Le ultime parole di Federico Carboni, la prima persona a ricorrere al suicidio assistito in Italia

«Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò»

Federico Carboni, in una foto diffusa dall'associazione Luca Coscioni
Federico Carboni, in una foto diffusa dall'associazione Luca Coscioni

Giovedì mattina è morto Federico Carboni, la prima persona ad aver chiesto e ottenuto di poter ricorrere al suicidio medicalmente assistito in Italia, sulla base della sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che aveva stabilito che chi aiuta una persona a suicidarsi non è punibile a patto che siano rispettate alcune condizioni. La morte di Carboni, di cui fino ad oggi non si sapeva il nome, è stata comunicata dall’Associazione Luca Coscioni, che negli scorsi mesi lo aveva assistito nelle pratiche legali.

Carboni aveva 44 anni e viveva a Senigallia, nella Marche: era tetraplegico e immobilizzato da dieci anni a causa di un incidente stradale. L’autorizzazione al suo suicidio assistito era arrivata lo scorso febbraio, dopo un lungo contenzioso legale: l’accesso al suicidio medicalmente assistito in Italia non è regolato da nessuna legge, ma esclusivamente da una sentenza della Corte Costituzionale che implica che ogni singolo caso debba essere gestito dalle autorità sanitarie locali, con criteri difficili da individuare. Una proposta di legge per regolamentare il suicidio assistito è stata approvata a marzo dalla Camera, ma non è ancora stata discussa dal Senato.

L’Associazione Luca Coscioni ha fatto sapere che Carboni è morto nella sua abitazione «dopo essersi auto somministrato il farmaco letale attraverso un macchinario apposito, costato circa 5.000 euro, interamente a suo carico», per il quale l’associazione aveva lanciato una raccolta fondi.

Le ultime parole di Carboni sono state queste:

«Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».