Perché al Sud si muore di più di tumore

La qualità delle terapie non c'entra: bisogna guardare soprattutto all'adesione alle campagne di prevenzione

Il risultato di una mammografia
Il risultato di una mammografia (Hannibal Hanschke/dpa)
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Una delle differenze più preoccupanti tra le tante che caratterizzano la qualità della vita tra regioni del Sud e del Nord Italia riguarda i tumori: tutte le indagini più recenti fatte dall’ISTAT o dall’Istituto superiore di sanità segnalano che al Sud si muore di più di cancro rispetto al Nord, e che in generale al Sud l’aspettativa di vita è più bassa.

Da anni molti studi analizzano le cause di questo divario, spesso attribuito a una presunta inefficienza degli ospedali nelle regioni del Sud. In realtà le indagini dicono che la qualità delle terapie oncologiche è molto simile tra Nord e Sud, mentre a fare la differenza è tutto ciò che accade prima di entrare in ospedale, ovvero negli stili di vita, nei comportamenti considerati a rischio e soprattutto nell’adesione alle campagne di screening, il modo migliore per diagnosticare i tumori nelle fasi iniziali, riducendone la mortalità.

Nelle regioni del Sud l’aspettativa di vita alla nascita è di 82,5 anni, al Nord di 84 anni. Questa differenza è spiegata in parte dalla mortalità da tumore: secondo i dati più recenti, riferiti al 2022, al Sud muoiono di tumore 8,3 persone ogni 10mila, mentre al Nord 7,1. Le regioni in cui la mortalità per tumore è più alta sono la Campania (9 persone ogni 10mila), la Sardegna (8,8), la Sicilia (8,4), la Puglia e la Calabria (8).

Capire da cosa dipenda questo divario piuttosto notevole non è semplice, anche perché esistono numerose forme di tumori e cause che possono concorrere al loro sviluppo: i tumori possono dipendere da una certa predisposizione a livello genetico, da stili di vita poco salutari, ma anche da eventi del tutto casuali.

In merito agli stili di vita, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha definito di “proporzioni epidemiche” problemi come il sovrappeso e l’obesità, secondo diverse stime responsabili di circa 4 milioni di morti all’anno in tutto il mondo. Altri fattori tenuti in considerazione sono il fumo e il consumo di alcol.

In quasi tutti questi indicatori il Sud ha dati peggiori rispetto al Nord. Il tasso di sedentarietà è addirittura quasi il doppio, e 49,9 persone su 100 sono in sovrappeso, cioè quasi la metà. Solo il tasso di fumatori è identico, mentre al Nord si consuma molto più alcol rispetto al Sud. Ci sono differenze anche nelle abitudini alimentari che possono prevenire i tumori. Il consumo di frutta, per esempio, è inferiore al Sud in tutte le fasce della popolazione. Evitare i comportamenti dannosi e adottare abitudini sane sono azioni che fanno parte della cosiddetta prevenzione primaria.

Negli ultimi trent’anni però ha avuto un ruolo sempre più importante anche la prevenzione secondaria, ovvero i programmi di screening utili a individuare la malattia quando il cancro è circoscritto a un’area ristretta dell’organismo e solitamente non dà sintomi. In questa fase iniziale il tumore può essere affrontato con più efficacia – con interventi chirurgici, farmacologici o di radioterapia –, con meno effetti collaterali e soprattutto aumentando le possibilità di cura.

Dal 2001 gli screening fanno parte dei livelli essenziali di assistenza (LEA), cioè la lista di prestazioni che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire obbligatoriamente, in modo gratuito o dietro pagamento del ticket. Gli screening oncologici al momento riguardano tre tipi di tumori: quelli della cervice dell’utero, del colon-retto e al seno, più propriamente chiamato tumore della mammella.

Il test usato per lo screening del tumore al seno è la mammografia, ovvero una radiografia. Per indagare il tumore alla cervice dell’utero viene fatto il Pap test: consiste in un prelievo, tramite una spatola e uno spazzolino, di alcune cellule di sfaldamento dal collo dell’utero, che muoiono e si staccano nel corso del normale processo di ricambio dei tessuti.

Per lo screening del tumore del colon-retto ci sono due tipi di test: la ricerca del sangue occulto nelle feci e la rettosigmoidoscopia. La ricerca del sangue occulto è un esame di laboratorio su un campione di feci che permette di individuare l’eventuale presenza di sangue invisibile a occhio nudo. La rettosigmoidoscopia è un esame interno della parte più bassa dell’intestino, che inizia dal retto e si estende fino a tutto il sigma. Si effettua tramite il sigmoidoscopio, uno strumento flessibile che permette di esaminare la superficie interna, eseguire prelievi mirati e asportare eventuali polipi.

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L’organizzazione delle campagne di screening spetta alle regioni e sono rivolte ad alcune fasce di popolazione in cui l’incidenza dei tumori è più alta: l’esame della cervice dell’utero coinvolge le donne tra i 25 e i 64 anni, lo screening per il tumore al seno quelle tra i 50 e i 60 anni, per il colon-retto uomini e donne tra i 50 e i 69 anni, anche se alcune regioni hanno scelto di estendere certe fasce d’età. Gli esami vengono fatti a cadenze regolari, a seconda della malattia.

I dati di tutte le campagne di screening delle regioni vengono raccolti costantemente dall’Osservatorio nazionale screening coordinato dall’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPRO) della regione Toscana. Nel 2024 sono state invitate complessivamente 17,9 milioni di persone e di queste 7,3 milioni hanno aderito agli inviti, dunque sono state sottoposte agli esami. Dal 2021 quasi tutte le regioni hanno recuperato i ritardi accumulati durante l’emergenza coronavirus, quando è stata data priorità ai ricoveri urgenti e alle operazioni non rinviabili per evitare la diffusione dei contagi.

Negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’adesione a tutti e tre gli esami: nel 2024 il 51 per cento delle donne invitate si è sottoposta al Pap test, il 50 alla mammografia, mentre il 33,3 per cento agli esami per individuare il tumore del colon-retto. Ci sono però molte differenze tra le regioni, in particolare tra Nord e Sud, dove in nessuna delle tre tipologie di esame si raggiunge il 40 per cento delle adesioni.

In Italia grazie a questi esami la mortalità causata dai tumori continua a diminuire. Dal 2001 al 2021 la mortalità per il tumore al seno si è ridotta del 16 per cento, dal 2005 al 2021 quella dovuta al tumore al colon si è ridotta di circa il 30 per cento. Il calo c’è stato ovunque, ma con andamenti molto diversi. Al Sud la mortalità per il tumore al seno è diminuita del 6 per cento, un valore molto distante dal 21 per cento del Nord. In alcune regioni come Calabria, Molise e Basilicata sono stati osservati addirittura degli incrementi, rispettivamente del 9 per cento, del 6 per cento e dello 0,8 per cento.

Anche per il tumore al colon la mortalità si è ridotta molto al Nord – del 29 per cento – e molto meno al Sud, dove è calata del 14 per cento tra il 2005 e il 2021. Il divario tra Nord e Sud è ancora più ampio fra gli uomini, dove la riduzione è stata del 33 per cento nel Nord, del 26 per cento al Centro e solo dell’8 per cento al Sud. Dove l’adesione è più bassa, cioè in Calabria, negli ultimi 15 anni la riduzione della mortalità per il tumore al colon è stata minima tra le donne – solo il 2 per cento in meno – e praticamente nulla per gli uomini.

Per capire come mai al Sud si muore di più rispetto al Nord, quindi, bisogna innanzitutto capire le ragioni che spingono così poche persone a rispondere agli inviti per gli esami.

Paola Mantellini, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale screening, spiega che le aziende sanitarie del Sud fanno più fatica a organizzare e gestire le campagne di screening anche a causa della complessità del territorio: molte persone abitano in zone remote, lontane da ospedali e ambulatori, o comunque in paesi molto piccoli. Lo stesso motivo limita anche gli accertamenti diagnostici sulle persone che risultano positive agli screening, ritardando le diagnosi. Nel Programma nazionale equità nella salute si sta cercando di limitare questo problema con fondi per l’acquisto di furgoni con installati macchinari per gli esami.

Studi dell’Istituto superiore di sanità e dell’associazione italiana di oncologia medica dicono che nell’adesione incide anche la quota di persone socialmente svantaggiate a causa di scarsa istruzione e difficoltà economiche. Solo il 56 per cento delle donne con basso titolo di studio si sottopone a screening del tumore al seno (contro l’81 per cento delle laureate), e il 60 per cento di chi ha molte difficoltà economiche (contro il 78 per cento di chi non ne ha). Gli altri esami hanno percentuali simili.

Tra le persone immigrate questi problemi sono ancora più evidenti: ci sono molte resistenze motivate da pregiudizi e scarsa informazione, anche per via dell’assenza di mediatori culturali. Nella popolazione immigrata la diagnosi è molto spesso peggiore rispetto al resto della popolazione proprio perché tardiva.

Negli anni sono stati individuati molti modi per convincere più persone a sottoporsi agli esami: vanno da campagne di comunicazione mirate alla formazione di medici e sanitari chiamati a convincere le persone ad aderire, oltre che una migliore organizzazione degli inviti e dei dati. Sono investimenti che tuttavia non potranno risolvere in poco tempo le disuguaglianze sociali e la diffusione delle strutture sanitarie, negli ultimi anni più precaria e sempre meno estesa.

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