Scoprire e salvare opere d’arte nella Striscia di Gaza

È un lavoro complicato che negli ultimi due anni è diventato quasi impossibile, a causa dei continui attacchi e bombardamenti israeliani

Lavori di preservazione di un mosaico bizantino scoperto vicino alla città di Jabalia, nella Striscia di Gaza, nel 2019 (AP Photo/Khalil Hamra)
Lavori di preservazione di un mosaico bizantino scoperto vicino alla città di Jabalia, nella Striscia di Gaza, nel 2019 (AP Photo/Khalil Hamra)
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Mercoledì scorso Kevin Charbel, un operatore dell’organizzazione umanitaria Première Urgence Internationale, ha chiesto per nove ore all’esercito israeliano di rimandare la demolizione di un palazzo di 13 piani nella città di Gaza, che Israele avrebbe iniziato a occupare militarmente via terra pochi giorni dopo. L’esercito sosteneva che l’edificio ospitasse una base dell’intelligence di Hamas, e quindi andasse distrutto (è una giustificazione che Israele usa molto spesso, senza poi portare prove). Al suo interno però c’era il più importante magazzino di reperti e opere d’arte rinvenuti in oltre 25 anni di scavi archeologici nella Striscia di Gaza.

Charbel, insieme ad alcuni operatori e volontari, alla fine è riuscito ad accordarsi con il Patriarcato latino di Gerusalemme per trasferire migliaia di opere in un luogo sicuro. Hanno lavorato in condizioni disastrose, sotto la continua minaccia di attacchi e bombardamenti israeliani, che vanno avanti nella città di Gaza (come nel resto della Striscia) da quasi due anni. A inizio settembre l’esercito aveva ordinato a tutti gli abitanti di spostarsi verso sud, con un ordine di evacuazione a cui è seguito l’inizio delle operazioni di terra nella città. Praticamente tutti gli abitanti si erano già dovuti spostare decine di volte nel corso della guerra, e non sanno più dove andare, dato che Israele ormai occupa gran parte del territorio della Striscia e anche le poche aree indicate come “sicure” vengono bombardate.

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In sei ore operatori e volontari hanno imballato quanti più reperti possibili, tra cui brocche di ceramica di quasi 2mila anni fa, mosaici, monete, intonaci dipinti e resti umani e animali, e li hanno caricati su cinque camion che avevano faticosamente trovato. Domenica l’esercito ha distrutto il palazzo e tutte le opere che erano rimaste dentro: Fadel al Otol, fra i più importanti archeologi della Striscia che da Ginevra (Svizzera) ha coordinato i suoi colleghi durante l’operazione, ha stimato che sia stato portato via circa il 70 per cento del contenuto del magazzino.

Il luogo in cui sono state portate le opere non è noto, ma è possibile che dovranno essere presto spostate di nuovo. Da ottobre del 2023 Israele ha distrutto o danneggiato la maggior parte degli edifici della Striscia: secondo l’UNESCO, tra questi ci sono anche 110 siti culturali, di cui 13 siti religiosi, 77 edifici di interesse storico o artistico, un museo e sette siti archeologici. Nello stesso periodo decine di persone si sono adoperate per salvare più opere possibili, coscienti della loro importanza non solo per l’identità palestinese, ma anche per la storia e la cultura globali, e nonostante le enormi difficoltà date dal lavorare in una zona di guerra in cui manca praticamente tutto.

Charbel ha detto ad Associated Press di essersi interrogato sull’opportunità di dedicare risorse rare e preziose nella Striscia, come i camion e il carburante, per salvare delle opere d’arte invece che lasciarle a disposizione delle persone. «Abbiamo deciso di farlo perché queste cose hanno molto valore» e altrimenti verrebbero distrutte per sempre, ha detto. Israele controlla tutti i confini della Striscia e ostacola o blocca l’ingresso di tutti i beni essenziali.

L’area dove oggi si trova la città di Gaza è abitata da più di 5mila anni. Per secoli la città è stata un importante porto del mar Mediterraneo da cui passavano le navi che percorrevano la rotta commerciale fra Egitto, Siria e Mesopotamia. Nel 332 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno e poi fu posta sotto dominazione greca e romana. Intorno al VII secolo fu conquistata da popolazioni arabe e diventò un importante centro per la cultura e la religione musulmana. Per quattro secoli, dal 1517 al 1918, fu parte dell’Impero ottomano, a cui si succedette quello britannico.

Il susseguirsi di queste dominazioni e civiltà ha prodotto un patrimonio artistico eterogeneo, la cui scoperta e conservazione è stata possibile grazie a molti esperti e abitanti della Striscia, sostenuti da diverse istituzioni culturali e organizzazioni internazionali e non governative. Un esempio è proprio la Première Urgence Internationale (PUI), un’organizzazione umanitaria presente nella città di Gaza da più di vent’anni che si occupa anche della protezione del suo patrimonio culturale, sotto la supervisione dell’École biblique et archéologique française de Jérusalem, un’importante scuola francese di archeologia e studi biblici fondata a Gerusalemme alla fine dell’Ottocento.

In questi anni di lavoro a Gaza la PUI, attraverso il suo operatore Jehad Abu Hassan (che la settimana scorsa ha collaborato all’operazione di svuotamento del magazzino da Amman, in Giordania), ha fondato Intiqal: è un programma sostenuto dal British Council e dall’Agenzia francese per lo sviluppo che formava le persone giovani di Gaza per lavorare come guide turistiche o negli scavi archeologici (prima della guerra ce n’erano vari). Proprio alla fine di settembre del 2023 Al Jazeera aveva pubblicato un articolo sul ritrovamento di quattro nuove tombe in una necropoli di epoca romana da parte di una squadra dell’Intiqal guidata dall’archeologo al Otol.

A settembre del 2023, due archeologhe palestinesi lavorano al sito di una necropoli di epoca romana scoperta nel nord della Striscia di Gaza un anno prima (ANSA/EPA/MOHAMMED SABER)

Anche prima dell’inizio della guerra si trattava comunque di un lavoro complicato, dato che in diversi casi la leadership di Hamas, che governava la Striscia, decideva di costruire complessi residenziali o campi di addestramento militare su siti archeologici molto importanti: per esempio quello dell’antico porto di Anthedon, di epoca ellenistica, distrutto dai bombardamenti israeliani alla fine del 2023; e quello di Tell es-Sakan, un insediamento dell’età del bronzo che Hamas aveva iniziato a distruggere nel 2017, fra molte proteste che avevano temporaneamente ostacolato i lavori.

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Alla conservazione di alcune opere nella Striscia hanno partecipato anche dei privati, come l’imprenditore edile Jawdat Khoudary, un ricco uomo d’affari di Gaza che all’inizio della guerra si è trasferito in Egitto con la sua famiglia. Prima dell’invasione israeliana Jawdat aveva una vastissima collezione di opere e manufatti ritrovati nel corso dei decenni dagli operai che lavorano nei suoi cantieri o da pescatori che se li ritrovavano impigliati nelle reti. Jawdat ha detto a BBC che aveva convinto queste persone a non distruggere le cose che trovavano, ma a portargliele in buone condizioni per ricevere un compenso: «Pensavano che fossi un po’ pazzo a cercare ceramiche e pietre, ma giorno dopo giorno li abbiamo convinti che si tratta della nostra storia».

Una sala della mostra attualmente in corso all’Institut du monde arabe a Parigi (ANSA/Jeanne Accorsini/Pool/ABACAPRESS.COM)

Molte delle sue opere oggi sono conservate al Museo d’Arte e Storia di Ginevra (se ne occupa al Otol) e alcune sono esposte nella mostra Tesori salvati di Gaza all’Institut du monde arabe a Parigi. Non tutte sono state portate via dalla Striscia: prima di andarsene Jawdat aveva messo alcune opere in cassette di sicurezza in una banca della città di Gaza, mentre altre erano rimaste nella sua casa e nel suo museo. Tutti e tre i luoghi sono stati distrutti o gravemente danneggiati da bombardamenti israeliani. Lo stesso è successo, fra gli altri, a un complesso archeologico bizantino del V secolo nella città di Jabalia, alla necropoli romana di Ard-al-Moharbeen e all’ingresso del mercato dell’oro di Qissariya, nella città di Gaza.