Il peggiore inizio dell’anno per il dollaro da più di cinquant’anni
Da gennaio a giugno il suo valore è sceso di quasi l'11 per cento: e sì, c'entrano i dazi e il caos delle decisioni di Trump

Il dollaro statunitense ha avuto il peggior inizio dell’anno dal 1973: da gennaio a giugno il suo valore è sceso di quasi l’11 per cento se comparato a quello di un paniere di valute straniere di cui fanno parte l’euro, la sterlina e lo yen giapponese.
Il calo è dovuto a un insieme di fattori attribuibili in gran parte a decisioni del presidente Donald Trump, che si è insediato lo scorso 20 gennaio. Prima tra tutte la guerra commerciale che ha avviato imponendo, sospendendo e minacciando altissimi dazi verso molti paesi, cosa che ha creato e continua a creare enorme confusione sui mercati finanziari, nel settore della produzione e nei commerci globali. A questo si affiancano i timori di una crescita dell’inflazione (quindi del costo della vita) e dell’aumento del debito pubblico statunitense.
Il dollaro resta comunque la valuta più importante al mondo e quella intorno a cui ruotano i sistemi monetario e finanziario globali. Le oscillazioni e i cali nel suo valore stanno però indisponendo gli investitori, alcuni dei quali potrebbero decidere di ridurre la loro esposizione alla volatilità delle decisioni di Trump evitando o diminuendo gli investimenti nei beni statunitensi.
Al contrario, nei primi sei mesi del 2025 il valore dell’euro è salito del 13 per cento: oggi un euro vale 1,18 dollari, mentre il 1° gennaio ne valeva 1,04. Significa che per i cittadini dei paesi dell’eurozona (tra cui ovviamente l’Italia) è più conveniente viaggiare negli Stati Uniti e fare acquisti in dollari, mentre per gli statunitensi venire in Europa e investire qui costa di più. Allo stesso tempo, un dollaro più debole dovrebbe favorire le esportazioni statunitensi (proprio perché per un europeo, o un giapponese, comprare merci in dollari è diventato più conveniente) e scoraggiare le importazioni. Come detto però su questi meccanismi pesano i dazi imposti da Trump.
L’ultima volta che il dollaro ebbe un inizio dell’anno così negativo risale a oltre cinquant’anni fa, nel 1973, quando ci fu una svolta nell’intero sistema valutario. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli scambi valutari del mondo occidentale erano basati sul sistema di Bretton Woods e sul cosiddetto gold exchange standard: le valute erano vincolate al dollaro, il quale a sua volta era l’unica moneta convertibile in oro.
Nel 1971, sotto la spinta di pressioni interne e internazionali, il presidente statunitense Richard Nixon decise di mettere fine a questo sistema e sganciò il dollaro dall’oro. Fu una decisione enorme, non a caso ricordata come “Nixon shock”, che diede inizio a una nuova epoca: dopo un primo periodo di assestamento tutti i paesi iniziarono ad adottare un nuovo sistema di cambi flessibili, che è usato ancora oggi.

Container a Bangkok, il 4 aprile, poco dopo l’annuncio dei dazi di Trump (Lauren DeCicca/Getty Images)
Come detto il calo del dollaro nei primi sei mesi del 2025 è stato associato anche ai fondati timori di un imminente aumento del debito pubblico statunitense. Da settimane Trump sta cercando i voti al Congresso per fare approvare la “grande, bellissima legge” (“One Big, Beautiful Bill Act” è il nome ufficiale), che prevede tagli alle tasse per le fasce di reddito più alte e investimenti per le spese militari e per il controllo delle frontiere, solo in parte bilanciati da risparmi nel settore della sanità, della scuola e delle energie rinnovabili.
Le misure previste nella legge dovrebbero aggiungere più di 3mila miliardi al debito pubblico statunitense entro i prossimi 10 anni, una cifra enorme. Il governo spera almeno in parte di coprirla con maggiori investimenti nei titoli di Stato americani, da cui però ora gli investitori si stanno allontanando proprio per via della minore fiducia e della volatilità dell’economia statunitense causate in gran parte dalle politiche di Trump.
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