Col riscaldamento globale vedremo più fulmini?
Durante i forti temporali degli ultimi giorni nel nord Italia ne è stato registrato un numero eccezionale

Le forti piogge degli ultimi giorni, soprattutto nel nord e nel centro Italia, sono state accompagnate da una grande quantità di fulmini, localmente in un numero superiore rispetto a quanti se ne verificano di solito durante un temporale. La frequenza è stata in generale alta, con decine di migliaia di fulmini in poche ore sia all’interno delle nubi sia diretti verso il suolo, con alcuni incidenti come nel caso di un treno Italo colpito a Melegnano, non lontano da Milano.
Intervistato da Repubblica, un meteorologo dell’Agenzia regionale per l’ambiente (ARPA) della Lombardia ha detto che nella giornata di domenica 6 luglio sono stati registrati circa 20mila fulmini nella regione. Tra Emilia-Romagna, Toscana, Liguria, Umbria e Marche sono stati rilevati circa 38mila fulmini nello stesso periodo, mentre non ci sono ancora dati affidabili sui temporali di lunedì 7 luglio, che hanno interessato diverse zone del nord Italia. Il cambiamento climatico è la principale causa degli eventi atmosferici sempre più estremi, ma è difficile stabilire con certezza in che modo influisca sui fulmini.
Negli ultimi anni i sistemi per rilevare e calcolare i fulmini sono diventati più affidabili, grazie a una crescente rete di sensori terrestri e di sistemi satellitari, che captano le onde elettromagnetiche prodotte dalle rapide e forti scariche elettriche tipiche di questi fenomeni. I sistemi al suolo sono sostanzialmente delle antenne che captano le onde, rendendo possibile il calcolo della distanza del punto da cui è partito il segnale e la frequenza degli eventi.
In Italia la rete principale di rilevamento si chiama LAMPINET ed è gestita dall’Aeronautica Militare. Esiste dal 2004 e utilizza sensori distribuiti in Italia in grado di rilevare fulmini con un’efficienza del 90 per cento nel caso di quelli nube-suolo e del 30 per cento con quelli che invece rimangono tra le nuvole e non producono scariche a terra. I dati sono poi elaborati dal Centro nazionale di meteorologia e climatologia aerospaziale e vengono aggiornati ogni 5 minuti, in modo da essere utili per le attività di sicurezza del volo per l’aviazione civile.
Ci sono poi numerosi servizi privati che rilevano i fulmini, offrendo informazioni per una grande varietà di settori, da quello energetico a quello dell’industria e dell’edilizia. Conoscere le zone dove statisticamente cadono più fulmini o dove si prevedono temporali altamente energetici è importante per la sicurezza sul lavoro e per la tutela delle infrastrutture, per esempio. La società francese Meteorage offre servizi di questo tipo e dall’inizio di quest’anno ha calcolato almeno 2,64 milioni di fulmini sull’Italia, con centinaia di migliaia di eventi solo negli ultimi 10 giorni. La quantità di scariche varia molto di anno in anno a seconda degli eventi atmosferici, rendendo più difficile lo studio degli andamenti e le previsioni.
I fulmini si formano all’interno dei cumulonembi, le nubi temporalesche che si sviluppano in verticale superando talvolta i 10mila metri di quota. Al loro interno l’aria calda e umida proveniente dal suolo, riscaldato dal Sole, sale verso l’alto e man mano che prende quota si raffredda formando gocce d’acqua e piccoli frammenti di ghiaccio; nelle nubi sono sospese anche polveri e altre sostanze intorno alle quali possono aggregarsi le molecole d’acqua.

Rappresentazione schematica della distribuzione delle cariche elettriche in un cumulonembo (NOAA)
I continui rimescolamenti fanno sì che l’interno di un cumulonembo non sia in equilibrio da un punto di vista elettrico: la sua parte alta ha una carica positiva, mentre quella bassa ne ha una negativa. Quando si supera una certa soglia (differenza di potenziale) l’aria, che normalmente è un isolante, non riesce più a trattenere le cariche elettriche e scatta il fulmine in pochissime frazioni di secondo.
Nel caso di una scarica dalla nube al suolo, una piccola quantità di cariche negative (“leader”) inizia a scendere di circa 50 metri per volta, come se stesse tastando ciò che ha intorno per raggiungere il terreno. Quando il leader è ormai a poche decine di metri, dal suolo inizia a risalire un flusso di cariche positive (“streamer”). In pochi istanti leader e streamer si incontrano aprendo un canale conduttivo tra la nuvola e il suolo. È a questo punto che si verifica la scarica principale, cioè quella che chiamiamo fulmine con la riconoscibile forma a saetta estremamente luminosa, dovuta all’alta temperatura dell’aria che ha intorno che può raggiungere i 30.000 °C.
Il passaggio delle cariche negative verso il suolo è la forma più comune di fulmine nube-terreno, ma ci possono essere anche fulmini positivi, più rari e molto più potenti, che possono colpire a decine di chilometri di distanza dalla parte centrale del temporale. Se invece la scarica elettrica resta in aria, si hanno fulmini intranube, che rimangono cioè nella stessa nuvola, o nube-nube nel caso in cui passino tra due nubi distinte: sono spesso visibili come grandi bagliori in cielo, soprattutto di notte.
I fulmini nube-terreno sono in media il 20 per cento del totale: sono quindi meno frequenti, ma più pericolosi per le infrastrutture e per le persone. Possono danneggiare la linea aerea di una ferrovia, causare cortocircuiti ai trasformatori degli elettrodotti, danneggiare i pannelli solari sugli edifici o molto più raramente colpire le persone, con scarse possibilità di sopravvivenza, o gli alberi causando talvolta estesi incendi. Per questo è importante riuscire a prevedere il percorso dei temporali riducendo i rischi per la popolazione.
L’aumento della temperatura media globale, dovuto a un maggior effetto serra causato dalle attività umane, fa sì che ci sia più energia nell’atmosfera dovuta alla maggiore presenza di calore. Questo contribuisce a rendere più energetici anche i fenomeni atmosferici, come i temporali, che ricevono una parte importante della loro energia proprio dai trasferimenti di calore dal suolo. Temporali più forti e frequenti comportano un aumento dei fulmini, anche se è difficile fare stime precise e previsioni.
Un paio di anni fa una ricerca studiò varie serie storiche e sviluppò un modello, secondo il quale i fulmini sarebbero aumentati del 7 per cento circa in tutto il mondo rispetto all’era preindustriale (quando emettevamo molti meno gas serra). Se si dovessero mantenere gli attuali andamenti, entro la fine del secolo si potrebbe arrivare a un aumento del 18 per cento dei fulmini, sempre rispetto all’era preindustriale. Le aree più interessate dal fenomeno dovrebbero essere quelle tropicali, le zone montane e una parte importante dell’area mediterranea, dove i periodi di caldo anomalo e prolungato sono diventati più frequenti.
Su larga scala, una ricerca condotta nel 2006 ha stimato che ci si può aspettare un aumento minimo del 10 per cento nell’attività legata ai fulmini per ogni aumento di 1 °C della temperatura media globale. Nel 2022 in Italia sono stati registrati oltre 5,5 milioni di fulmini, mentre nel 2018 si era arrivati a 7 milioni, con una maggiore concentrazione nel periodo estivo tra luglio e agosto. L’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR ha segnalato che «l’intensificazione dei processi convettivi a causa del cambiamento climatico aumenterà le tempeste di fulmini a livello globale», rendendo quindi centrali i sistemi per la loro previsione.
Sviluppare modelli di previsione non è però semplice, soprattutto per alcuni periodi dell’anno dove solitamente i temporali sono meno frequenti. Altre difficoltà derivano dal fatto che la quantità di fulmini in futuro dipenderà non solo dal riscaldamento globale, ma anche da che tipo di sostanze inquinanti sarà presente nell’aria. Alcune particelle (aerosol) possono infatti fare aumentare o ridurre la probabilità di temporali e fulmini rendendo più difficile la produzione di modelli affidabili, soprattutto su larga scala.




