Nel Kashmir senza turisti restano solo i militari
Dopo l’attentato di aprile e gli scontri tra India e Pakistan a maggio, è un po’ come se a Rimini ci fossero solo soldati
di Valerio Clari

Appena usciti dall’aeroporto di Srinagar, la capitale indiana della regione del Kashmir, vari cartelli danno il benvenuto nel “paradiso in Terra” (“Welcome to paradise on Earth”). Fra un cartello e l’altro si notano però jeep blindate e camionette dell’esercito: soldati con mitra e fucili d’assalto sono a bordo strada. Si potrebbe pensare sia una misura d’emergenza intorno all’aeroporto, ma non è così.
Il Kashmir è una delle regioni più militarizzate al mondo: soldati, caserme e posti di blocco sono ovunque, nelle vie del mercato e in montagna: ufficialmente l’India dice di avere lì 200mila soldati, ma stime indipendenti ritengono che possano essere 700mila (su un esercito totale di 1,2 milioni di soldati). Srinagar e alcune località vicine sono però anche importanti destinazioni turistiche. Laghi, vette, paesaggi di montagna e clima più fresco attirano migliaia di turisti, perlopiù indiani. Da due mesi, però, non arriva quasi nessuno. L’attentato del 22 aprile a Pahalgam (26 morti, quasi tutti turisti) e i successivi scontri militari con il Pakistan hanno fatto scappare tutti: è come se Rimini e la riviera romagnola ad agosto fossero vuote.
Il crollo del turismo ha messo in crisi l’economia locale e decine di migliaia di persone che ci lavorano, ma anche parte della narrazione del governo del primo ministro nazionalista Narendra Modi, che proprio attraverso il turismo sta cercando di “normalizzare” il Kashmir e di assorbirlo nel suo progetto di uno stato sempre più induista.
Lo stato del Kashmir (e Jammu, la sua parte più meridionale) è l’unico a maggioranza musulmana in India e almeno da trent’anni è al centro di rivendicazioni indipendentiste, con vari gruppi armati attivi e, secondo le accuse indiane, finanziati dal Pakistan. India e Pakistan si contendono la regione dalla loro fondazione, nel 1947: il Kashmir è diviso in due parti, controllate dai due stati e divise da una linea lunga 740 chilometri.
Srinagar è la capitale estiva (Jammu è quella invernale) del Kashmir indiano: è una città da poco più di un milione di abitanti che ha il suo fulcro turistico nel lago Dal, ai piedi delle montagne. Sul lago ci sono almeno 900 “houseboat”, barche ancorate o case galleggianti che sono tutte hotel, ristoranti o negozi sull’acqua. Sull’acqua ci sono anche giardini e coltivazioni, nonché il mercato ortofrutticolo più ampio della città. Nel lago c’è anche una minuscola isoletta con due alberi: l’esercito ci ha messo su un presidio permanente, con tenda e soldati. Presidiano le acque.
Per andare negli alberghi, per girare e per farsi i selfie i turisti prendono le shikara, tipiche barche a remi, delle specie di gondole con tettoia: i proprietari di shikara sono 2.500, a Srinagar.

Proprietari di shikara dormono in attesa di turisti (Valerio Clari/il Post)
Durante l’alta stagione, che comincia a maggio, normalmente il traffico sul lago è molto concitato, con tanto di ingorghi, e quello di auto, bus, risciò e tuk-tuk sul lungolago è difficilmente immaginabile con occhi europei. Quest’anno invece nella prima metà di giugno le barche erano quasi tutte stabilmente parcheggiate a riva, i proprietari inseguivano i pochi turisti presenti o dormivano, sdraiati sulle shikara.
Mohamed Yaqoob è uno di questi, fa quel lavoro da 25 anni e dice che per avere una shikara si pagano a rate barca e licenza, e che prima si guadagnava il corrispettivo di 40-50 euro al giorno, e ora 2. Molti hanno ancora delle rate da pagare e non ci sono stati sussidi. Yaqoob accusa anche i media: «Hanno creato paura e psicosi parlando di una situazione d’emergenza che non esiste e dipingendo tutti i kashmiri come terroristi».
L’India accusa il Pakistan di legami con il gruppo che prima ha rivendicato l’attentato di aprile, e poi ha negato. Nei giorni dell’attacco indiano al Pakistan in ritorsione dell’attentato, un drone è stato abbattuto sopra il lago e i detriti sono finiti nelle acque. Non è mai stato comunicato ufficialmente da dove arrivasse, ma a quel punto anche i pochi turisti rimasti sono partiti. Ora molte delle houseboat sono vuote, così come i negozi sul lago. I dipendenti sono stati licenziati senza troppe premure. Javeid Ahmed Matoo, che vende tessuti e vestiti fatti a mano, dice: «Abbiamo speso tutto per rifornire i magazzini in vista dell’alta stagione, non ho più soldi. Avevo sei dipendenti, ma li riassumo solo quando tornano i turisti».
Mohammad Marhan Mansoor ha fatto lo stesso con il suo Gran Myra Resort e di tutti i dipendenti è rimasto solo il custode: «Del resto se cerchi su Google ti dice che non è sicuro venire qui», racconta.

Il fiume Lidder a Pahalgam (Valerio Clari/il Post)

Turisti a Pahalgam (Valerio Clari/il Post)
Pahalgam, a un paio di ore di auto di distanza, verso le montagne, è la città dove partono le escursioni montane. Era conosciuta come la “piccola Svizzera” e proprio lì, lo scorso 22 aprile, alcuni terroristi hanno sparato su un gruppo di turisti indù. Da allora il governo ha chiuso l’accesso all’alta valle. Si può stare nel piccolo centro cittadino, bagnare i piedi nel fiume e poco altro.
A Pahalgam normalmente gli indiani in vacanza andavano nei “garden”, dei prati recintati, soggetti a un biglietto d’ingresso e pieni di aiuole di fiori. Nei garden i turisti si sdraiano, mangiano, si rilassano e scattano molte foto. Sono stati chiusi per ragioni di sicurezza, poco comprensibili: forse si temeva diventassero l’obiettivo di altri attentati.
L’altra attrazione sono le passeggiate sui pony, che prima portavano i turisti in percorsi verso l’alta valle. A Pahalgam c’è un numero enorme di pony e conduttori di pony: 6.000 animali, secondo le stime, anche se quelli con licenza sono molti meno. Ora sono quasi tutti fermi sotto zone alberate: poca gente da portare, pochi posti dove andare. Abdul Khaliq Bhat dice che i pony qui ci sono da 40 anni, che lui nella vita ha «fatto solo quello» e che «comunque anche se non si lavora gli animali mangiano» e quindi le spese ci sono.

Alcuni dei 6.000 pony in attesa di clienti (Valerio Clari/il Post)

Abdul Khaliq Bhat e uno dei suoi cavalli (Valerio Clari/il Post)
La chiusura e lo svuotamento hanno ovviamente messo in crisi anche i molti hotel, che negli ultimi anni avevano aperto o rinnovato le camere sfruttando un notevole aumento di popolarità del posto. Il luogo peraltro è soggetto a vincoli ambientali: alcuni albergatori con cui ha parlato il Post hanno ricordato tra le spese da sostenere anche quelle “informali” per ottenere i permessi.
Se mancano i turisti, in questo periodo a Pahalgam ci sono centinaia di mezzi militari e migliaia di soldati. Sono arrivati dopo l’attentato di aprile, ma ora si preparano a proteggere l’annuale Amarnath Yatra, cerimonia indù che prevede una processione a piedi di oltre 45 chilometri, suddivisi su più giorni, fino a un tempio indù dentro una grotta a quasi 4mila metri.
Nella grotta c’è una stalattite di ghiaccio di diversi metri di altezza, che resta tale almeno fino a fine agosto (poi si scioglie, per riformarsi mesi dopo con il congelamento dell’acqua che cade dall’alto). Dal 5 luglio decine di migliaia di pellegrini indù arrivano al tempio: la stalattite è considerata un simbolo fallico di Shiva, una delle principali divinità induiste. I pellegrini dormono in accampamenti creati apposta e non usano le strutture turistiche. Gli alberghi devono chiudere per evitare la sovrapposizione fra pellegrini e viaggiatori non-indù, per ragioni di sicurezza.
Secondo molti kashmiri, che però non possono parlare pubblicamente dell’argomento per timore di ritorsioni, il governo centrale indiano sta favorendo questa cerimonia come uno dei mezzi per normalizzare il Kashmir e imporre anche qui la religione indù come una religione di stato. È una tendenza molto visibile altrove in India e spesso rivendicata apertamente dal governo del Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro Narendra Modi, al governo dal 2014: sta trasformando la natura dell’India, nato come stato laico.

Una delle moltissime postazioni di soldati a Pahalgam, in Kashmir (Valerio Clari/il Post)



