20 gol a stagione fumando 20 sigarette al giorno
Li faceva Dario Hübner, massimo rappresentante dei “bomber di provincia” raccontati nel nuovo libro di Emanuele Atturo

Negli ultimi 10-15 anni, soprattutto sui social media, ma anche nei racconti delle persone, si è diffusa molto una peculiare forma di nostalgia per il calcio italiano degli anni Novanta e dei primi Duemila. Oltre e forse ancor più dei grandi campioni di quegli anni (Diego Maradona, Marco Van Basten, Ronaldo, Roberto Baggio) la nostalgia di molti è rivolta spesso ai cosiddetti “bomber di provincia”, attaccanti che segnavano tanti gol in squadre, appunto, di provincia, spesso impegnate nella lotta per non retrocedere. Erano “di provincia” le loro squadre, ma spesso anche loro: per origini, attitudini e abitudini; per come giocavano a calcio e perfino per i nomi e cognomi che avevano.
Calciatori come Igor Protti, Riccardo Zampagna o Andrea Caracciolo vengono ricordati come attaccanti formidabili («oggi giocherebbero titolari in Champions League», si dice spesso, e quasi sempre esagerando), ma soprattutto come personaggi non convenzionali, che riuscivano a far gol quasi ogni domenica tenendo stili di vita impensabili per il calcio iper professionalizzato di oggi. «Sembravano l’amico che ce l’ha fatta senza montarsi la testa, il cugino metalmeccanico, lo zio che incontriamo ai pranzi di Natale, che fuma Marlboro rosse e beve un grappino dopo cena. Personaggi del nostro immaginario familiare italiano, ma vestiti da supereroi, capaci di raggiungere i massimi livelli del calcio», scrive Emanuele Atturo nel suo libro Il mito dei bomber di provincia. Un almanacco sentimentale, appena uscito per Einaudi.
Proprio perché il ricordo di questi calciatori è stato col tempo distorto e idealizzato, Atturo (caporedattore del sito sportivo Ultimo Uomo) li ha raccontati in una serie di ritratti che cercano di rimetterli nel posto giusto della storia. Senza esagerare nel sopravvalutarne le doti calcistiche, ma anche senza farli diventare macchiette a tutti i costi. L’esempio migliore di questo tipo di attaccanti, la versione massima di ciò che sono stati, è senza dubbio Dario Hübner, del cui ritratto pubblichiamo qui un estratto.
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A Brescia, mentre lui è chiuso in bagno a gustarsi una Marlboro a fine primo tempo, Sonetti bussa forte e gli grida: «Darione basta con quelle bombe». È uno degli aspetti che più ci attraggono di Hübner, il segno di una persona incapace di sottostare alle imposizioni del professionismo. Le sigarette ci sembrano una forma di ribellione innocente, anche un po’ stupida, e proprio per questo ancora più apprezzabile. Con gli occhi di oggi ci pare pazzesco. Oggi che i calciatori si allenano indossando caschi neuronali, rilassano i muscoli in vasche ghiacciate, si alimentano con diete proteiche, preservano la propria pelle dentro camere iperbariche, come è possibile che Hübner avesse voglia di pregiudicarsi in quel modo? Oggi che i calciatori amano ostentare le proprie rinunce; oggi che il benessere è diventato uno stile di vita, una sottocultura. Hübner resisteva, rimaneva sé stesso, e non rinunciava a godere.
La foto di Johann Cruyff che fuma una sigaretta nello spogliatoio dell’Olanda è una delle più amate, però è di segno diverso. È un gesto rock, contestatario, che ostenta la diversità di Cruyff, il quale guardava il calcio dall’alto in basso. La sigaretta di Hübner è invece un vizio selvatico, la traccia di una vita operaia che non si può cancellare del tutto. La sigaretta di Cruyff ne indica la superiorità, quella di Hübner l’ordinarietà.
Quando giocava, Hübner diceva di fumarne 10 al giorno, anni dopo ammise che erano 20 o 25. Parliamoci chiaro: sono diversi i giocatori che fumano e che hanno fumato, ma nessuno aveva il coraggio di ammetterlo. Hübner invece fumava negli spogliatoi, davanti ai giornalisti, non si concedeva ipocrisie: «Gli altri non si facevano vedere ma mi sembrava ridicolo mettersi dietro l’albero per accendere una sigaretta, a trent’anni non è normale». Non gli interessava quello che scrivevano i giornali: «Magari c’è uno in giacca e cravatta che fa tardi in discoteca, però è bravissimo perché non si è fatto vedere. Invece Hübner siccome fuma davanti alle telecamere non è un professionista».
Poi c’è la grappa, su cui Hübner dà una spiegazione chiara e di territorio: «Da noi in Triveneto si usa». Il caffè dopo cena non lo fa dormire e così lui ordina una grappa. Ai ritiri si porta delle bottiglie. Un’estate, a Perugia, Saadi Gheddafi vede Hübner al tavolo che si beve un grappino dopo pranzo. Gli si avvicina, pensa sia caffè e lui gliela fa provare. A Gheddafi piace, e allora Hübner gli regala la migliore bottiglia che ha. Il martedì, a Perugia, Gheddafi non si vede all’allenamento e Hübner va in paranoia: e se gli ha fatto male la sua grappa? Quando arriva, in ritardo, Gheddafi gli dice: «Mr. Hübner, very good, grazie».
«Senza grappa e sigarette Hübner sarebbe il più forte di tutti», dice il presidente del Brescia Corioni a un certo punto, ma lui non è d’accordo: «Non credo che una grappa ti possa rovinare la carriera». Anzi, ai tempi del Cesena si erano messi in testa di vietargli il bicchiere e dimezzare le sigarette: «Poi però un paio di settimane dopo fecero dietrofront: avevano capito che il sottoscritto, grazie a quei vizietti quotidiani, viveva meglio. E la domenica segnava di più».
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Hübner eccelle in due tipi di gol archetipici di un «bomber di provincia»: i gol brutti e i gol segnati caricando a testa bassa le difese avversarie.
Nella prima categoria rientrano tutti i gol che Hübner ha segnato con le parti del corpo che c’entrano poco col gioco del calcio: i gol di perone, quelli di menisco, quelli realizzati cadendo letteralmente sopra la palla. In un’intervista (in cui francamente sembra ubriaco) ha ricordato con piacere anche un gol «di palle». In quella intervista è più rilassato del solito e lo vediamo nella sua postura abituale nei confronti del mondo. Fuma una Marlboro rossa dietro l’altra e, con la sigaretta in mano, mette i gomiti sul tavolo sporgendosi in avanti; ha stampato sulla faccia un sorriso sarcastico e parla con un fortissimo accento triestino che sembra una grondaia che sgocciola. A un certo punto racconta di un gol segnato con la mano dopo aver spinto il portiere direttamente dentro la porta alla fine di «una rissa della madonna».
Hübner brilla anche nei gol che sono la mortificazione dei gesti più raffinati, ad esempio certi pallonetti segnati come se si stesse tirando fuori da un groviglio di cavi. Non c’è niente che esprime più pragmatismo di un gol brutto realizzato attraverso gesti convenzionalmente ritenuti belli. Hübner sembra divertirsi a degradare ciò che è più amato dagli esteti del calcio, a sputare sopra quello che poteva essere frainteso per poesia.
A questi tributi oscuri al gioco del calcio (come quei dischi famosissimi che suonati al contrario contengono messaggi satanici) si affiancano i gol in cui Hübner vola solo contro il portiere come un animale libero di poter esprimere sé stesso, lanciato nel campo aperto come un bisonte americano. Azioni che si concludono con botte forti e radenti che passano sotto al corpo dei portieri, i quali provano inutilmente a tuffarsi. Quando parte, Hübner sprigiona un’energia oscura; il paragone è volutamente iperbolico, ma è la stessa sensazione che si ha oggi guardando Erling Haaland partire contro le difese: più che un uomo, sembra un orso.
In certi gol Hübner sembra provare un piacere sadico nel rifiutare ogni dolcezza tecnica. In uno dei miei gol preferiti arriva solo davanti al portiere ed è nella posizione di poter fare molte cose diverse, anche accontentarsi di tirare all’angolo sguarnito della porta. Invece fa partire un tiro violentissimo che va sotto all’incrocio dei pali, prendendosi pure il rischio di sbagliare. Hübner era insieme la parte oscura e la parte luminosa del calcio. Colui che devia casualmente un pallone in porta al termine di un’azione caotica; ma anche una creatura con un fuoco speciale quando si tratta di prendere un pallone e sbatterlo in rete.
Ha qualcosa di unico, Hübner. La maggior parte dei bomber di provincia avrebbe potuto avere una carriera migliore, Hübner però è forse l’unico che aveva davvero i numeri e i mezzi per vestire la maglia della Nazionale, giocare i Mondiali, fare questo gioco a un livello più alto. Non aveva il tiro di Vieri, ma era una degna versione dello stesso tipo di centravanti. Sono discorsi speculativi che è facile e comodo fare oggi. Eppure i tabellini e le statistiche non mentono.
La sua media gol, a fine carriera, è di 0,51. Delle 348 reti segnate, solo 38 sono arrivate su calcio di rigore. In Serie A ha realizzato 74 reti in 143 partite distribuite su quattro stagioni, a una media sempre di 0,51 a partita. Se togliessimo le partite giocate ad Ancona e Perugia, quando aveva ormai 37 anni, la sua media sarebbe ancora più alta, ma anche lasciata così è semplicemente eccezionale. È una media simile a quella di attaccanti come Cavani, Ibrahimović o Icardi. Hübner è riuscito a mantenerla senza aver giocato una singola stagione in A prima dei 30 anni e giocando la sua seconda a 33.

(Einaudi)
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