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  • Martedì 12 dicembre 2023

Il Servizio sanitario nazionale ha fornito assistenza completa a una donna per il suicidio assistito

Aveva 55 anni ed era affetta da sclerosi multipla progressiva: è la prima volta che succede

(Associazione Luca Coscioni)
(Associazione Luca Coscioni)
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Il 28 novembre è morta Anna, una donna di 55 anni malata di sclerosi multipla progressiva che aveva fatto richiesta di suicidio assistito, la pratica con cui a determinate condizioni ci si auto-somministra un farmaco letale. Lo ha reso noto martedì l’associazione Luca Coscioni, specificando che Anna è stata «la prima italiana ad ottenere il suicidio assistito in Italia con l’assistenza completa del Servizio sanitario nazionale», che ha coperto le spese per il farmaco letale e per ottenere le strumentazioni necessarie per completare la procedura.

Il suicidio assistito è avvenuto sotto la supervisione di un medico individuato dall’azienda sanitaria che, su base volontaria, ha assistito Anna senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta «di esclusiva spettanza» della paziente, ha affermato l’associazione Luca Coscioni.

Le ultime parole di Anna sono state queste:

“Anna” è il nome che avevo scelto e, per il rispetto della privacy della mia famiglia, resterò “Anna”. Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere.

In Italia il suicidio assistito, cioè la possibilità di auto-somministrarsi un farmaco letale a determinate condizioni, è legale non grazie a una legge del parlamento, che non ne ha mai approvate sul tema, ma dopo una storica sentenza della Corte Costituzionale del 2019, arrivata dopo anni di iniziative, appelli e infine di disobbedienze civili in cui si chiedeva più libertà sulle scelte individuali di fine vita.

– Leggi anche: Senza una legge sul fine vita

Non essendo una legge, però, la sentenza stabilisce solo quando il suicidio assistito non è punibile, senza dare indicazioni chiare su tempi e modalità di attuazione: la Corte ha chiesto al parlamento in più occasioni di intervenire e approvare una norma, finora senza successo. C’è una proposta ferma al Senato (e ritenuta da molti comunque inadeguata), e nel frattempo ogni caso è affidato volta per volta alla gestione delle singole aziende sanitarie locali.

L’assenza di una legge ha avuto conseguenze enormi per chi negli ultimi anni voleva ricorrere al suicidio assistito (non ci sono dati esatti: i casi noti sono quelli che ha seguito l’associazione Luca Coscioni, che tra le altre cose offre informazioni, aiuto e assistenza legale a chi intraprende questa strada). C’è chi è morto prima di riuscire ad accedervi, dopo sofferenze intense, chi ha dovuto intraprendere una lunga battaglia legale e chi alla fine ha scelto di andare all’estero.

Federico Carboni, la prima persona a ricorrere al suicidio assistito in Italia, aveva dovuto personalmente farsi carico del farmaco, trovare un medico che glielo prescrivesse e un macchinario (farmaco e macchinario erano stati acquistati grazie anche grazie a una raccolta fondi organizzata dall’associazione Luca Coscioni); Gloria, la prima persona in Italia a morire attraverso il suicidio assistito senza dover passare per un tribunale, aveva ricevuto dal Servizio sanitario nazionale il farmaco; nel caso di Anna il Servizio sanitario ha fornito invece farmaco, strumentazione e medico.

Oggi in Italia chi vuole ricorrere al suicidio assistito deve contattare la propria ASL di riferimento e inviare una richiesta di verifica delle proprie condizioni, come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale: per farlo, l’associazione Luca Coscioni ha predisposto una bozza che è disponibile su richiesta.

Successivamente l’ASL deve verificare la presenza dei quattro requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 2019: il fatto che la persona che fa richiesta sia in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, che sia affetta da una patologia irreversibile, che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ritiene intollerabili (un criterio estremamente soggettivo e individuale), e che sia «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale». Per esempio da un ventilatore o da un respiratore meccanico, anche se un’importante sentenza ha esteso questa definizione ad altri trattamenti sanitari, per esempio farmacologici, che se interrotti possono portare alla morte del paziente. Perché la richiesta possa essere approvata, questi quattro requisiti devono esistere tutti insieme.

– Leggi anche: Le ultime parole di Federico Carboni, la prima persona a ricorrere al suicidio assistito in Italia

Oggi, tra i casi noti, c’è solo una persona ancora viva in Italia che ha ottenuto l’accesso alla morte assistita senza dover attraversare una lunga vicenda giudiziaria: Stefano Gheller, un uomo di 49 anni affetto dalla nascita da una forma grave di distrofia muscolare: da quando aveva 15 anni utilizza una carrozzina, ha un respiratore 24 ore su 24, non può usare le braccia salvo per piccoli movimenti come muovere un mouse o il joystick della carrozzina, non può mangiare e bere da solo e ha difficoltà a parlare, oltre a dolori posturali dovuti alla sua condizione. Pur avendo ottenuto l’autorizzazione, Gheller ha deciso di aspettare e di ricorrere alla morte assistita più avanti, quando riterrà le proprie condizioni non più sopportabili – il Post aveva parlato con lui l’anno scorso.