Perché Trump ha rimandato la decisione sull’Iran
Dopo giorni di speculazioni ha detto che annuncerà qualcosa «nelle prossime due settimane»: ci sono varie ipotesi

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di non decidere, almeno per ora, sulla possibilità che gli Stati Uniti intervengano militarmente al fianco di Israele per attaccare l’Iran. Giovedì pomeriggio (sera in Italia) ha annunciato, tramite la sua portavoce Karoline Leavitt, che dirà qualcosa entro due settimane:
«Poiché c’è una possibilità concreta di negoziati che potrebbero avvenire oppure no a breve, prenderò la mia decisione se andare oppure no [ad attaccare l’Iran] nelle prossime due settimane».
Questa frase ha fatto partire un gran numero di speculazioni sul fatto che effettivamente possano ricominciare dei negoziati, oppure che Trump voglia soltanto prendere tempo, o che stia addirittura mettendo in atto una specie di bluff.
Due settimane?
Anzitutto la prima questione da capire è che «due settimane» per Trump non sono un’unità di tempo precisa. Trump dice «due settimane» tutte le volte che vuole rimandare un problema, senza fare una vera stima del tempo che gli servirà a risolverlo. Il mese scorso, parlando dei negoziati sulla guerra in Ucraina, Trump ha detto che non era sicuro che il presidente russo Vladimir Putin volesse davvero la pace: «Capiremo se ci sta prendendo in giro o no […] ma ci vorrà una settimana e mezzo, due settimane per capirlo». Le due settimane sono passate e Trump non ha più parlato della questione.
Ad aprile, quando un giornalista gli ha chiesto se gli Stati Uniti avrebbero continuato a mandare aiuti all’Ucraina, ha risposto: «Vediamo cosa succede: rifammi questa domanda tra due settimane». Quando un altro gli ha chiesto se si fidasse di Putin: «Vi faremo sapere entro due settimane». Negli anni Trump ha rimandato di due settimane decisioni su un po’ tutto, dai piani infrastrutturali alle riforme fiscali. Quasi sempre queste decisioni sono poi arrivate prima, dopo, o non sono proprio arrivate.
Se Trump ha detto che prenderà una decisione sull’Iran entro due settimane, significa che ha deciso di spostare la decisione un po’ più in là, e di usare l’indeterminatezza a suo vantaggio, se possibile. Ma non bisogna aspettarsi una risposta entro termini precisi.
Negoziati
La prima ipotesi che giustifica il rinvio della decisione è che Trump voglia davvero trattare con l’Iran. Prima dell’attacco israeliano della settimana scorsa, gli Stati Uniti stavano portando avanti negoziati con l’Iran da mesi. Trump ha sempre mostrato di prediligere un accordo pacifico a una guerra, che gli creerebbe grossi problemi politici interni.
Il capo negoziatore statunitense, Steve Witkoff, è rimasto in contatto anche negli ultimi giorni con i diplomatici iraniani, e potrebbe riprendere le trattative in breve tempo. Bisognerà capire però se gli iraniani saranno disposti ad accettare un eventuale accordo proposto dagli Stati Uniti: finora Trump ha chiesto all’Iran la «RESA INCONDIZIONATA», cosa che per il regime iraniano, anche se indebolito, è inaccettabile. L’Iran ha detto venerdì che, finché Israele bombarderà il paese, non accetterà nessun negoziato.
Lasciar fare a Israele
Trump potrebbe voler prendere tempo anche per vedere come proseguirà la campagna di bombardamenti israeliana. Due settimane possono dare tempo a Israele di continuare a distruggere le difese aeree iraniane, cosa che ridurrebbe i rischi per gli Stati Uniti nel caso in cui decidessero di attaccare e di usare le loro bombe bunker buster contro i siti nucleari iraniani.
In due settimane, inoltre, gli Stati Uniti avrebbero tempo di concentrare notevolmente le proprie forze: già da giorni l’esercito statunitense sta spostando navi e aerei verso la regione, in preparazione a un possibile attacco. In due settimane sarebbe possibile mandare nella zona una seconda portaerei (oltre a quella già presente), che consentirebbe di contrastare più efficacemente la ritorsione iraniana a un eventuale attacco.

La contraerea israeliana contro i missili iraniani sul cielo di Tel Aviv, 18 giugno 2025 (AP Photo/Leo Correa)
Il bluff
Un’altra ipotesi è che Trump, in accordo con gli israeliani, stia bluffando. «Potrebbe essere una copertura per un attacco immediato», ha detto alla CNN James Stavridis, un ammiraglio americano in pensione ed ex comandante delle forze statunitensi in Europa. «Potrebbe essere un astuto stratagemma per dare agli iraniani un falso senso di tranquillità», in modo da coglierli di sorpresa.
Ipotesi simili erano circolate già la settimana scorsa, dopo l’attacco israeliano: molti analisti (soprattutto vicini a Israele) avevano sostenuto che nelle settimane precedenti gli Stati Uniti avessero avviato negoziati con l’Iran non perché convinti di una soluzione pacifica, ma per dare agli iraniani un falso senso di sicurezza, che poi li ha resi obiettivi facili dell’attacco di Israele. Queste ipotesi sono state però screditate da vari resoconti giornalistici che negli ultimi giorni hanno raccontato come i tentativi negoziali di Trump fossero sinceri.
Riprendere l’iniziativa
Più semplicemente, la decisione di rimandare l’attacco può essere un modo per Trump di riprendere l’iniziativa. Finora l’amministrazione statunitense è stata costretta a reagire alle iniziative del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. È stato Netanyahu a decidere quando attaccare l’Iran e come farlo, e questa settimana era sembrato che gli Stati Uniti fossero in un certo modo pressati a decidere rapidamente se intervenire o meno in Iran. Prendendo tempo, Trump ha recuperato il controllo dei tempi e dei modi di un eventuale attacco.