La base americana in mezzo al deserto siriano
Anche se ad al Tanf gli americani non si fanno mai vedere: hanno provato a conquistarla quasi tutti – Isis, Assad, milizie iraniane – senza riuscirci
di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

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Nel deserto del sud della Siria c’è una base militare degli Stati Uniti piazzata in modo strategico per tenere d’occhio – e a volte fare la guerra contro – lo Stato islamico e le milizie filo iraniane. Assomiglia a una di quelle basi scientifiche perse nell’Antartide: il terreno è piatto, ci sono l’antenna parabolica di un radar che ruota a velocità costante, alcuni hangar semicilindrici che servono da moduli abitativi e un traliccio con altre antenne e in cima la bandiera statunitense. Invece della neve c’è la sabbia color ocra. Il nome del posto è al Tanf.
Attorno alla base non c’è niente. La capitale Damasco è lontana duecentocinquanta chilometri e nelle ultime due ore di viaggio in macchina si guida in un deserto senza suoni, senza umani e senza edifici. A volte ai lati della strada si vedono rovine appiattite. Erano case usate dallo Stato islamico, c’era anche una moschea, ma negli anni passati sono state centrate dalle bombe di precisione sganciate dagli aerei americani e non esistono più.

Sulla strada per al Tanf (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Abdulrazak al Khoudr, un ufficiale siriano di stanza nella base dal 2018, spiega che al Tanf è stata circondata per anni dai fanatici dello Stato islamico, che hanno provato più volte a espugnarla ma non ci sono mai riusciti, nemmeno all’apice della loro potenza, quando occupavano tutto il deserto siriano per centinaia di chilometri dal confine nord, con la Turchia, al confine sud, con l’Iraq e la Giordania. La base era come un isolotto in mezzo a un mare di gente ostile.
L’ufficiale siriano dice che in questi anni la sua unità ha ucciso molti combattenti dello Stato islamico che tentavano di salire sulla barriera di terra messa a protezione della strada che porta alla base. «Facciamo imboscate, facciamo pattuglie. Conosciamo ogni pietra qui attorno». Ora le attività dei terroristi sono diminuite di molto – il conteggio ufficiale è di 110 attacchi nei primi sei mesi di quest’anno in Siria – ma, aggiunge al Khoudr, «lo Stato islamico è nella testa della gente».

Un’auto dei soldati siriani della base di al Tanf (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Poi, dice ancora al Khoudr, al Tanf venne circondata dai soldati del regime di Bashar al Assad e dai loro protettori, i consiglieri militari mandati dalla Russia, che piazzarono mine. I rifornimenti arrivavano via Giordania, perché la base è molto vicina al confine giordano. Gli americani e i ribelli siriani proteggevano una bolla di territorio di 55 chilometri di raggio e dentro si era creato un campo di sfollati di decine migliaia di persone, che fuggivano dall’Isis e dal regime e non potevano raggiungere altre aree.
Oggi ancorato alla base c’è un dirigibile bianco che fluttua a centinaia di metri di altezza ed è dotato di telecamere che guardano in ogni direzione. Per entrare c’è una strada che fa zig zag. È stata tracciata così apposta in modo che se arrivasse un camion bomba sarebbe costretto a rallentare e le sentinelle avrebbero più tempo per prendere la mira e sparare.
In teoria questa base americana nel sud della Siria è inaccessibile, ma appiccicata su un lato c’è la base di una milizia siriana che in questi anni è stata addestrata dagli americani per fare da rinforzo nei combattimenti e nelle pattuglie. Prima della fine del regime di Assad i miliziani si facevano chiamare Maghawir al Thawra, che in arabo vuol dire “i commando della rivoluzione”. Ora sono stati assorbiti nel nuovo esercito siriano e fanno parte della Settantesima divisione. Il gruppo armato siriano fa il grosso del lavoro fuori dalla base, a bordo di fuoristrada Toyota armati con mitragliatrici americane. È una cosa che si nota: ai posti di blocco sulla strada verso al Tanf ci sono soldati che hanno armi americane, invece delle onnipresenti vecchie armi di fabbricazione sovietica.

I soldati siriani della base di al Tanf controllano il territorio per un raggio di circa 55 km (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
A volte, come in questo caso, il gruppo siriano consente l’accesso alla base di al Tanf e manda una macchina ad aspettare a un punto a trenta minuti di distanza dalla base per fare da scorta, in modo che non ci siano equivoci su chi si sta avvicinando.
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Durante la visita gli americani non usciranno mai dai loro alloggiamenti e non si faranno mai vedere. Anzi, una delle prime cose che i siriani dicono è: non fate foto della base e della bandiera americana e non provateci nemmeno di nascosto, perché «loro vedono tutto». Al Khoudr dice che i soldati americani in Siria non hanno mai contatti con la stampa.

La bandiera statunitense alla base di al Tanf (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Negli anni la base è stata attaccata un po’ da tutti. Lo Stato islamico provò a fare irruzione con un camion bomba e cinquanta guerriglieri nel 2017 e uccise quattro uomini incluso il figlio di sua sorella, spiega l’ufficiale. L’assalto però fu respinto. Poi l’Isis ci provò ancora e ci provarono anche i soldati di Assad. Le milizie filo iraniane (che erano alleate del regime di Assad) hanno colpito al Tanf con i droni «molte volte» e la Russia ha bombardato la base con gli aerei, ma non ha ucciso nessuno. Durante gli anni del presidente Joe Biden gli americani hanno risposto a questi attacchi con bombardamenti aerei in territorio siriano.
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Dal punto di vista della politica internazionale, la base di al Tanf è un ibrido strano. Il nuovo governo del presidente autoproclamato Ahmad al Sharaa accetta la presenza dei soldati americani e verosimilmente anche dell’intelligence americana dentro al Tanf. A maggio il presidente americano Donald Trump ha incontrato al Sharaa e ha annunciato l’annullamento di alcune sanzioni per aiutare al Sharaa a «rimettere in piedi la Siria» e quindi ha segnalato un buon livello d’intesa. Ma il governo di Israele accusa Al Sharaa di essere un estremista a capo di un governo di estremisti, e a luglio ha bombardato il ministero della Difesa siriano. E il governo di Israele è alleato con Trump. È una situazione contraddittoria.
Trump al suo primo mandato aveva annunciato che avrebbe riportato a casa i soldati americani in Siria, perché gli sembrava una decisione facile che avrebbe soddisfatto i suoi elettori. Invece non lo ha fatto, perché si deve essere convinto che le due basi americane in Siria siano troppo utili per svuotarle.

Abdul Razak al Khoudr, 40 anni ufficiale alla base di Al Tanf, è originario di Palmira (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Al Khoudr non racconta le attività che i suoi soldati fanno con i loro addestratori americani, ma i segni della presenza americana sono tutto attorno a lui. Sulla spalla porta una patch in velcro di un’unità americana che toglierà quando arriva il momento di fare le fotografie, c’è un adesivo americano sull’agenda che tiene sulla scrivania, scatole di elettrodomestici americani su uno scaffale nella stanza e alcuni fogli con sopra scritto in inglese: «How to plan an operation in five steps» («Come progettare un’operazione in cinque passi»). Fuori c’è un campetto di calcio con una porta sola, e la rete della porta è fatta con le imbragature usate dagli elicotteri americani per sollevare carichi.
Al Khoudr racconta di essere arrivato qui e di essersi unito ai ribelli siriani per combattere lo Stato islamico perché i terroristi avevano invaso Tadmor, la sua città. Avevano bussato alla porta del suo vicino, un congedato dell’esercito siriano, lo avevano tirato fuori in strada e, davanti alla moglie e a quattro figli, lo avevano sgozzato. Lo stesso uomo dello Stato islamico che aveva ucciso il suo vicino aveva poi comprato caramelle a un chiosco lì vicino e le aveva offerte ai figli dell’ammazzato.
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La base di al Tanf è anche parte di un complesso più grande di installazioni militari statunitensi. Appena al di là del confine con la Giordania, che è vicinissimo, c’è un avamposto che si chiama Torre 22. Una milizia filo iraniana lo attaccò con un drone nel gennaio 2024 e uccise tre soldati americani. Quel drone aveva un sistema di guida che era stato procurato da un ingegnere iraniano che si chiama Mohammed Abedini e fu arrestato in Italia nel dicembre 2024. L’arresto divenne un caso internazionale. Per ottenere la liberazione di Abedini, i Guardiani della rivoluzione iraniana imprigionarono la giornalista italiana Cecilia Sala per ventuno giorni.
Nel 2017 lo Stato islamico uccise uno dei miliziani siriani di al Tanf e sul suo telefono trovò il video di un addestratore dell’intelligence americana che faceva lezioni ai miliziani. L’americano era biondo, giovane, con una maglietta nera e dimostrava una buona conoscenza dell’arabo. Il gruppo terroristico pubblicò il video online, per dire che i suoi nemici erano «servi degli infedeli». È possibile che l’intelligence americana sia ancora in zona.
L’Iran e la Russia detestano l’esistenza di al Tanf, perché è piazzata sulla strada più corta che da Baghdad va a Damasco. Se non ci fossero stati gli americani, quando ancora c’era il regime di Bashar al Assad (finito a dicembre del 2024) una milizia filo iraniana avrebbe potuto trasportare un carico dall’Iraq a Damasco in poche ore e poi da Damasco verso il Libano o altri luoghi. Invece la base di al Tanf faceva da tappo. Inoltre è possibile che al Tanf, con tutto il suo equipaggiamento, abbia avuto un ruolo nella guerra tra Israele e Iran, che è stata combattuta con attacchi di aerei e razzi che passano per lo spazio aereo siriano.











