Il tendine d’Achille è il tallone d’Achille dei giocatori dell’NBA?
Nell'ultima stagione in sette hanno avuto lo stesso infortunio, e forse non è una coincidenza

In breve:
- Nella stagione NBA appena conclusa ci sono stati sette infortuni al tendine d’Achille, un record mai raggiunto prima: sei dei giocatori colpiti hanno tra 23 e 28 anni, cosa eccezionale dato che prima riguardava soprattutto cestisti anziani a fine carriera.
- Tyrese Haliburton si è infortunato gravemente durante gara 7 delle finali dopo essersi già fatto male due partite prima: il suo tendine non ha retto lo stress di un movimento intenso e si è lesionato, costringendolo a saltare l’intera prossima stagione.
- L’NBA ha creato una commissione di esperti per studiare le cause: c’è dibattito se il problema sia l’eccesso di partite, l’allenamento troppo intenso nei mesi di riposo o al contrario la scarsa preparazione prima delle gare.
Il cestista Tyrese Haliburton, che nella stagione da poco conclusa è stato uno dei migliori giocatori dell’NBA, salterà la prossima per intero a causa del drammatico infortunio al tendine d’Achille che ha subito in gara 7 delle finali, l’ultima della stagione. Quello di Haliburton non è stato un caso isolato: quest’anno in NBA, che è il campionato di basket nordamericano e il più importante al mondo, ci sono stati sette infortuni al tendine d’Achille, un numero mai raggiunto prima nella lega. E dei sette giocatori che si sono infortunati, sei hanno tra i 23 e i 28 anni (uno di loro è Jayson Tatum dei Boston Celtics): è una cosa abbastanza eccezionale, dato che fino a qualche anno fa questo infortunio – spesso molto grave – era prevalente tra cestisti più anziani e a fine carriera.
La situazione stava diventando preoccupante già prima dell’infortunio di Haliburton, tanto che l’NBA aveva convocato una commissione di esperti affinché studiassero le cause di questo problema.
Il tendine d’Achille (o tendine calcaneale) è il più grosso e il più resistente tendine del corpo umano. È quello che collega i muscoli del polpaccio al calcagno, l’osso del tallone, e ha quindi un ruolo molto importante durante una corsa, una camminata o un salto. Le sue fibre, attorcigliate tra loro, lo rendono molto forte ed elastico: quando corriamo, per esempio, il tendine d’Achille sopporta uno stress di quasi otto volte il nostro peso corporeo. Tuttavia, quando la tensione è troppo alta o continua per troppo tempo, il tendine può lesionarsi o, nei casi peggiori, rompersi.

Il tendine d’Achille è quella fascia lunga e bianca che parte dal tallone (Braus H., via Wikimedia Commons)
Non è dunque sorprendente che gli infortuni al tendine d’Achille riguardino soprattutto chi fa sport. In questo contesto, il basket rappresenta uno degli sport più pericolosi: in una partita di pallacanestro i giocatori saltano e atterrano con molta forza e fanno cambi di direzione rapidissimi. Sono movimenti che esercitano molto stress sul tendine, perché lo spingono a contrarsi e allungarsi in pochissimo tempo.
In NBA, dove le azioni dei giocatori sono riprese da tante angolazioni, questi dettagli si possono notare bene. L’infortunio di Haliburton, per esempio, è avvenuto proprio durante un’azione in cui ha cercato di fare un movimento intenso e veloce, portando improvvisamente la gamba all’indietro prima di fare uno scatto. Ma il suo tendine, che era già leggermente compromesso, dato che si era infortunato solo due partite prima, non ha retto lo stress e si è infine lesionato in modo molto grave.
In NBA quest’anno le cose sono come detto peggiorate: non si può ancora parlare di una tendenza, soprattutto considerando che nella stagione precedente non si era registrato neanche un caso del genere e che il massimo di infortuni al tendine d’Achille in una stagione era stato di quattro. Ma il numero di infortuni e l’età dei cestisti coinvolti hanno evidentemente preoccupato l’NBA, come si intuisce dalla creazione della commissione.
La commissione non ha ancora diffuso alcun risultato, ma da settimane numerosi esperti e media hanno fatto alcune ipotesi sulla questione. Il giornale statunitense The Athletic, per esempio, ha parlato della specializzazione fin troppo precoce che c’è nel basket statunitense. Oggi ai giovani giocatori che sono ritenuti più promettenti si fanno fare allenamenti più numerosi e intensi di venti o trenta anni fa. Di conseguenza, quando arrivano in NBA, lo fanno con un tendine d’Achille già parecchio “usurato”.
Nella stessa NBA, inoltre, i cestisti giocano un basket che è molto più fisico e veloce rispetto a 15 anni fa. In particolare, devono difendere di più i tiri da tre punti (cioè quelli fuori area): questo significa che fanno molti più closeout, quei movimenti rapidi – e usuranti, alla lunga – con cui un cestista cerca di coprire lo spazio tra sé e l’avversario con la palla, per evitare che tiri liberamente o entri in area.
C’entrerebbe invece meno il numero di partite giocate a stagione, un tema di cui spesso si lamentano gli stessi giocatori e allenatori quando si parla di infortuni. In NBA si gioca effettivamente tanto – 82 partite nella stagione regolare, più una ventina circa per le squadre che arrivano alle finali –, ma le squadre hanno imparato a gestire meglio i loro atleti e peraltro i cestisti giocano in media meno partite di quelli di venti o trenta anni fa.
Anche Adam Silver, il commissioner (una sorta di presidente) dell’NBA, ha detto che il numero di partite c’entra ben poco con questo problema e ha persino notato che «negli ultimi 10 anni, la maggior parte degli infortuni al tendine d’Achille è avvenuta prima della pausa per l’All-Star Game», cioè nella prima metà della stagione. Per lui il vero problema sarebbe che i giocatori di NBA si allenano troppo intensamente anche nei mesi di riposo, quindi tra maggio-giugno e settembre.

Il commissioner dell’NBA Adam Silver, 5 giugno 2025 (AP Photo/Nate Billings)
Gli ex campioni di NBA Paul Pierce e Kevin Garnett credono invece che il problema sia l’opposto: per loro i giocatori si allenano troppo poco, soprattutto prima delle partite, e questo li porterebbe a essere meno pronti ad affrontare l’intensità di una partita di NBA e a essere più inclini agli infortuni. In effetti, in NBA si fa in media una partita ogni due giorni; a volte si gioca addirittura per due giorni consecutivi, e rimane pochissimo tempo per allenarsi tra una partita e l’altra.
Secondo Nirav Pandya, professore di chirurgia ortopedica a San Francisco, il problema è anche la cultura tossica dello sport, che incoraggia gli atleti a giocare anche da infortunati, mettendo a rischio la loro salute. È quello che è successo allo stesso Haliburton, che ha giocato gara 7 delle finali pur essendosi fatto male solo due partite prima.
L’ipotesi che però ha generato il più grande dibattito, anche tra gli stessi giocatori, riguarda le scarpe che si usano per giocare a basket. Secondo Nick Van Exel, che ha giocato in NBA tra gli anni Novanta e Duemila, oggi i giocatori si fanno più male al tendine d’Achille perché usano scarpe basse, che offrono una minore protezione alla caviglia rispetto a quelle alte. Le scarpe basse si sono diffuse molto in NBA dal 2008, quando iniziò a usarle Kobe Bryant (uno dei giocatori di basket più forti di sempre): da allora sempre più giocatori lo hanno imitato, ritenendo che le scarpe basse lascino alla caviglia una maggiore libertà di movimento e quindi permettano di essere più rapidi. In modo forse incidentale, tuttavia, anche lo stesso Bryant si infortunò al tendine d’Achille nel 2013, quando aveva 34 anni.

Delle scarpe basse in NBA (Eakin Howard/Getty Images)
Quella delle scarpe, come molte delle altre del resto, rimane per ora un’ipotesi piuttosto vaga e su cui non sono stati fatti studi approfonditi. Alcuni degli stessi giocatori che si sono infortunati al tendine d’Achille con questo tipo di scarpe hanno criticato questa idea: Kevin Durant, che si fece male nel 2019, ha scritto che la questione delle scarpe non ha «assolutamente niente» a che fare con gli infortuni sul campo.
Le cause degli infortuni al tendine d’Achille sono insomma numerose e non è semplice stabilire quale sia la più influente. Ci sono invece maggiori certezze e un approccio più positivo riguardo al recupero dalla rottura del tendine d’Achille. Anche se per un cestista riprendere a giocare resta un processo lungo e complesso – di solito ci vogliono tra i 9 e i 12 mesi –, anni fa questo infortunio avrebbe rappresentato la fine della carriera di un atleta. Oggi, invece, certi cestisti che si fanno male al tendine d’Achille tornano poi a giocare quasi come prima: Kevin Durant, che dopo il suo infortunio saltò tutta la stagione 2019/2020 e che oggi ha 36 anni, è ancora uno dei migliori cestisti dell’NBA e nell’ultima stagione è stato il settimo miglior realizzatore del campionato.
Kevin Durant che segna 49 punti nemmeno un anno dopo essere tornato in NBA



