Le opere d’arte dentro il Leoncavallo

Il cosiddetto Dauntaun, sotto lo storico centro sociale milanese, è pieno di graffiti sotto tutela che con lo sgombero non si sa che fine faranno

Una sala del Dauntaun, in una foto scattata nel 2021 da Clara Amodeo per il sito Another Scratch In The Wall
Una sala del Dauntaun, in una foto scattata nel 2021 da Clara Amodeo per il sito Another Scratch In The Wall
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Giovedì, a sorpresa, a Milano è cominciato lo sgombero dello storico centro sociale Leoncavallo, uno dei luoghi di aggregazione popolare più attivi e partecipati della città. Non è chiaro cosa succederà adesso allo stabile occupato, e quindi nemmeno al Dauntaun, lo spazio sotterraneo che all’inizio degli anni Duemila fu un punto di riferimento per la scena artistica e musicale underground milanese, e che un paio d’anni fa ha ricevuto la tutela della Soprintendenza per le opere di street art che contiene.

Il Dauntaun deve il suo nome alla parola inglese che significa “centro città” (downtown) ma può essere inteso anche come “città di sotto”. Dalla rampa di scale a tutte le sale a cui conduce è decorato con poster, stencil e graffiti: sono circa 400 metri quadrati sotto l’ex cartiera di via Watteau, che si trova nella parte nord di Milano e che fu occupata nel 1994. Come ha detto al sito Another Scratch In The Wall Marco Teatro, uno degli artisti più noti della scena indipendente milanese, il Dauntaun è «una capsula del tempo».

La sua storia comincia nel 2003 con il nono Happening Internazionale di Arte Underground (HIU), una manifestazione dedicata alle arti visive curata proprio da Teatro, in un periodo in cui la street art stava già attirando grandi attenzioni. Fu allestita una mostra sulla street art dagli anni Ottanta ad allora curata da Pao, che a Milano è conosciuto per i panettoni (cioè i dissuasori stradali) decorati con i pinguini. Coinvolse sia artisti già noti sia altri che lo sarebbero diventati, che riempirono le stanze del Dauntaun di installazioni, stencil, adesivi, poster e graffiti a spray o pennello: tra di loro c’erano Vandalo, Atomo, Paolo Buggiani, lo stesso Teatro e Shah, la prima writer italiana, oltre a Microbo, Ozmo, SeaCreative, un giovane TvBoy e Zibe, noto per il faccione in bianco e nero del protagonista del telefilm degli anni Ottanta Il mio amico Arnold, che al tempo in città si trovava un po’ ovunque.

L’illustratore e fumettista Alessandro Baronciani lo ricorda come un evento «fantastico, una delle cose più belle che ci si sarebbe potuti immaginare a vent’anni». Ci furono tra le altre cose una performance spoken word di Jello Biafra, il cantante della band punk dei Dead Kennedys, e un dibattito con Winston Smith, l’artista che disegnava le copertine dei loro dischi. Nell’ambiente dell’illustrazione indipendente i soldi erano pochi, ma Baronciani racconta che nasceva tutto «dalla volontà di fare cultura, cioè di fare società». Fu lui nel 2009 a dipingere al Dauntaun il murale della ragazza con la fotocamera.

Subito dopo l’HIU lo spazio fu usato per mostre ed eventi di autoproduzione e poi, dal 2006, per numerosi concerti di musica indipendente, specialmente di gruppi punk, hardcore e affini.

Era un periodo in cui a Milano erano stati sgomberati (o stavano per esserlo) altri centri sociali storici, come Bulk, Garibaldi e Pergola, e soprattutto grazie al collettivo FreeGo! dal Dauntaun passarono decine di band italiane e straniere, dai La Quiete ai Fine Before You Came, dagli inglesi Crash of Rhinos ai canadesi Fucked Up. Alla fine però nel 2010 lo spazio venne chiuso per la mancanza di uscite di sicurezza, e in seguito fu usato solo sporadicamente.

La giornalista Clara Amodeo, fondatrice di Another Scratch In The Wall, che si occupa di fare divulgazione sull’arte urbana, ha raccontato che il Dauntaun è stato riscoperto dopo la pandemia, quando il tema del restauro dell’arte urbana era ormai diventato attuale tra gli addetti ai lavori. Nel 2021 una parte delle opere è stata restaurata dagli stessi artisti con la guida di Alessandra Carrieri, docente di Restauro dell’arte contemporanea all’Accademia di Como.

Gli interventi comunque sono stati minimi. In strada i poster si staccano, gli adesivi sbiadiscono e i murales possono essere coperti o a loro volta graffitati, ma le opere del Dauntaun si sono conservate benissimo. «Lì sotto l’ambiente è molto freddo», aveva detto Carrieri; in più arriva poca luce, perciò i colori si sono conservati.

Il Dauntaun attirò l’interesse di Inward, un osservatorio con sede a Napoli che si occupa di valorizzare la “creatività urbana” e che facilitò il dialogo con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio. Nel maggio del 2023 ha riconosciuto la tutela ai graffiti del Dauntaun, certificando il loro valore storico, artistico e culturale. Era la prima volta che la Soprintendenza decideva di tutelare un insieme di opere murarie, anziché un’opera singola.

A differenza di un vincolo, che impone obblighi rigidi per la conservazione di un certo bene culturale, quella che riguarda il Dauntaun è una tutela ope legis: significa che i graffiti non possono subire alterazioni o essere rimossi senza che prima venga chiesto il parere della Soprintendenza.

Agenti di polizia davanti al Leoncavallo durante le operazioni in vista dello sgombero, 21 agosto 2025 (il Post)

La famiglia Cabassi, proprietaria dell’ex cartiera, iniziò a chiedere di potersi riappropriare del complesso alla fine degli anni Novanta. Nel 2005 fece causa al ministero dell’Interno perché, nonostante una sentenza dicesse che la cartiera doveva essere sgomberata, l’edificio non era stato liberato. Lo sgombero è cominciato giovedì dopo 133 tentativi andati a vuoto, e dopo che da tempo il Leoncavallo aveva avviato un dialogo con il comune per trovare una soluzione. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha detto sostanzialmente di essere stato scavalcato dal ministero dell’Interno.

Con la tutela, i proprietari sono tenuti a garantire che i graffiti del Dauntaun vengano conservati. Tra l’altro è in corso un’altra procedura per tutelare anche l’archivio che si trova nel centro sociale, dice Marina Boer, presidente dell’associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo, l’unica con sede nel centro sociale ufficialmente registrata. Potrebbero comunque essere spostati o anche distrutti, se la Soprintendenza decidesse che si può fare.

Non solo il Dauntaun, ma tutto l’edificio ha una «stratificazione pazzesca di opere», continua Amodeo, ricordando che nel 2006 perfino Vittorio Sgarbi, ex sottosegretario alla Cultura nel governo di destra di Giorgia Meloni e allora assessore del comune, l’aveva definita «la Cappella Sistina della contemporaneità». Nonostante il valore artistico e culturale del luogo, nel 2021 furono abbattuti i muri esterni con le opere di diversi artisti per permettere la costruzione di nuovi edifici residenziali. «Anni e anni (dal 1994) di colori e una sola mattina per tirarli giù», scrisse allora il Leoncavallo. «Questa è la verità che si cela dietro parole come riqualificazione e gentrificazione».

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