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  • Martedì 22 luglio 2025

Il Mont Ventoux da Petrarca a Pogačar

Passando per Roland Barthes e Marco Pantani, Victor Hugo e Chris Froome: breve storia (e geografia) di una delle salite più famose del Tour de France

Il Mont Ventoux nel 2000 (Michael Kienzler/Bongarts/Getty Images)
Il Mont Ventoux nel 2000 (Michael Kienzler/Bongarts/Getty Images)
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Il Tour de France è arrivato martedì pomeriggio sul Mont Ventoux, in Provenza, nel sud-est della Francia. Il Mont Ventoux è una montagna solitaria, separata dalle Alpi e per questo visibile da decine di chilometri di distanza, con diverse peculiarità dal punto di vista orografico e geologico. È spesso molto ventoso, anche se il suo nome forse non c’entra nulla col vento, e la sua parte più alta è quasi del tutto spoglia e calcarea, con un paesaggio spesso definito “lunare”. Per il ciclismo, uno sport con tutta una sua geografia di luoghi e montagne, il Mont Ventoux è una salita mitica, per qualcuno quasi mistica.

Il Mont Ventoux – la cui cima è stata per l’ultima volta un arrivo di tappa nel 2025 – non è eccezionale in base alle principali caratteristiche con cui nel ciclismo si valuta la difficoltà delle salite. Ci sono salite con pendenze maggiori, cime ben più alte e montagne con ancora più storia, come per esempio l’Alpe d’Huez o il Col du Tourmalet. Il Mont Ventoux ha però un insieme di caratteristiche e di storie (non solo sportive) che lo rendono uno dei luoghi più significativi del ciclismo, e una delle sue salite più ostiche.

Spesso chiamato il “Gigante di Provenza”, è alto circa 1.910 metri (l’altezza è ancora dibattuta) ed è una montagna strana, in cui si alternano vigneti e affioramenti rocciosi. La parte più bassa fu rimboscata nel Diciannovesimo secolo dopo che quasi tutti gli alberi erano stati tagliati per essere usati nei cantieri navali della Provenza: fu rimboscata con varietà di alberi non tipicamente provenzali, motivo per cui il Mont Ventoux oggi ospita il più grande bosco di cedri d’Europa. A causa delle pietraie e dei forti venti, la parte più alta è senza alberi e il bianco delle rocce fa quasi sembrare che sia innevato. In cima, sul lungo crinale quasi parallelo al mare, dal 1882 c’è un osservatorio meteorologico. Sempre in cima, l’assenza di alberi e il forte vento Maestrale sono causa di inverni molto freddi ed estati molto calde, con la temperatura media che a luglio è spesso sopra i 32 °C.

La toponomastica è dibattuta: sembrerebbe logico, visti i frequenti venti, che la montagna prenda il nome dal vento (“ventoso” in francese è “venteux”). Ma sta guadagnando credito la tesi secondo cui il nome avrebbe a che fare con il lemma pregaelico (e poi occitano) “ventur”, “che si vede da lontano”.

Il Mont Ventoux visto dalla pianura (Philippe Giraud/Sygma via Getty Images)

Il Mont Ventoux c’entra con Francesco Petrarca per via della lettera, scritta nel Trecento, “A Dionigi da San Sepolcro dell’ordine di Sant’Agostino e professore della Sacra Pagina. Sui propri affanni”, anche nota come “Ascesa al monte Ventoso”. La lettera racconta l’ascesa di Petrarca e del fratello sul monte «che non a torto chiamano Ventoso», una scalata che peraltro fu probabilmente solo allegorica e immaginata.

Più di recente tra chi si è occupato del Mont Ventoux ci sono stati il filosofo – e appassionato di ciclismo – Roland Barthes e lo scrittore Victor Hugo, che parlò di un vento che può far diventare pazzi. Tra chi se n’è occupato in termini più ciclistici c’è il giornalista francese Philippe Brunel, che lo ha definito «un’eresia geografica».

Le caratteristiche che rendono peculiare il Mont Ventoux sembrano quasi tutte fatte per renderlo anche una salita interessante (in quanto dura) per il ciclismo. Siccome è una montagna isolata, arriva sempre all’improvviso: dopo tanta pianura i ciclisti si trovano di fronte a oltre 15 chilometri di salita per una pendenza media vicina all’8 per cento, con diversi tratti oltre il 10 per cento. La salita, che in genere si affronta dal versante sud, passando per il piccolo comune di Bédoin, inizia più semplice, oltre che tra gli alberi, e si fa più difficile man mano che si sale, con gli ultimi chilometri in pieno sole e con pochissime curve.

Dopo aver ospitato alcune gare ciclistiche e motoristiche già nella prima metà del Novecento, il Ventoux arrivò nel Tour de France nel 1951, dove fu valicato dalla corsa in una tappa con partenza a Montpellier e arrivo ad Avignone.

Una gara automobilistica sul Mont Ventoux, nel 1909 (Paul Thompson/FPG/Getty Images)

In undici occasioni la montagna è stata arrivo di tappa del Tour: la prima nel 1958 e l’ultima nel 2025. Sul Ventoux vinsero il lussemburghese Charly Gaul e il francese Raymond Poulidor (nonno di Mathieu van der Poel), oltre che Eddy Merckx (nel 1970) e Marco Pantani (nel 2000).

Merckx, il ciclista più forte di tutti i tempi, arrivò in cima sfinito, e dall’ambulanza che lo soccorse gli fu somministrato dell’ossigeno. Di Pantani si ricorda soprattutto la sfida ruota a ruota con Lance Armstrong, che sull’arrivo lasciò vincere l’italiano, non mancando però di farlo notare.

Armstrong e Pantani, nel 2000 sul Mont Ventoux (Credit: Mike Powell /Allsport)

Più di recente sul Mont Ventoux ha vinto, nel 2013, il britannico Chris Froome, che nel 2016 (nella tappa poi vinta dal belga Thomas De Gendt) si dovette fare diversi metri di corsa, anziché in bici: la sua si era rotta e per evitare di perdere tempo aspettando che gliene portassero un’altra si mise a correre in salita.

Chris Froome, nel 2013 sul Mont Ventoux (Tim De Waele)

Il Mont Ventoux è anche ricordato per la morte, nel 1967, del britannico Tom Simpson: fu causata da diversi fattori, compresa la disidratazione probabilmente dovuta all’uso di anfetamine e altre sostanze dopanti.

Nel penultimo passaggio del Tour sul Mont Ventoux, nel 2021, il danese Jonas Vingegaard riuscì a staccare Tadej Pogačar di qualche metro, in quella che iniziava a essere una rivalità che continua ancora oggi. Nel più recente passaggio – il 22 luglio, nella sedicesima tappa del Tour del 2025, vinta dal francese Valentin Paret-Peintre – Pogačar ha preceduto Vingegaard di un paio di secondi, dopo che entrambi hanno cercato di staccarsi a vicenda negli ultimi chilometri. Nonostante molti l’avessero pronosticato, Pogačar non è però riuscito a vincere la tappa, e ancora non si sa quando il Tour tornerà sul Mont Ventoux e se avrà quindi modo di riprovarci.

Comunque, oltre al Tour de France, il Mont Ventoux continua a essere tante altre cose. Il fulcro di un grande business legato al ciclismo (con oltre 90mila ciclisti che ci pedalano ogni anno). Il soggetto di quelli che il blog di ciclismo The Inner Ring ha definito «una serie di cliché» («paesaggio lunare lo dice solo chi non ci ha mai pedalato, visto che non c’è nulla di lunare nella spinta con cui la gravità ti rende difficile pedalare»). E come ha scritto Le Monde, il Mont Ventoux è «una sentinella». Il suo essere così isolato, nel caldo della Provenza, lo rende uno dei luoghi in cui si vedranno – e in parte già si vedono – prima, e con più forza, gli effetti del cambiamento climatico.