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  • Venerdì 12 settembre 2025

La catena di caffè di Berlino che fa il cappuccino a 2 euro e 50

Che è molto poco rispetto alla media, ma è anche per questo che sta ricevendo critiche e boicottaggi

Una delle sedi di LAP Coffee a Berlino, a settembre del 2025 (Maja Hitij/Getty Images)
Una delle sedi di LAP Coffee a Berlino, a settembre del 2025 (Maja Hitij/Getty Images)
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Da due anni nei quartieri più alla moda di Berlino, in Germania, è sempre più comune trovare dei piccoli negozi blu e bianchi con delle persone in coda. Sono le caffetterie di LAP Coffee (acronimo di “Life Among People”), una catena che in due anni ha aperto 15 negozi a Berlino (più quattro a Monaco di Baviera e uno ad Amburgo) grazie soprattutto ai prezzi estremamente competitivi. Un cappuccino di LAP Coffee costa 2,50 euro, circa la metà del prezzo delle caffetterie specializzate e comunque molto inferiore alla media di 3,65 euro calcolata ad aprile.

L’espansione di LAP Coffee non è vista positivamente da una parte degli abitanti di Berlino, secondo cui l’azienda starebbe facendo concorrenza sleale ai caffè indipendenti, considerati una parte importante della vita di quartiere berlinese. Nelle ultime settimane sono state imbrattate le vetrine di alcuni punti vendita (in un caso anche con dei volantini del partito di estrema destra Alternative für Deutschland), sono state avviate campagne di boicottaggio e i negozi hanno iniziato a ricevere quantità anomale di recensioni negative su Google e sui social.

La Germania è uno dei paesi con il più alto consumo di caffè pro capite d’Europa. Nella maggior parte dei casi viene consumato a casa, anche perché comprarlo fuori costa molto di più, specialmente nelle grandi città: secondo i dati della regione di Berlino-Brandeburgo, il costo del caffè è aumentato del 17,5 per cento negli ultimi quattro anni. Nonostante questo l’abitudine di bere caffè fuori e frequentare le caffetterie è rimasta, e a Berlino come in altre città negli ultimi anni sono stati aperti moltissimi posti che vendono specialty coffee, ossia caffè di qualità molto alta, che però costano anche di più.

Il menu di uno dei punti vendita di LAP Coffee (Maja Hitij/Getty Images)

I fondatori di LAP Coffee, Ralph Hage e Tonalli Arreola, hanno detto di aver deciso di aprire l’azienda proprio per permettere alle persone di bere caffè fuori casa a prezzi più accessibili, ispirandosi alla catena Blank Street Coffee di New York, che oggi è valutata 500 milioni di dollari. Hanno ricevuto finanziamenti da grosse aziende e fondi di investimento del settore come HV Capital, uno dei principali fondi di investimento di venture capital in Germania, che ha investito in aziende come FlixBus, HelloFresh, Zalando.

Molti commentatori sostengono che per mantenere questi prezzi LAP Coffee sia in perdita, e che sfrutti i finanziamenti per arrivare ad avere un numero di negozi sufficiente da poter un giorno ridurre i costi fissi abbastanza da cominciare a guadagnare. Il cofondatore Ralph Hage però ha detto che ogni negozio della catena è andato in pari entro sei mesi dalla sua apertura e che l’azienda genera già profitto.

L’obiettivo sarebbe stato raggiunto grazie a una campagna di marketing aggressiva, sia su TikTok che su Instagram, in cui sono stati coinvolti diversi influencer tedeschi. Tutti i punti vendita hanno un arredo molto “instagrammabile” e la società ha organizzato eventi sponsorizzati da aziende come il marchio di abbigliamento Uniqlo o l’app di incontri Bumble.

Secondo i critici, questo approccio contribuirebbe alla gentrificazione dei quartieri in cui LAP Coffee apre le sue caffetterie, nonostante i suoi fondatori sostengano che i prezzi bassi servano a combatterla.

Un aspetto del modello economico di LAP Coffee che permette di mantenere il prezzo così basso, e che è molto criticato, è che anche se vengono usati chicchi di alta qualità, i caffè non vengono fatti a mano dai dipendenti, come in tutti i posti che vendono specialty coffee, ma da macchine automatizzate che costano 50mila euro l’una. Questo permette di assumere meno dipendenti, anche senza esperienza, e di fare i caffè più velocemente, anche se la loro qualità è leggermente inferiore.

Inoltre per spendere poco, ha spiegato Hage in diverse interviste, l’azienda ha affittato locali di piccole dimensioni e spesso sfitti da tempo. I punti vendita sono molto piccoli, inferiori alle misure oltre le quali la legge richiede di installare un bagno per i clienti, una lavastoviglie o un forno per cuocere o riscaldare i dolci (che vengono comprati da un panificio locale). I negozi vendono il caffè solo in bicchieri usa e getta e incoraggiano i clienti a portarsi le tazze da casa. I costi di ogni punto vendita vengono analizzati settimanalmente, e il loro orario viene modificato in base al meteo: se è prevista pioggia, gli orari vengono ridotti, perché si presume ci sarà meno affluenza.

Hage sostiene che la differenza di prezzo rispetto alla media berlinese dipenda anche dal fatto che lui e Arreola hanno deciso di fare compromessi sul profitto derivato da ogni vendita. In un’intervista con il tabloid tedesco Bild, ha detto che il costo di 2,50 euro del cappuccino (quello che genera più indignazione) viene calcolato in questo modo: 48 centesimi di euro per il caffè, 30 per il latte, 68 per il personale, 25 per l’affitto, 8 per le commissioni e 48 per le tasse. Il risultato finale è un profitto di 23 centesimi per tazza, pari a quasi il dieci per cento [nell’articolo di Bild il risultato è 25 centesimi, ma l’aritmetica non perdona, ndr]. I critici sostengono che nessun caffè di quartiere potrebbe permettersi dei profitti così bassi senza essere sostenuto da grossi fondi di investimento.