Le critiche contro i comici che si esibiranno in Arabia Saudita
Alla prima edizione del Riyadh Comedy Festival parteciperanno alcuni dei più famosi al mondo

Da qualche anno l’Arabia Saudita investe enormi quantità di denaro per cercare di presentarsi come un paese interessante per il pubblico internazionale. Lo ha fatto nel calcio acquistando giocatori come Cristiano Ronaldo e Neymar, o allenatori come Simone Inzaghi e Roberto Mancini, e più in generale organizzando grandi eventi sportivi e promuovendo il turismo. Adesso sta puntando su quello che secondo gli organizzatori sarà il festival comico più grande al mondo.
La prima edizione del Riyadh Comedy Festival si terrà da venerdì 26 settembre a giovedì 9 ottobre a Riyad, la capitale saudita, e includerà spettacoli di alcuni dei comici di lingua inglese più famosi, apprezzati e controversi di questi anni, tra cui Louis C.K., Bill Burr, Aziz Ansari, Dave Chappelle, Pete Davidson, Jack Whitehall e Jimmy Carr. Secondo i molti critici il festival è solo il più recente tentativo dell’Arabia Saudita di ripulire la propria immagine rimanendo un regime autoritario in cui vengono represse molte libertà fondamentali. I comici che ci si esibiranno sono stati accusati di essere complici di questa operazione.
In particolare le critiche si sono concentrate sulla contraddizione tra le loro posizioni da sempre in favore della libertà di espressione e il fatto di collaborare con un governo che la reprime.
In un recente spettacolo di stand-up comedy, l’attore e comico statunitense Marc Maron – che ha detto di non essere stato invitato a Riyad – ha sottolineato quanto sia paradossale che l’Arabia Saudita organizzi un festival di questo tipo. Ha citato tra le altre cose il coinvolgimento dei funzionari sauditi negli attentati terroristici alle Torri Gemelle e l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, che secondo la CIA fu ordinato dal principe ereditario e primo ministro del paese Mohammed bin Salman. «Voglio dire, il tizio che pagherà [i comici] è lo stesso che aveva pagato quel tizio per fare a pezzi Khashoggi e ficcarlo in una cazzo di valigia», ha detto Maron: «Ma ci si divertirà lo stesso!».
Zach Woods, noto per i ruoli in Silicon Valley e The Office, ha a sua volta commentato il festival in tono sarcastico ricordando come Turki al Sheikh, il capo dell’autorità che si occupa di intrattenimento in Arabia Saudita, faccia arrestare le persone che twittano cose a lui sgradite.
Sull’evento si è espressa anche Human Rights Watch, una delle più importanti ong internazionali che si occupano di diritti umani, secondo cui il governo saudita vuole sfruttare il festival per distogliere l’attenzione dalla sua «brutale repressione della libertà di parola e da altre dilaganti violazioni dei diritti».
In Arabia Saudita l’oppressione delle donne è ben documentata, come lo sono le sistematiche violenze della guardia di frontiera contro le persone migranti; le ong denunciano puntualmente casi di arresti arbitrari, torture e condanne a morte come quella del giornalista Turki al Jasser, ucciso lo scorso giugno con l’accusa di aver criticato la famiglia reale saudita. Secondo Human Rights Watch, per evitare di contribuire «all’operazione di riciclaggio della reputazione del governo saudita», i comici dovrebbero sfruttare la visibilità del festival per invitare le autorità del paese a liberare i giornalisti, i dissidenti e gli attivisti imprigionati ingiustamente.
Alcuni dei partecipanti hanno ammesso di aver accettato di andare solo per i soldi. Tra questi c’è lo statunitense Tim Dillon, che ha raccontato che lo avrebbero pagato l’equivalente di 320mila euro «per guardare dall’altra parte», mentre a comici più famosi era stato offerto anche più di un milione. Ha poi detto di essere stato licenziato perché le autorità saudite non erano contente di alcuni suoi commenti. Nel suo podcast invece Shane Gillis ha detto di aver rifiutato «per principio» una somma «significativa» di denaro, anche dopo che gli organizzatori avevano raddoppiato l’offerta.
Pete Davidson, il cui padre morì nell’attentato alle Torri Gemelle, ha risposto alle critiche dicendo che per lui è un evento come un altro. L’australiano Jim Jefferies ha motivato la propria decisione di partecipare dicendo che anche il governo degli Stati Uniti è coinvolto in omicidi controversi, che il festival è una vittoria per la libertà di parola e che, per quanto l’uccisione di un giornalista sia tremenda, «non è la mia cazzo di battaglia». Altri ancora, quantomeno pubblicamente, sono sembrati piuttosto indifferenti alle implicazioni etiche della loro partecipazione.
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Secondo la giornalista dell’Observer Rachael Healy è improbabile che i comici si azzarderanno a dire qualcosa che in Arabia Saudita possa risultare controverso, ma visto che il governo saudita è noto per la sua censura sarà altrettanto difficile scoprire se lo avranno fatto. Un esperto di Medio Oriente che ha parlato con il Times a condizione di restare anonimo ritiene che i sauditi non vieteranno esplicitamente di far battute su certi argomenti, ma si aspetteranno comunque che i comici «avranno il buon senso di non far battute su Dio o sul re, e di non dire cose sessualmente troppo esplicite».
Jimmy Carr è uno dei comici inglesi più famosi e, per via delle sue frequenti battute offensive, anche uno dei più esposti alle critiche. Carr dice di essere un «assolutista della libertà di parola». È previsto che il 6 ottobre si esibisca al festival assieme a Louis C.K. Per ora comunque non lo sta promuovendo né sul suo sito né sui suoi profili social.



