Un pezzo di giornalismo si è spostato su Substack
La piattaforma di newsletter ne ospita alcune da centinaia di migliaia di iscritti, e in alcuni casi assomigliano a delle vere testate

Lo scorso dicembre l’economista Paul Krugman, vincitore del premio Nobel e tra i più conosciuti al mondo, ha annunciato «un’infelice separazione» dal New York Times, quotidiano con cui collaborava da 25 anni. Gli era stato chiesto di ridurre la frequenza dei suoi interventi, in particolare delle uscite della sua newsletter personale, ma Krugman non aveva accettato. Invece di passare alla concorrenza, aveva fatto quello che molti giornalisti, autori e blogger fanno sempre più spesso ormai da qualche anno: aveva aperto una newsletter personale.
Come la maggior parte degli autori aveva scelto Substack, una piattaforma che permette di inviare newsletter e guadagnarci, attraverso abbonamenti mensili o annuali. Oggi la newsletter di Krugman ha 400mila iscritti, un bacino di lettori enorme che tuttavia non ne fa la più seguita al mondo: “Letters from an American” della storica statunitense Heather Cox Richardson ha 2,5 milioni di iscritti, di cui almeno centomila a pagamento. Secondo il sito specializzato in media Press Gazette, le altre newsletter più seguite sono “The Pragmatic Engineer”, del programmatore informatico Gergely Orosz, che ha lavorato in precedenza per Microsoft e Uber, e “Lenny’s Newsletter” di Lenny Rachitsky, che si occupa di business. Entrambe hanno decine di migliaia di abbonati paganti.
In questi anni Substack è cresciuta molto, tanto che la parola “Substack” viene ormai cercata su Google più di “newsletter”. Negli ultimi anni le principali newsletter della piattaforma sono diventate delle specie di testate giornalistiche, con pubblici sempre più grandi e un’offerta che spesso comprende articoli, video e podcast, come nel caso di “The Free Press” della giornalista Bari Weiss, che ha circa 150mila abbonati paganti.
Substack è diffusa anche in Italia, dove è stata scelta sia da scrittori indipendenti che da giornalisti affermati. Stefano Feltri, ex direttore del quotidiano Domani, gestisce da alcuni anni “Appunti”, mentre Selvaggia Lucarelli ha da poco aperto “Vale Tutto”, che in pochi mesi ha superato i 150mila iscritti, di cui «decine di migliaia a pagamento», secondo Substack stessa. Al momento “Vale Tutto” è la newsletter italiana più seguita e quella con più abbonati paganti nella sezione Cultura di tutta la piattaforma. Secondo le stime di Andrea Girolami, autore della newsletter “Scrolling Infinito”, Lucarelli sarebbe tra le poche autrici di Substack a guadagnare almeno un milione di dollari (lordi) all’anno dagli abbonamenti.
La scorsa settimana Substack ha annunciato di aver ricevuto nuovi investimenti per cento milioni di dollari, con cui ha intenzione di continuare l’espansione degli ultimi anni, che l’ha portata ad aggiungere nuove funzionalità, andando ben oltre le semplici newsletter. Oggi Substack permette di pubblicare video, podcast e ha un social network simile a Twitter, chiamato Notes.
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Questi cambiamenti, uniti al rinnovato interesse degli investitori e dei venture capitalist, stanno cambiando profondamente Substack, spingendo l’azienda ad alcuni compromessi. Da sempre, infatti, il suo modello di business si basa completamente sugli abbonamenti, con una formula molto a vantaggio degli autori in cui il servizio trattiene il 10 per cento di ogni transazione economica.
Substack fu fondata sull’onda di servizi come Patreon, che permettono ad autori anche piccoli di ricevere denaro direttamente dal loro pubblico, creando un’alternativa al sistema pubblicitario, di gran lunga il più diffuso nel web. Oggi però l’azienda non esclude più la vendita di pubblicità sulla piattaforma: il suo cofondatore Hamish McKenzie, in un’intervista al sito Digiday, ha detto che quello pubblicitario è «un business interessante», che Substack potrebbe integrare «nel lontano futuro».
Questo cambiamento di strategia, per quanto non ancora ufficiale, è anche dovuto alla crescente pressione degli investitori, che stanno spingendo Substack a cercare un modello di business più vario e profittevole. Nel 2022, infatti, l’azienda aveva già provato ad ottenere nuovi fondi – simili a quelli ottenuti questo mese – ma aveva rinunciato a causa della diffidenza degli investitori (dovuta sia alle condizioni di Substack che alla generale situazione del mercato dell’epoca).
Negli ultimi anni ha dovuto affrontare anche una serie di problemi, relativi soprattutto alla moderazione dei contenuti e all’aumento della concorrenza in questo settore. Nel novembre del 2023 la rivista The Atlantic pubblicò un articolo dal titolo «Substack ha un problema coi nazisti», che svelò il grande numero di newsletter di estrema destra che sulla piattaforma ottenevano un pubblico sempre più vasto, spesso disposto a pagare per quei contenuti. Substack fu accusata non solo di permettere la diffusione di simili contenuti ma di trarne profitto, trattenendo il 10 per cento di ogni transazione.
Alcuni autori di newsletter su Substack chiesero spiegazioni all’azienda in una lettera aperta firmata da 247 pubblicazioni, a cui seguì la risposta di McKenzie, che confermò l’approccio libertario della piattaforma, che rimuove solo le pubblicazioni che pubblicano contenuti apertamente violenti. «Non pensiamo che la censura (che comprende anche impedire alle newsletter di monetizzare i propri contenuti) faccia sparire i problemi: anzi, li rende peggiori», scrisse McKenzie. Nel corso delle settimane successive diversi autori abbandonarono Substack spostando le proprie newsletter su altre piattaforme, come Ghost e Beehiiv.
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Nonostante tutto, Substack rimane la destinazione principale di giornalisti, blogger, esperti, che qui possono non solo monetizzare i propri contenuti ma sfruttare funzionalità diverse per aumentare il proprio pubblico. Non tutti però sono concordi nel ritenere Substack la migliore piattaforma per questo tipo di contenuti.
Come ha notato Casey Newton, autore di “Platformer”, newsletter molto seguita nel settore tecnologico, e tra gli autori che hanno lasciato Substack, più un business cresce su Substack meno conviene, proprio perché il servizio trattiene il 10% di ogni abbonamento. Piattaforme come Ghost o Beehiiv, invece, hanno tariffe fisse, che sono state giudicate più convenienti nel lungo periodo da alcuni autori, tra cui lo stesso Newton e Ryan Broderick, autore della newsletter “Garbage Day”.
Ad attirare gli autori e gli utenti verso Substack sono anche altri fattori legati perlopiù alle economie di scala e all’ampia diffusione del servizio: milioni di persone ogni giorno usano Substack per leggere, scrivere e scoprire nuove newsletter; questo la renderebbe la piattaforma ideale per far conoscere una nuova pubblicazione, nonostante i costi più alti.
Li chiamano anche “network effect”, o effetti positivi di rete, e sono un elemento fondamentale per Substack, che ha creato una serie di strumenti per aumentare il pubblico degli autori della piattaforma. Tra questi ci sono le Raccomandazioni, con cui ciascuna newsletter può consigliare ai suoi abbonati di seguirne altre, e il social network Notes, che facilita la scoperta di nuovi autori.
Alcuni osservatori temono che la trasformazione del servizio da una piattaforma per newsletter a qualcosa di più grande, con podcast e video di grande seguito, possa avere effetti negativi. «Tutti hanno un Substack: cosa potrà mai andare storto?» è il titolo di un editoriale di Bloomberg dello scorso marzo che propone un parallelo tra questo servizio e il settore dei podcast, che è sempre più influente ma anche sregolato, e nel quale a trionfare sono stati prodotti spesso controversi, come The Joe Rogan Experience.



