• Mondo
  • Martedì 8 luglio 2025

L’amministrazione Trump ha riconosciuto che non c’è poi molto da rivelare sul caso Epstein

Un rapporto governativo ha smentito alcuni complotti intorno al finanziere, in passato sostenuti anche dal presidente

Donald Trump e la procuratrice generale degli Stati Uniti, Pam Bondi (a destra), il 27 giugno (AP Photo/Jacquelyn Martin)
Donald Trump e la procuratrice generale degli Stati Uniti, Pam Bondi (a destra), il 27 giugno (AP Photo/Jacquelyn Martin)
Caricamento player

Un nuovo rapporto dell’FBI (il più importante organo della polizia federale statunitense) e del dipartimento di Giustizia dell’amministrazione di Donald Trump ha stabilito – di nuovo – che Jeffrey Epstein non aveva alcuna “lista di clienti” e che non è stato ucciso, ma è morto in carcere suicidandosi. Epstein era un finanziere statunitense multimiliardario, che nel 2019 fu arrestato con l’accusa di aver sfruttato sessualmente decine di ragazze minorenni. La sua storia è finita al centro di moltissime teorie del complotto, sostenute soprattutto dalla destra e dall’estrema destra statunitense: ora l’amministrazione Trump ha di fatto confermato che sono false.

La presunta “lista di clienti” di Epstein dovrebbe essere un elenco di persone collegate alla sua rete di traffico sessuale. Secondo varie teorie complottiste questa conterrebbe anche i nomi di personaggi ricchi, potenti e famosi, ed Epstein sarebbe stato ucciso per coprirli. Il rapporto dice però che non ci sono prove per confermare che Epstein abbia mai compilato una simile lista, cosa che comunque era già risultata evidente, nonostante le molte speculazioni.

Il rapporto è stato accolto con delusione e rabbia da molti sostenitori di Trump e del cosiddetto movimento MAGA (da Make America Great Again, il famoso slogan di Trump). La sua amministrazione, e in particolare la procuratrice generale Pam Bondi, da mesi sostiene che nelle indagini su Epstein ci siano dei materiali compromettenti, di cui però finora non si è saputo nulla. A febbraio Bondi aveva detto di avere a disposizione la presunta “lista” di Epstein, e che presto l’avrebbe diffusa. Non è mai successo.

Durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali di novembre, Trump aveva promesso che, se rieletto, la sua futura amministrazione avrebbe finalmente fatto chiarezza sulle attività di Epstein, nonostante le resistenze del cosiddetto “deep state”, espressione che Trump usa per riferirsi a un coordinamento nascosto di funzionari e burocrati vicini al Partito Democratico.

A fine gennaio, poco dopo il suo insediamento, Trump aveva firmato un ordine esecutivo per la revisione e la pubblicazione di documenti classificati relativi ad alcuni casi particolarmente discussi della storia statunitense, tra cui quello di Epstein. Era stata poi organizzata una squadra operativa speciale per studiare e diffondere i documenti, e Bondi aveva distribuito a un gruppo di influencer conservatori un fascicolo di un centinaio di pagine, chiamato «fase uno», di materiale sul caso Epstein. Tuttavia erano documenti in gran parte già noti, e nemmeno il materiale inedito è stato utile perché pieno di passaggi cancellati.

Il commentatore politico conservatore Rogan O’Handley e la content creator conservatrice Chaya Raichik con i documenti chiamati “The Epstein Files: Phase 1” alla Casa Bianca, 27 febbraio 2025. (AP Photo/Ben Curtis)

In passato anche lo stesso Trump aveva sostenuto delle teorie del complotto sul caso Epstein. Nel 2019, durante la sua prima presidenza, aveva detto che l’ex presidente Democratico Bill Clinton e l’ex segretaria di Stato Hillary Clinton (moglie di Bill, anche lei Democratica) fossero responsabili della morte di Epstein e che il “deep state” avesse insabbiato il caso per evitare scandali che coinvolgessero figure come loro o altri esponenti del partito. La teoria fu prontamente smentita, ma la già grandissima influenza di Trump sui suoi sostenitori aveva fatto sì che le teorie si diffondessero e diventassero sempre più condivise.

Anche l’attuale capo dell’FBI, Kash Patel, e il vicedirettore Dan Bongino, entrambi fedelissimi a Trump, erano tra quelli che non credevano al suicidio di Epstein ma sostenevano fosse stato ucciso. La morte di Epstein, avvenuta nel 2019 in un carcere di Manhattan, ha effettivamente degli elementi non chiari: nonostante l’imprenditore avesse già tentato di suicidarsi, era stato inspiegabilmente messo in una cella singola, e nella notte in cui morì gli agenti penitenziari non fecero i regolari controlli richiesti dal protocollo. Inoltre alcune telecamere di sorveglianza esterne alla cella di Epstein non funzionavano, secondo quello che dichiararono all’epoca le autorità.

Il nuovo rapporto dell’FBI ha diffuso invece una registrazione video di circa dieci ore di una telecamera di sicurezza, che mostrerebbe la porta della cella di Epstein nella notte in cui morì. Secondo la revisione dell’FBI è un video vero, ma non è stato verificato da fonti indipendenti.

Il fatto che, a distanza di anni, siano state diffuse informazioni così discordanti sulle telecamere ha reso la cosa ancora più sospetta per molti sostenitori MAGA, rafforzando l’idea che ci sia stata una qualche operazione di insabbiamento da parte dell’FBI. Sui social vari utenti hanno espresso dubbi sulla veridicità del video e stanno cercando di contestarne i dettagli, dicendo per esempio che quella ripresa non fosse la sua cella e che ci siano delle parti mancanti.

Sulla questione è intervenuto anche Elon Musk. Nella plateale litigata fatta con Trump a inizio giugno, Musk aveva detto che anche Trump sarebbe stato coinvolto nelle attività di Epstein, e che quindi il nome del presidente sarebbe presente sulla famigerata “lista”.

La conferma ufficiale, da parte dello stesso governo Trump (tramite il dipartimento di Giustizia), che non esiste alcuna “lista di clienti” legata a Jeffrey Epstein è un punto fermo che smentisce, per l’ennesima volta, le narrazioni ossessive dei complotti su questo caso. Nonostante anni di promesse e teorie cospirazioniste dello stesso Trump, sfruttate con fini propagandistici e politici per criticare e cercare di minare l’autorità delle amministrazioni democratiche che l’hanno preceduto, alla fine il suo stesso governo ha confermato le conclusioni della polizia.