• Italia
  • Giovedì 18 settembre 2025

Quante persone sono morte col suicidio assistito in Italia, e come

Hanno quasi tutte storie e complicazioni diverse, dovute soprattutto al fatto che non c'è una legge nazionale

Il deposito delle firme per la legge regionale “Liberi Subito” in Lombardia (Associazione Luca Coscioni)
Il deposito delle firme per la legge regionale “Liberi Subito” in Lombardia (Associazione Luca Coscioni)
Caricamento player

La Sardegna è stata la seconda regione italiana a dotarsi in maniera autonoma di una legge sul suicidio assistito, o morte assistita, la pratica con cui a determinate condizioni ci si autosomministra un farmaco letale. La prima era stata la Toscana: in entrambi i casi le due regioni hanno approvato una legge per regolamentare una pratica che in Italia è legale dal 2019, grazie a una sentenza della Corte costituzionale, ma su cui non è mai stata approvata una legge nazionale (nonostante numerose sollecitazioni della Corte al parlamento).

Secondo dati diffusi dall’associazione Luca Coscioni, dal 2019 a oggi in Italia 15 persone hanno ottenuto l’autorizzazione a morire col suicidio assistito, 10 delle quali facendovi effettivamente ricorso. Le altre cinque hanno scelto di non procedere con la morte assistita pur avendone il diritto, oppure non sono riuscite a farlo per complicazioni dovute alla mancanza di una legge nazionale.

L’associazione Luca Coscioni si occupa da anni di diritti civili e in particolare del cosiddetto “fine vita” (come viene chiamato l’insieme di questioni che riguarda la morte e le scelte sul periodo che la precede): ha seguito dal punto di vista legale 7 dei 10 casi di persone che sono morte con questa tecnica in Italia, oltre ad aver scritto il testo base della proposta di legge approvata sia in Sardegna che in Toscana (e in discussione in diverse altre regioni).

Le vicende delle sette persone seguite dall’associazione sono esemplificative delle difficoltà e dei problemi che deve affrontare chi voglia ricorrere al suicidio assistito in assenza di una legge nazionale: nella maggior parte dei casi, pur chiedendo di accedere a una pratica che è ammessa, hanno dovuto intraprendere lunghe battaglie legali, attendendo mesi, a volte anni, prima di poter morire nel modo in cui avevano scelto.

– Leggi anche: Senza una legge sul fine vita

La prima persona che è morta legalmente col suicidio assistito è stata Federico Carboni, che lo ha fatto nel giugno del 2022 dopo una vicenda legale durata quasi due anni. Carboni aveva 44 anni ed era diventato tetraplegico a seguito di un incidente stradale: aveva i requisiti per poter accedere alla pratica per come erano stati stabiliti dalla Corte costituzionale (essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, avere una patologia irreversibile che sia fonte di sofferenze intollerabili, essere tenuti in vita da “trattamenti di sostegno vitale”), ma aveva dovuto rivolgersi a tribunali e denunciare la propria azienda sanitaria locale per tortura e per omissione di atti di ufficio. Solo anni dopo aveva ottenuto l’autorizzazione e le indicazioni sul tipo di farmaco con cui morire, ma non la copertura delle spese.

Carboni ha potuto morire con un farmaco e un macchinario acquistati grazie a una raccolta fondi pubblica organizzata dall’associazione Luca Coscioni, e grazie al fatto che per assisterlo si rese gratuitamente disponibile Mario Riccio, il medico anestesista che nel 2006 aveva permesso a Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, di morire interrompendo il trattamento sanitario che lo teneva in vita: è un caso molto conosciuto e che fu molto discusso perché fu il primo noto di “eutanasia” (che è diversa perché serve che un’altra persona somministri un farmaco o comunque compia un’azione per far morire il paziente che lo ha chiesto, e in Italia è vietata).

Per ragioni simili a quelle di Carboni, Riccio si è reso disponibile ad assistere anche altre due persone morte in Italia col suicidio assistito: Serena, morta a gennaio del 2025, e Gloria, una paziente oncologica di 78 anni morta nel 2023. Anche se dovette trovare un medico che la assistesse volontariamente (Riccio, appunto), il suo caso fu importante perché l’azienda sanitaria locale di riferimento riconobbe come “trattamenti di sostegno vitale” i «farmaci antitumorali mirati» che assumeva, e senza i quali sarebbe morta.

È un punto dirimente: la sentenza della Corte costituzionale del 2019 era stata piuttosto vaga sulla definizione di questo requisito, che nella maggior parte dei casi è stato interpretato in senso molto ristretto (come nel caso di respiratori meccanici), fino a quando la Corte costituzionale non ha chiarito che “trattamenti di sostegno vitale” sono anche terapie farmacologiche senza cui si morirebbe, o l’assistenza quotidiana di altre persone per funzioni corporee fondamentali, come l’evacuazione manuale dell’intestino o l’inserimento di cateteri.

Il primo caso in cui una persona è riuscita a morire col suicidio assistito ricevendo l’assistenza completa del Servizio sanitario nazionale sia per il farmaco che per il macchinario è stato quello di Anna, una donna di 55 anni malata di sclerosi multipla progressiva. I tempi sono stati però molto lunghi: Anna è morta a novembre del 2023, dopo oltre un anno dalla sua richiesta iniziale. Altri casi che hanno richiesto tempi lunghi sono stati quello di Vittoria, una donna veneta di 72 anni con la sclerosi multipla morta nove mesi dopo la sua richiesta, e quello della giornalista Laura Santi, anche lei affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla. Santi è morta a casa sua, a Perugia, facendo ricorso al suicidio assistito dopo quasi tre anni dalla sua richiesta iniziale.

Finora ci sono stati due casi noti di persone morte col suicidio assistito per come è stato regolamentato da una legge regionale, quella della Toscana: Daniele Pieroni, un uomo di 64 anni affetto dal morbo di Parkinson in stadio avanzato, e un uomo con una malattia neurologica degenerativa, morto a inizio settembre. Pieroni aveva fatto richiesta nel 2023, quando in Toscana ancora non era stata approvata una legge, e le cose erano andate come in altri casi molto per le lunghe: la situazione si è sbloccata proprio con l’approvazione della legge, l’11 febbraio. Sul suo caso sono state fatte le verifiche necessarie e previste dalla legge, e poco più di due mesi dopo, il 22 aprile del 2025, Pieroni ha ricevuto l’autorizzazione. La legge regionale della Toscana prevede un massimo di 37 giorni da quando la persona fa richiesta di accesso alla morte assistita a quando riceve una risposta.

Nel frattempo c’è chi non sta riuscendo ad accedere alla pratica in Italia, pur avendone diritto, e ha scelto di andare a morire all’estero, come Martina Oppelli, una donna affetta da più di 25 anni da una patologia neurodegenerativa progressiva morta in Svizzera poche settimane fa.

Anche se le regioni si stanno muovendo in maniera autonoma per regolamentare la morte assistita, la situazione è ancora molto disomogenea e priva di garanzie: una legge regionale è stata approvata solo in due regioni, Toscana e Sardegna appunto, venendo invece affossata in altre. Emilia-Romagna e Puglia hanno regolamentato la pratica con una delibera (uno strumento più fragile perché più facilmente revocabile), e in altre sono ancora in corso le raccolte firme o la proposta di legge è in discussione. Nel frattempo il governo ha presentato un disegno di legge, che però si discosta dai principi della sentenza della Corte costituzionale del 2019 su alcuni aspetti fondamentali (tra cui la garanzia della copertura della pratica da parte del servizio sanitario nazionale per chi ne ha diritto), ed è per questo molto criticato.