organizzazioni internazionali). Nel primo pomeriggio di sabato la Flotilla ha diffuso un comunicato in cui conferma l’intenzione della spedizione italiana di proseguire con il resto della flotta.
Al Corriere della Sera la portavoce della flotta italiana, Maria Elena Delia, che ieri è tornata in Italia per parlare con le istituzioni, sostiene che «Israele potrebbe garantire che una volta al mese si apra un corridoio navale affinché le navi dell’ONU, non quelle della Flotilla, possano portare via mare degli aiuti. Ci sono tante possibilità ma bisogna fare qualcosa in più rispetto a chiedere a noi di non andare a Gaza». La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha detto di non poter decidere al posto degli organizzatori (a bordo delle barche della Flotilla ci sono anche alcuni politici eletti del PD), ma li invita a proseguire il dialogo con il patriarcato di Gerusalemme.
Le 48 barche della Flotilla, partite da Spagna, Italia, Tunisia e Grecia, si trovano ancora a sud dell’isola di Creta, in Grecia, dove sono ferme da alcuni giorni dopo avere subito attacchi nella notte tra il 23 e il 24 settembre. L’intenzione degli equipaggi è partire il prima possibile verso Gaza, senza più fermarsi.



