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  • Martedì 29 luglio 2025

Alberto Trentini non è l’unico italiano detenuto pretestuosamente in Venezuela

Al Post ne risultano almeno altri 14, ma il suo caso resta unico: una nuova nomina al ministero degli Esteri potrebbe smuovere le cose

Agenti della polizia venezuelana in assetto antisommossa durante le elezioni locali del 25 maggio, a Caracas
Agenti della polizia venezuelana in assetto antisommossa durante le elezioni locali del 25 maggio, a Caracas (AP Photo/Ariana Cubillos)
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Domenica il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto che i detenuti italiani in Venezuela sono «una quindicina». Il più noto di loro è Alberto Trentini, il cooperante in carcere da novembre, che lo stesso giorno aveva potuto chiamare la famiglia per la seconda volta in otto mesi. Il numero citato da Tajani è una novità e per certi versi è sorprendente: finora non si sapeva che fossero così tanti e si pensava fossero circa la metà. Facendo altre verifiche, la stima sembra accurata.

Riguardano soprattutto persone italo-venezuelane perseguitate per motivi politici, e per questo il loro caso è diverso da quello di Trentini, che come loro – ma ben più di loro – è considerato dal governo autoritario di Nicolás Maduro una contropartita per ottenere qualcosa. Sempre domenica il ministero degli Esteri ha nominato per la prima volta un inviato speciale per i detenuti italiani in Venezuela, Luigi Vignali. Anche questa è una grossa novità: Vignali è un diplomatico esperto e la sua nomina è ritenuta da chi segue la questione uno sviluppo importante, perché apre un nuovo canale di dialogo tra il governo italiano e quello venezuelano.

In Venezuela ci sono almeno 853 prigionieri politici di cui 81 stranieri, secondo Foro Penal (una delle principali associazioni per i diritti umani del paese). Non è strano che quelli italiani siano più di quanti si pensasse fino a poco tempo fa: in Venezuela chi si occupa di questo tema parla spesso di “porte girevoli” in riferimento al sistema con cui l’apparato poliziesco ogni settimana arresta pretestuosamente alcune persone e ne libera altre come risultato di uno scambio, un accordo, o perché non gli interessano più. Il governo non è trasparente sugli arresti e a volte le famiglie preferiscono non renderli pubblici, per evitare ritorsioni o non compromettere una trattativa. Potrebbero insomma essere effettivamente aumentati, oppure potrebbero essere emerse informazioni solo adesso.

Trentini è l’unico che ha solo la cittadinanza italiana e non anche quella venezuelana. È il motivo fondamentale per cui il governo ha arrestato lui e decine di cittadini stranieri senza formalizzare accuse a loro carico: per usarli come merce di scambio coi rispettivi governi. C’è poi un altro italiano in una situazione poco chiara, l’imprenditore Mario Burlò, che è sotto processo a Torino per reati fiscali: secondo i suoi avvocati sarebbe in carcere in Venezuela, mentre il pubblico ministero sostiene che non ci siano prove che sia lì.

Luigi Ciotti, Alessandra Ballerini, Armanda Trentini (madre del cooperante), Paola e Claudio Regeni (genitori di Giulio Regeni) al tribunale di Roma, il 15 luglio

Luigi Ciotti, Alessandra Ballerini (avvocata di Trentini), Armanda Trentini (madre del cooperante), Paola e Claudio Regeni (genitori di Giulio Regeni) al tribunale di Roma, il 15 luglio (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Trentini, come detto, è un caso a parte. Oltre alla questione della cittadinanza, a differenza della maggioranza degli italo-venezuelani non ha mai fatto attività politica né ha legami familiari o lavorativi nel paese. Trentini è nel carcere di El Rodeo I. Molti degli altri detenuti italo-venezuelani sono invece in quello dell’Helicoide, noto per i casi di tortura. Entrambi sono nella capitale Caracas. La corrispondente da lì del quotidiano colombiano El Tiempo, Ana Rodríguez Brazón, spiega che le differenze tra le condizioni di un carcere e l’altro sono esigue in un paese «dove i diritti umani non esistono, e nelle prigioni è peggio».

È possibile ricostruire che i prigionieri politici italiani in Venezuela sono almeno 15 (compreso Trentini) anche basandosi sulle informazioni raccolte dalla Piattaforma unitaria democratica venezuelana (la coalizione dell’opposizione) in Italia e dall’associazione “Venezuela: la piccola Venezia”. Tra i più famosi di loro ci sono due esponenti dell’opposizione venezuelana: Américo De Grazia e il giornalista Biagio Pilieri Gianninoto. Erano stati arrestati nell’estate del 2024, quando Maduro represse con la forza le proteste per i brogli alle presidenziali.

Marinellys Tremamunno, la presidente dell’associazione, è in contatto con le famiglie di De Grazia e Pilieri. Racconta che «l’unica loro prova di vita» è il cambio di vestiti che i familiari portano ogni settimana, insieme al cibo, all’Helicoide. «Non sappiamo se lo ricevono oppure no», dice Maria Rosa De Grazia, figlia di Américo, che da un anno non ha sue notizie. Tra gli altri detenuti politici il dirigente dell’opposizione Aldo Rosso; l’imprenditore Daniel Enrique Echenagucia e la funzionaria pubblica Margarita Assenza.

Alcune persone venezuelane espulse dagli Stati Uniti arrivano all'aeroporto di Maiquetia, in Venezuela, il 18 luglio

Alcune persone venezuelane espulse dagli Stati Uniti arrivano all’aeroporto di Maiquetia, in Venezuela, il 18 luglio (AP Photo/Ariana Cubillos)

La nomina di Vignali (il nuovo inviato speciale) è considerata un segnale positivo dalle associazioni italo-venezuelane così come dall’avvocata della famiglia Trentini, Alessandra Ballerini. Vignali ha un’esperienza più che trentennale al ministero degli Esteri e il suo precedente incarico era affine al suo nuovo compito: era Direttore generale per gli italiani all’estero. Lunedì Vignali ha incontrato Tajani e la sua nomina è stata coordinata con la presidenza del Consiglio (nelle trattative per la liberazione di Trentini hanno un ruolo i servizi segreti, che dipendono appunto dalla presidenza).

Soprattutto, un inviato speciale potrà condurre colloqui diretti col governo di Maduro: una cosa che finora non era avvenuta in questa forma. In quanto mediatore, avrà più spazio di manovra di quello dell’ambasciata italiana a Caracas, che era stato limitato dal Venezuela come ritorsione verso i paesi che non avevano riconosciuto l’esito delle presidenziali truccate: sia forzandola a ridurre il personale, sia restringendo la possibilità dei suoi funzionari di muoversi sul territorio.

Luigi Vignali, in una foto dell'aprile del 2023

Luigi Vignali, in una foto dell’aprile del 2023 (ANSA/VINCENZO LIVIERI)

Ottenere qualche forma di legittimità politica, anche non esplicita, è un obiettivo della cosiddetta “diplomazia degli ostaggi” di Maduro. Per il giornalista Estefano Tamburrini, esperto di Venezuela, la nomina di Vignali va in questa direzione ed era attesa dal presidente: «Mancava una dimensione politica che ora c’è». Anche secondo Antonio Di Giampaolo Bottini, conduttore radiofonico a cui il governo venezuelano ha chiuso le trasmissioni, per ottenere qualcosa da Maduro serve un approccio pragmatico e il lavoro di Vignali potrebbe avere effetti positivi anche per i detenuti di altri paesi europei.

Fare un accordo col regime non significherebbe necessariamente riconoscerlo come governo in carica, sottolinea il coordinatore della Piattaforma unitaria democratica venezuelana in Italia, Massimiliano Tognini. Tognini fa l’esempio dell’inviato speciale degli Stati Uniti, Richard Grenell, che ha contribuito all’accordo in base al quale, dieci giorni fa, il Venezuela ha liberato dieci prigionieri statunitensi in cambio delle 250 persone venezuelane che erano state espulse dagli Stati Uniti e mandate a El Salvador. L’accordo non aveva alterato la retorica, ostile, che caratterizza le pessime relazioni tra i due governi.

In questo contesto, la settimana scorsa l’amministrazione di Donald Trump ha ripristinato un’autorizzazione per consentire all’azienda petrolifera statunitense Chevron di operare in Venezuela. Trump aveva così invertito un suo precedente provvedimento – non aveva rinnovato l’autorizzazione e aveva minacciato sanzioni – che aveva avuto conseguenze anche per l’italiana Eni, che importa petrolio dal Venezuela e in cambio gli fornisce il gas del giacimento offshore Perla. Tognini e Rodríguez Brazón (la corrispondente del Tiempo) ipotizzano che il rapporto tra Eni e la compagnia statale petrolifera venezuelana PDVSA possa finire nei negoziati per la liberazione dei prigionieri politici italiani.

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Una precedente versione di questo articolo citava erroneamente anche l’avvocato Perkins Rocha, uno stretto collaboratore della leader dell’opposizione María Corina Machado, che è un detenuto politico ma non ha cittadinanza italiana. Rocha viene spesso incluso nelle liste dell’opposizione perché è italiana la famiglia della moglie.

– Ascolta “Globo”: La diplomazia degli ostaggi, con Farian Sabahi