Per evitare frane e alluvioni in Italia servirebbero molti più soldi
Invece il governo ha ridotto i fondi per la manutenzione del territorio previsti per i prossimi dieci anni, e non di poco

Negli ultimi anni l’Italia è stata particolarmente soggetta a eventi meteorologici estremi che hanno provocato frane e alluvioni, con moltissimi danni per la popolazione dei territori colpiti. Si stima che dal 2012 al 2023 siano stati spesi 3,3 miliardi di euro all’anno per rimediare ai danni del cosiddetto dissesto idrogeologico. Dopo ogni disastro la politica si interroga su come si possano evitare questi danni: è una discussione che si ripete identica di anno in anno perché gli eventi estremi stanno diventando più frequenti a causa del cambiamento climatico e soprattutto perché continuano a mancare molte opere di prevenzione sul territorio.
Le opere mancano principalmente perché servirebbero più investimenti strutturali, cioè ingenti fondi messi a disposizione ogni anno a regioni, province e comuni per mettere in sicurezza le zone a rischio frana e i corsi dei fiumi o per costruire le casse di espansione, ovvero gli invasi per raccogliere l’acqua esondata durante le piene. Negli ultimi anni la spesa è molto aumentata rispetto ai decenni precedenti, ma non abbastanza.
Secondo i dati diffusi dall’ISPRA, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel 2024 infatti la superficie del territorio italiano a pericolosità di frane è aumentata del 25 per cento, dai 55mila chilometri quadrati rilevati nel 2021 ai 69mila del 2024. In totale circa il 23 per cento del territorio nazionale è a rischio frane. L’aumento di territorio a rischio è stato più significativo nella provincia autonoma di Bolzano, in Toscana, in Sardegna e in Sicilia.
Sono 5,7 milioni le persone che abitano in zone a rischio frane, di cui 1,28 milioni in aree a maggiore pericolosità, pari al 2,2 per cento della popolazione totale.
Rispetto a molti altri paesi europei, l’Italia è anche più esposta al rischio di alluvioni perché lo spazio per contenere l’acqua delle esondazioni è limitato. Negli ultimi decenni questa condizione si è aggravata con l’espansione dei centri abitati e delle aree industriali che hanno coperto una parte consistente di suolo. La cementificazione diminuisce la capacità del suolo di assorbire la pioggia e quindi favorisce lo scorrere di grandi quantità d’acqua.
Gli scenari identificati dall’ISPRA per mostrare il rischio di alluvioni sono tre: le aree a rischio basso possono essere colpite da alluvioni con una frequenza di ritorno superiore ai 200 anni (in idrologia si usa il tempo di ritorno, il tempo medio intercorrente tra il verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o superiore, per esprimere una probabilità), le aree a rischio medio tra i 100 e i 200 anni e quelle a rischio alto tra i 20 e i 50 anni.
In questa mappa si possono consultare i dati della pericolosità media o alta di tutti i comuni italiani ad eccezione delle Marche e del Trentino-Alto Adige, di cui non sono disponibili i dati. In tutta Italia il 14% del territorio è in aree a pericolosità bassa, il 10% è in aree a pericolosità media, il 5,4% in aree a rischio elevato; la rimanente parte di territorio – quindi la grande maggioranza – non è considerata a rischio. Il rischio è più alto in Emilia-Romagna, dove tra il 2023 e il 2024 quattro alluvioni hanno causato moltissimi danni.
Nel corso di una recente audizione organizzata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul rischio idrogeologico, la presidente dell’ANCE Federica Brancaccio ha detto c’è troppa incertezza da parte della politica sugli investimenti legati alla prevenzione. L’ANCE è l’Associazione Nazionale Costruttori Edili legata a Confindustria.
Secondo un’analisi dell’ANCE sulla legge di Bilancio, il più importante provvedimento di programmazione economica approvato ogni anno dal governo, tra il 2025 e il 2034 la spesa per la manutenzione sarà ridotta di 6,5 miliardi di euro rispetto alle previsioni. Una parte della riduzione – 673 milioni di euro – è concentrata nei tre anni dal 2025 al 2027. «Non possiamo continuare a rincorrere le emergenze, serve una svolta», ha detto Brancaccio.
L’ANCE ha chiesto al governo di studiare un piano con fondi certi per la manutenzione del territorio e di istituire un coordinamento per le politiche di prevenzione che oggi sono frammentate sul territorio, affidate a ministeri, regioni, autorità di bacino, comuni e altri enti locali.
Secondo le stime dell’ufficio parlamentare di Bilancio, senza ulteriori investimenti sulle politiche climatiche l’impatto degli eventi estremi e degli sconvolgimenti del clima potrebbe raggiungere 5,1 punti percentuali del PIL entro il 2050. Ai livelli attuali del PIL, sarebbero oltre 100 miliardi di euro.



