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  • Mercoledì 25 giugno 2025

I bombardamenti avrebbero rallentato il programma nucleare iraniano, senza «annientarlo»

Lo dice un report preliminare dell'intelligence statunitense, smentendo quanto sostenuto da Trump e Netanyahu

L'ingrandimento di una foto satellitare che mostra i danni dei bombardamenti sul sito di Fordo, il 22 giugno
L'ingrandimento di una foto satellitare che mostra i danni dei bombardamenti sul sito di Fordo, il 22 giugno (EPA/MAXAR TECHNOLOGIES HANDOUT)
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Secondo un rapporto preliminare dell’intelligence statunitense, i bombardamenti degli ultimi giorni non hanno distrutto i siti nucleari iraniani, ma nel migliore dei casi hanno rallentato di qualche mese le capacità del paese di arricchire l’uranio, il procedimento che può poi portare alla costruzione di un’arma atomica.

Il rapporto è definito come low confidence, cioè con un livello di affidabilità basso, quindi i suoi risultati vanno presi con cautela (è una classificazione comprensibile, visto che è passato troppo poco tempo dagli attacchi). La sua conclusione è però in netto contrasto con quanto hanno sostenuto in questi giorni sia il presidente statunitense Donald Trump, sia il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Entrambi avevano presentato i bombardamenti ai siti nucleari iraniani come un successo: Trump aveva detto che hanno «annientato» il programma di arricchimento dell’uranio, per Netanyahu lo avevano ridotto «in rovine».

Il rapporto è stato redatto dalla Defense Intelligence Agency (DIA), la principale agenzia militare d’intelligence per l’estero, e il suo contenuto è stato diffuso per primi dal New York Times e dalla CNN. L’amministrazione Trump ha riconosciuto l’esistenza del report, e che c’era stato un leak (cioè qualcuno lo aveva fatto arrivare ai media senza autorizzazione), ma ne ha contestato la veridicità. Trump ha scritto sul suo social Truth che il report contiene informazioni false, accusando il New York Times e la CNN di essersi «alleati» per sminuire un’operazione militare di successo.

Nella notte tra il 21 e il 22 giugno gli Stati Uniti sono entrati in guerra al fianco di Israele e contro l’Iran, bombardando i tre siti nucleari iraniani di Fordo, Natanz e Isfahan. Secondo il rapporto quello che ha subito danni maggiori è stato Natanz, che era stato già attaccato dall’aviazione israeliana, mentre negli altri due l’attacco avrebbe demolito principalmente le strutture in superficie e le entrate a quelle sotterranee, che invece non sarebbero state distrutte completamente.

Una parte significativa delle centrifughe (i macchinari usati per arricchire l’uranio) sarebbe rimasta intatta. La DIA ha ribadito che una grossa parte delle scorte di uranio sarebbe stata portata via prima degli attacchi, cosa già sostenuta dai media di regime iraniani e suggerita anche da alcune foto satellitari che mostravano un’insolita attività di camion attorno al sito di Fordo nei giorni precedenti al bombardamento.

Una foto satellitare del sito di Fordo dopo il bombardamento statunitense, il 22 giugno

Una foto satellitare del sito di Fordo dopo il bombardamento statunitense, il 22 giugno (EPA/MAXAR TECHNOLOGIES)

Fordo era il principale obiettivo statunitense. È il sito del programma nucleare iraniano più importante e più protetto, dato che è costruito tra gli 80 e i 90 metri di profondità all’interno di una montagna. Per colpirlo sono necessarie delle speciali bombe antibunker da 14 tonnellate, che gli Stati Uniti hanno sganciato con dei bombardieri Spirit B-2.

Proprio per la conformazione del sito, però, gli esperti militari avevano ipotizzato che per distruggerlo fosse necessario un bombardamento esteso e prolungato, di giorni se non settimane. Secondo il rapporto a Fordo sono state distrutte la rete elettrica e le strade di accesso.

Già domenica, nella prima conferenza stampa dopo i bombardamenti, il capo di Stato maggiore delle forze armate Dan Caine era stato piuttosto cauto nel descrivere i danni causati ai siti nucleari iraniani. Caine aveva detto che per valutarne l’entità ci vorrà del tempo, e che era troppo presto per sapere se l’Iran aveva ancora i mezzi per arricchire l’uranio. Anche l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) delle Nazioni Unite aveva chiarito di non avere informazioni sufficienti per stimare i danni, anche se lunedì il suo direttore generale Rafael Grossi aveva detto di aspettarsi «danni significativi» per via del carico di esplosivo utilizzato.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, parla coi giornalisti durante la visita a un centro colpito dagli attacchi iraniani, a Rehovot il 20 giugno

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, parla coi giornalisti durante la visita a un centro colpito dagli attacchi iraniani, a Rehovot il 20 giugno (EPA/JACK GUEZ/POOL)

La DIA è una delle 18 agenzie d’intelligence statunitensi. Quello uscito sui media, come detto, è un rapporto preliminare, basato sulle foto satellitari: è possibile, dunque, che in futuro ne escano altri con valutazioni diverse e livelli di affidabilità superiori. Martedì il governo ha rinviato a venerdì il briefing con materiale riservato per i membri del Congresso sulle operazioni in Medio Oriente.

Già prima dell’intervento militare statunitense c’erano dubbi sul fatto che fosse possibile raggiungere l’obiettivo dichiarato da Netanyahu, ossia eliminare ogni possibilità che l’Iran riesca a produrre armi atomiche. Per giustificare i bombardamenti, l’amministrazione Trump aveva sostenuto che all’Iran mancassero all’incirca tre mesi prima di poter costruire una bomba atomica. Ancora ieri Netanyahu aveva detto che gli attacchi hanno «rimandato indietro di anni il progetto nucleare iraniano». Questo primo rapporto ha indicato un orizzonte temporale molto più contenuto, di sei mesi al massimo.

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