Il fascino inesauribile del dilemma del carrello
Da decenni il più famoso esperimento mentale di etica è argomento di libri, studi, meme su Internet e anche un nuovo videogioco

Un carrello ferroviario inarrestabile sta per investire e uccidere cinque persone legate su un binario. Puoi impedirlo, ma in un solo modo: deviare il percorso del carrello e dirigerlo verso un binario su cui si trova legata un’altra persona. Azionando o no una leva, in pratica, puoi decidere se fare sopravvivere cinque persone e ucciderne un’altra, o non intervenire e lasciarne morire cinque.
Se questa situazione straordinariamente irrealistica è comunque familiare a moltissime persone è perché una filosofa inglese, Philippa Foot, la descrisse come esempio nel 1967 in un suo articolo di etica, la parte della filosofia che si occupa dei problemi che pone l’agire umano se si considerano le categorie del bene e del male. Noto come il “dilemma del carrello”, diventò uno degli esperimenti mentali più famosi di sempre, prima come materia di libri e studi scientifici, e poi anche come ispirazione di discussioni su Reddit, sondaggi per strada, meme e videogiochi.
Uno di questi, la cui uscita è prevista per fine 2025, è una specie di puzzle game che introduce fattori variabili tra cui il tempo a disposizione, i percorsi dei binari e il tipo di esseri viventi da salvare o non salvare. Sviluppa in un certo senso una caratteristica nota del dilemma: ne esistono diverse versioni, anche se la più conosciuta è quella con cinque persone su un binario e una sull’altro. Le uniche due cose che ci sono sempre o quasi sono un carrello e una decisione critica da prendere.
La tradizione di studi basati su questo esperimento mentale, molto popolare soprattutto in ambito anglosassone, è così lunga da avere persino un nome specifico: trolleyology (“carrellologia”). Formulare versioni differenti serve a capire come possono cambiare le decisioni umane per effetto di singoli fattori presi in considerazione di volta in volta.
Anche molti meme e altri giochi interattivi esplorano proprio questa variabilità: se e cosa cambia nelle scelte il fatto di conoscere la persona legata sul binario, per esempio, o se al posto delle persone ci sono un gatto su un binario e tre aragoste sull’altro (un caso che tira in mezzo un altro paradosso). In un video molto popolare su YouTube un genitore propone il dilemma, o una specie, anche al figlio di due anni, la cui soluzione è quantomeno spiazzante.
Ciascuna versione del dilemma ha diverse sfumature e implicazioni, ma tutte riguardano una scelta che implica il bene di qualcuno a spese del bene di qualcun altro. Alla versione alternativa più popolare, ideata già negli anni Ottanta dalla filosofa statunitense Judith Jarvis Thomson, fa riferimento fin dal titolo il più completo libro di divulgazione sui dilemmi del carrello, scritto nel 2013 da David Edmonds: Uccideresti l’uomo grasso?.
In questa versione c’è un solo binario, su cui si trovano legate cinque persone, e nessuna leva da azionare. Il soggetto dell’esperimento può impedire che siano investite e uccise solo in un modo: spingere giù da un ponte sul binario una persona molto corpulenta. L’impatto sarebbe mortale ma fermerebbe la corsa del carrello, salvando la vita delle cinque persone legate.
In pratica, sia nella versione di Thomson, sia in quella originale formulata da Foot, intervenire significa provocare la morte di una persona ma salvarne cinque. Da un punto di vista utilitaristico, incentrato solo sulle conseguenze dell’azione, è lo stesso risultato: un bilancio positivo di quattro persone salve. Eppure la maggior parte dei soggetti dei due esperimenti mentali considera moralmente giusto azionare la leva, ma non buttare la persona giù dal ponte.
Una delle ipotesi proposte dagli studiosi per spiegare questa differenza è che un conto è il male procurato per effetto previsto ma secondario di un’azione volontaria (spingere la leva), e un conto è il male procurato intenzionalmente (spingere la persona). Uno degli altri esperimenti mentali proposti da Foot, senza carrello, è utile a cogliere la distinzione.
Cinque pazienti hanno urgente necessità di un trapianto di organi: a due persone servono un rene ciascuna, ad altre due un polmone ciascuna e a un’altra un cuore. Un’altra persona, giovane e in ottima salute, ha valori e parametri perfettamente compatibili con quelli dei pazienti. Il chirurgo può o uccidere quella persona per prelevare gli organi necessari e impiantarli nei pazienti in attesa, o lasciarla in pace e fare morire i pazienti: di solito la prima scelta è considerata non soltanto ingiusta ma spregevole.
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Sebbene non siano mai stati del tutto risolti dal punto di vista filosofico e possano sembrare ad alcune persone un esercizio inutile, gli esperimenti mentali servono a scoprire predisposizioni e valori largamente condivisi dalle persone ma spesso soltanto a livello intuitivo. Che non vuol dire che ci sia poi per forza corrispondenza tra cosa le persone scelgono di fare negli esperimenti mentali e cosa fanno in situazioni reali o in esperimenti di laboratorio.
Una certa differenza tra l’esperimento mentale e una sua particolare versione di laboratorio è emersa, per esempio, in un recente studio dell’Università di Gent (in fase di revisione). Un gruppo di psicologi e psicologhe ha reclutato circa 800 persone e ha raccolto le loro risposte a una serie di dilemmi del carrello, tra cui una versione classica. In un altro dilemma la domanda era se un generale dell’esercito debba autorizzare o no un bombardamento di un rifugio di terroristi sapendo che colpirebbe anche un asilo nido nelle vicinanze (gli esperimenti mentali sono da tempo utilizzati anche in ambito militare).
Dopo due settimane ciascun partecipante è stato condotto in una stanza di laboratorio in cui c’erano tre volontari, seduti e in silenzio, con degli elettrodi attaccati ai polsi. Due di loro avrebbero ricevuto una piccola scossa (sicura ma sgradevole), a meno che il o la partecipante non lo avesse impedito. Per farlo doveva avvicinarsi alla terza persona, seduta in disparte, guardarla negli occhi e premere un pulsante sulla sua spalla per segnalare che quella persona avrebbe dovuto ricevere la scossa al posto delle altre due.
Il gruppo di ricerca ha scoperto che conoscere le risposte date dai partecipanti due settimane prima era abbastanza inutile, perché non serviva a prevedere come si comportavano poi in laboratorio. Inoltre, intervistati una seconda volta, molti di loro hanno cambiato le risposte che avevano dato in precedenza, per vari motivi. Per esempio alcuni hanno detto che provare dolore in due, in quel tipo di esperimento di laboratorio, forse in fondo era meno brutto che provarlo da soli.
«Molti di noi amano pensare di conoscersi abbastanza bene da poter prevedere come ci comporteremmo in situazioni morali», ma «le nostre vite sono piene di decisioni morali che raramente seguono linee guida chiare, e il contesto specifico può fare la differenza», ha scritto uno degli autori dello studio.
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