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  • Giovedì 24 luglio 2025

Portiera, difensora, marcatura a donna

Per la crescita del calcio femminile sono importanti i risultati, come quelli ottenuti dall'Italia agli Europei, ma anche le parole

di Giorgia Bernardini

Le calciatrici e lo staff dell'Italia dopo la semifinale persa all'ultimo minuto dei supplementari contro l'Inghilterra (Alexander Hassenstein/Getty Images)
Le calciatrici e lo staff dell'Italia dopo la semifinale persa all'ultimo minuto dei supplementari contro l'Inghilterra (Alexander Hassenstein/Getty Images)
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Mentre l’Italia stava giocando gli Europei, si è parlato spesso dell’approccio con cui Andrea Soncin si è avvicinato al calcio professionistico femminile. Prima di diventare, nel 2023, l’allenatore della Nazionale femminile italiana, Soncin aveva allenato le giovanili maschili del Venezia. Per questo motivo gli vengono chiesti spesso, in modo a volte insistente, pareri sulle differenze tra il calcio femminile e quello maschile.

Già in un’intervista a dicembre del 2023, Soncin aveva detto che «non c’è calcio maschile o calcio femminile. È calcio e basta». È tornato poi sull’argomento anche più di recente, dopo la partita contro la Spagna. Piuttosto emozionato per la qualificazione ai quarti di finale, parlando alla Rai aveva detto che «chi non conosce il mondo del calcio giocato dalle donne, lo giudica senza minimamente aver dei fondamenti in quello che dice. C’è una passione sfrenata, c’è un rispetto estremo. Non lo cambierei con niente al mondo». Martedì sera l’Italia è andata a un minuto dal qualificarsi per la finale degli Europei, prima di essere rimontata dall’Inghilterra nei tempi supplementari.

Di Soncin non è stato apprezzato solo il fatto che metta sullo stesso piano il calcio maschile e quello femminile, ma anche che, ogni volta in cui parla pubblicamente della sua squadra, lo faccia utilizzando il femminile sovraesteso. Con “femminile sovraesteso” in linguistica ci si riferisce all’utilizzo del femminile anche quando non tutti i soggetti di cui si parla sono donne (mentre per consuetudine, almeno finora, in questi casi in italiano viene usato il maschile).

Di fatto ogni volta che in un’intervista Soncin ha scelto di utilizzare frasi come «siamo state concentrate» ha fatto una scelta linguistica diversa da quella compiuta dagli allenatori uomini venuti prima di lui, che perlopiù avevano utilizzato il maschile sovraesteso. È importante farlo, soprattutto in un momento come questo in cui la questione del linguaggio nello sport femminile è una delle più discusse. In un articolo uscito lunedì sul quotidiano Domani, la linguista Vera Gheno si chiedeva per esempio se non avesse senso, per le calciatrici della Nazionale, cantare l’inno dicendo “sorelle d’Italia”, e non “fratelli d’Italia”.

Andrea Soncin durante Italia-Inghilterra (Maryam Majd/Getty Images)

Già durante gli ottavi di finale dei Mondiali di calcio giocati in Francia nel 2019, le telecroniste della Rai avevano raccontato dell’esplicita richiesta della calciatrice dell’Italia Laura Giuliani di essere chiamata “portiere”, al maschile, e non “portiera”. Secondo lei la parola “portiera” suonava male, e sembrava una forzatura. Le telecroniste avevano specificato: «Sono le giocatrici stesse che hanno detto no: preferiamo che cominci a passare un’interpretazione neutra del ruolo piuttosto che declinare tutto al femminile». Quasi tutte le giocatrici preferivano essere chiamate al maschile anche negli altri ruoli: nel 2019 se ne faceva una questione di abitudine all’uso della lingua italiana. Era però un momento storico diverso per il calcio femminile italiano, e proprio a partire da quei Mondiali del 2019 in Italia si aprì un vasto dibattito su quale fosse il modo più preciso e coerente, anche dal punto di vista linguistico, per raccontare ciò che facevano le calciatrici.

Oggi c’è chi nel raccontare lo sport femminile continua a usare il maschile sovraesteso, proprio sulla base del fatto che è consuetudine della lingua italiana farlo, e chi invece ha scelto di declinare tutto al femminile e nel farlo sta contribuendo a stabilire un’abitudine che nel 2019 ancora non c’era. Oggi in telecronaca si sente molto spesso dire “portiera” o “arbitra”. “Difensora” è un termine ancora perlopiù poco utilizzato, ma al posto di “difensore” c’è la consuetudine di usare “la giocatrice in difesa” oppure “la centrale difensiva”. La giornalista Tiziana Alla e la commentatrice tecnica Katia Serra stanno commentando questi Europei per la Rai declinando quasi sempre i ruoli al femminile.

Anche Sara Gama, ex capitana della Nazionale e della Juventus che si è ritirata ad aprile dal calcio, di recente è tornata sulla questione del termine “capitano” o “capitana” su Small Talk, il podcast condotto da Carlo Pastore. «Quando sento i tifosi che mi chiamano “capitano” con rispetto io sono contenta. Non è che mi importa. È vero però che abituarsi a utilizzare la declinazione giusta cambia le cose, perché non è uguale. Declinare è comprendere un altro mondo». Nel 2022 il sito sportivo Ultimo Uomo aveva chiesto all’allora portiera della Roma Camelia Ceasar se preferisse essere chiamata “portiere” o “portiera”: era stata lei stessa a scegliere la declinazione al maschile. Sono scelte, quelle di Gama o di Ceasar, che vanno interpretate come atti di autodeterminazione, a conferma del fatto che il modo in cui si parla oggi di sport femminile sui media sta cambiando, ma che a livello personale per ora ciascuna calciatrice ha una sua idea e preferisce definirsi in maniera autonoma.

Al di fuori dei contesti specialistici di chi racconta lo sport, dove l’uso del femminile è ormai sempre più presente, la questione linguistica viene spesso considerata superflua. Da un lato si fa riferimento al fatto che usare il maschile sovraesteso è la consuetudine più diffusa nella lingua italiana, e che farlo è più comodo. Dall’altro c’è chi sostiene che, rispetto ad altri temi centrali nello sport femminile, come la parità di diritti o quella salariale, il modo in cui ci si rivolge alle atlete sia meno urgente.

Eppure, in discipline praticate soprattutto da donne, il femminile è usato da sempre e senza esitazioni. Nella pallavolo si usano comunemente “alzatrice” e “alzatore”. Secondo Alessia Tuselli, sociologa dello sport e ricercatrice al Centro studi interdisciplinari di genere dell’Università di Trento, ciò accade anche perché in Italia il calcio è ancora percepito come uno spazio soprattutto maschile, mentre la pallavolo come uno sport più praticato dalle donne. Questo, dice al Post Tuselli, conferma che il linguaggio non è mai neutro, «ma ripropone un preciso sistema di potere. E quando scegliamo di parlare al maschile, stiamo riproponendo un certo tipo di società».

Scegliere di chiamare al femminile una difensora di fatto non cambia il suo modo di ricoprire il suo ruolo, ma rende evidente che anche le donne lo fanno come professione. È una cosa che si estende anche ad altri ambiti al di fuori dello sport: usare “ministra”, “avvocata” o “medica” aiuta a normalizzare l’idea che le donne effettivamente facciano queste cose al pari dei loro colleghi uomini. È significativo che l’attaccante Cristiana Girelli in conferenza stampa abbia commentato con queste parole il raggiungimento delle semifinali: «In Italia si può giocare a calcio e possono farlo anche le donne».

Cristiana Girelli durante Italia-Inghilterra (Noemi Llamas/Sports Press Photo/Getty Images)

Una delle prime a credere che il cambiamento nella percezione di uno sport, e la sua legittimazione, passino anche attraverso il linguaggio è stata Milena Bertolini, allenatrice dell’Italia prima dell’arrivo di Soncin. In un’intervista del 2020 pubblicata su Rivista Undici Bertolini aveva raccontato di aver proposto sin da subito alle giocatrici della Nazionale di usare l’espressione “marcatura a donna” oppure “marcatura individuale”, invece della più diffusa “marcatura a uomo”.

Su questo tipo di riflessione rispetto anche alle espressioni gergali calcistiche è tornata recentemente Antonella Bellutti, ex campionessa olimpionica di ciclismo su pista e unica donna ad aver concorso alla presidenza del CONI nel 2021. Sempre su Domani, Bellutti ha osservato che quest’estate negli sport di squadra i risultati delle nazionali femminili sono stati migliori di quelli maschili, nonostante a partire dalle categorie giovanili in poi siano sempre le squadre maschili a ottenere maggiori investimenti e strutture per allenarsi. Con questi presupposti, utilizzare le parole declinate al femminile, scrive Bellutti, «non appare più “solo” una conquista per l’equità grammaticale». Inserire “difensora” o “marcatura a donna” nel lessico giornaliero con cui si racconta lo sport è invece un ulteriore modo di riconoscere alle professioniste l’importanza dei loro risultati.

– Leggi anche: Come continuare a seguire il calcio femminile