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  • Domenica 14 settembre 2025

I trucchi degli ospedali per falsare le liste d’attesa

Servono a nascondere ritardi e indisponibilità: il più diffuso è il blocco delle prenotazioni

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(ANSA/FABRIZIO FOIS)
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Nell’ultimo anno il ministero della Salute ha inviato due lettere alle regioni per sollecitare una gestione migliore delle liste d’attesa per esami e visite mediche. In entrambe le lettere il ministro Orazio Schillaci ha scritto che ci sono troppe “situazioni indegne”, un riferimento agli espedienti usati dagli ospedali per nascondere ritardi e indisponibilità. Nonostante i tempi per avere un esame o una visita siano molto lunghi, infatti, in molti casi i dati trasmessi dalle regioni al ministero non mostrano i problemi denunciati dalla popolazione.

Tutti i trucchi per falsare i dati – ne sono stati ideati molti – agiscono nel momento in cui una persona chiama l’ospedale o si collega al sito per fare una prenotazione. Quando un medico prescrive un esame o una visita specialistica scrive sulla ricetta una lettera che indica quanto è urgente l’appuntamento: quelle più urgenti hanno una U, e devono essere fatte entro 72 ore; con la lettera B la priorità è breve e la visita può essere fatta entro 10 giorni, che diventano 30 per le visite differibili indicate con la lettera D e 120 quando sono programmate, con la lettera P.

Negli ultimi anni chi ha dovuto prenotare una visita o un esame sa che spesso queste scadenze non vengono rispettate: nei casi peggiori l’attesa può durare diversi mesi o anche più di un anno.

L’espediente più noto è il cosiddetto blocco o chiusura delle agende. Significa che i portali di prenotazione o i call center non mettono a disposizione nessun appuntamento, nemmeno a distanza di mesi o anni. Semplicemente chi prova a prenotare non trova nessun posto. Nonostante sia una pratica piuttosto diffusa, è vietata dalla legge: le strutture sanitarie pubbliche devono sempre avere a disposizione appuntamenti, anche a costo di rivolgersi a strutture private convenzionate a cui commissionare la prestazione che non si riesce a garantire.

La chiusura delle agende dipende in parte dalla carenza di personale e dalla scarsa organizzazione interna, da medici che rifiutano di rendere disponibili le proprie agende di lavoro al sistema di prenotazione unificato, come ha scritto il ministro Schillaci nella sua lettera di richiamo, ma anche da dirigenti che non fanno abbastanza controlli.

Un altro espediente consiste nel chiedere di richiamare nelle settimane successive per controllare se nel frattempo si sono liberati posti. In questo modo l’attesa registrata dai dati inizia ufficialmente quando viene fissato l’appuntamento, e non dal momento della prima chiamata. In molte regioni diversi ospedali fanno la stessa cosa con le persone che si presentano agli sportelli: gli operatori dicono che non ci sono appuntamenti e invitano i pazienti a tornare. I tempi di attesa risultano così inferiori.

Uno studio diffuso nel 2023 dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) in collaborazione con la fondazione The Bridge mostra bene gli effetti delle prenotazioni rinviate. I dati dicono che solo il 18 per cento delle persone che hanno una ricetta U, urgente, con esami o visite da fare entro tre giorni, chiama entro due giorni da quando riceve la ricetta dal medico. Addirittura l’80 per cento prenota dopo il periodo indicato dalla ricetta. Lo stesso accade per il 40 per cento di chi deve avere un appuntamento entro 10 giorni. È impensabile che così tante persone trascurino la loro salute, soprattutto se in gravi condizioni: tutto ciò è solo l’effetto del rinvio degli appuntamenti.

Le principali conseguenze del blocco delle prenotazioni sono due, entrambe gravi. La prima è che molte persone sono costrette a rivolgersi a strutture private, che hanno più posti a disposizione e soprattutto in tempi più rapidi perché cliniche e ospedali privati hanno organizzazioni più flessibili e possono concentrare l’organizzazione sulle prestazioni più remunerative.

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La seconda conseguenza del blocco delle prenotazioni è che le persone che non possono permettersi di pagare una struttura privata sono costrette a rinunciare alle cure. Nel 2024 quasi 6 milioni di persone, circa un decimo della popolazione italiana, hanno dovuto rinunciare a curarsi perché i tempi di attesa per esami e visite sono troppo lunghi o perché fare i controlli costa troppo. Dopo la pandemia la quota di popolazione costretta a rinunciare alle cure è sempre cresciuta, ma tra il 2023 e il 2024 l’aumento è stato più marcato rispetto all’andamento degli ultimi anni: nel 2023 le persone che rinunciavano erano il 7,5 per cento del totale, nel 2024 il 9,9.

Avere dati affidabili è importante anche perché sulla base di quei dati il ministero può accorgersi dei problemi e nel caso intervenire. A metà giugno, dopo mesi di litigi, il governo e le regioni hanno trovato un accordo sulla gestione delle liste d’attesa e in particolare sui cosiddetti poteri sostitutivi, una sorta di commissariamento che il ministero della Salute vuole imporre alle regioni quando queste vengono ritenute inadempienti.