Con la circumvesuviana tutto quello che poteva andare storto è andato storto
Treni vecchissimi, carrozze mandate in manutenzione e mai tornate indietro, incendi, deragliamenti e passeggeri costretti a camminare sui binari
di Isaia Invernizzi

Quella della circumvesuviana, la ferrovia che passa intorno al Vesuvio collegando le principali città dell’area metropolitana di Napoli, è una storia di binari speciali, più stretti del solito, di treni vecchissimi, di debiti milionari, di carrozze mandate in Germania e mai tornate indietro, di nuovi treni attesi da anni e ovviamente di enormi ritardi. Ma anche di oltre 20 milioni di passeggeri alle prese ogni anno con soppressioni e guasti, incendi e deragliamenti, lunghe camminate sui binari sotto il sole e aggressioni. Se la circumvesuviana è una delle peggiori ferrovie d’Italia, come dicono molti report, è perché tutto quello che poteva andare storto è andato storto, soprattutto per via di una lunga e incredibile serie di errori.
Partire dalla fine, dalla disastrosa situazione attuale, può essere utile per capire meglio le cause mettendole poi in fila: oggi la circumvesuviana è una ferrovia composta da 6 linee, estesa per 142 chilometri, con 93 stazioni, molte delle quali vuote, senza più personale.
Per garantire una buona frequenza di corse – ovvero il dato che misura ogni quanto tempo passa un treno, in media, su tutte le linee – servirebbero circa 150 treni: nel 2010 ne circolavano 144, oggi sarebbero una sessantina. È perfino difficile sapere quanti siano davvero, perché ci sono guasti quasi ogni giorno. Meno treni ci sono e più cala la frequenza: negli ultimi anni era scesa a un treno ogni 90 minuti, ora ne passa quasi uno all’ora.
Avere così pochi treni espone l’organizzazione a molti rischi e a conseguenze che i pendolari conoscono bene. Quando non funziona qualcosa, come quando un treno si ferma all’improvviso, i freni si surriscaldano o più banalmente le porte non si chiudono, è quasi impossibile trovare un treno sostitutivo. Le corse vengono cancellate e migliaia di persone sono costrette ad aspettare per ore sulle banchine. Succede anche su linee ferroviarie locali in molte altre regioni, ma sulla circumvesuviana di più. Negli ultimi 10 anni il servizio è stato ridotto, l’indice di puntualità è rimasto tra i più bassi in Italia, il prezzo dei biglietti è aumentato e il numero dei passeggeri è diminuito di circa il 30 per cento.
Un’altra cosa importante che aiuta a capire il contesto è che la circumvesuviana è gestita dall’EAV, l’Ente Autonomo Volturno, un’azienda partecipata dalla regione Campania, la stessa che gestisce parte della rete dei tram e degli autobus dell’area metropolitana e la funivia del monte Faito, a Castellammare di Stabia, dove ad aprile quattro persone sono morte nello schianto di una cabina al suolo, dopo la rottura di un cavo. L’EAV ha la responsabilità di tutto – treni, binari, scambi e impianti – mentre nella maggior parte delle altre regioni l’infrastruttura ferroviaria, cioè i binari, viene mantenuta da RFI, società del gruppo Ferrovie dello Stato.
Prima di passare all’EAV, per quasi tutto il Novecento la circumvesuviana era stata della società Strade Ferrate Secondarie Meridionali (SFSM) e dalla metà degli anni Ottanta riscattata e commissariata dallo Stato a causa dei debiti accumulati in decenni. Dall’inizio degli anni Duemila l’EAV ha ripagato molti di questi debiti, ma sindacati e pendolari l’accusano di aver investito pochissimo e soprattutto di aver fatto scelte sbagliate.
Se si potessero riassumere tutti i problemi attuali rispondendo a una sola domanda, sarebbe questa: perché ci sono così pochi treni?
Una delle ragioni deriva dal passato, dalla fine dell’Ottocento, quando fu concepito il servizio metropolitano per trasportare merci e persone verso comuni in grande espansione come Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Pompei, Sarno, Poggiomarino e nella prima metà del Novecento Castellammare di Stabia, Baiano, Nola e Sorrento. Era uno dei servizi di trasporto più all’avanguardia in Italia anche perché pensato e costruito su misura. La principale caratteristica tecnica che rese unico il progetto è il cosiddetto scartamento, cioè la distanza tra i due binari.
Le ferrovie italiane hanno uno scartamento di 1.435 millimetri, il più comune in quasi tutti i paesi del mondo, mentre sulla circumvesuviana è di 950 millimetri. Viene definita una ferrovia a scartamento ridotto. Lo scartamento ridotto permise ai progettisti di risparmiare soldi e di far passare i binari in zone meno accessibili, con curve di raggio inferiore rispetto allo scartamento standard. Tuttavia non è difficile immaginare quali siano le conseguenze di questa scelta sul lungo periodo: per viaggiare su binari speciali servono treni speciali, più costosi e con tempi di produzione molto più lunghi rispetto a un treno standard.
Non si può dare la colpa ai progettisti di questa sorta di peccato originale: all’epoca non potevano sapere che lo scartamento di 1.435 millimetri sarebbe diventato lo standard e che nei decenni successivi i dirigenti non avrebbero più fatto investimenti per adeguare l’infrastruttura. Oggi l’EAV ne paga le conseguenze, come dimostrano i ritardi straordinari nella consegna di treni nuovi o di carrozze ammodernate (in gergo si dice “revampizzate”).
Uno degli episodi più gravi e per certi versi assurdi che spiegano come mai ci sono così pochi treni risale al 2017, quando l’EAV commissionò la ristrutturazione di 37 treni, annunciando che sarebbero stati consegnati entro il 2018. La Firema di Caserta si aggiudicò l’appalto per il rinnovamento di 25 treni, mentre gli altri 12 furono affidati a un’azienda di Lipsia, in Germania, in gravi difficoltà economiche. A distanza di anni non è ancora ben chiaro cosa sia successo, ma molti dei 12 treni spediti in Germania tornarono a pezzi. Alcuni non sono mai tornati.
Quelli arrivati a pezzi furono messi in un deposito a San Giovanni a Teduccio, che negli anni è diventato una risorsa insieme ad altri depositi, definiti “cimiteri dei treni”: molti dei componenti elettrici dei treni in circolazione sono talmente vecchi che non esistono più aziende che li producono, e per questo i tecnici dell’EAV sono soliti andare al deposito per cercare qualche pezzo da smontare e riutilizzare. È una pratica chiamata cannibalizzazione.
Ora sulla circumvesuviana circolano quattro categorie di treni: i più vecchi sono della serie FE220 e risalgono agli anni Settanta, 50 anni fa; ci sono poi i T21 progettati negli anni Ottanta, i Metrostar della fine degli anni Novanta e gli ultimi, i T21R – pochi – arrivati dopo il 2020. Ognuna di queste serie è incompatibile con le altre: significa che non si può attaccare una carrozza di un FE220 a una del T21R perché sono treni concepiti diversamente. Se fossero tutti della stessa serie sarebbe più semplice sostituire o aggiungere carrozze quando si guasta qualcosa.
La gestione del bando di gara per l’acquisto di nuovi treni è un’altra vicenda decisiva e straordinaria anche nella sfortuna. Nel 2018 l’EAV e la Regione Campania commissionarono la costruzione di 40 treni, diventati poi 56, per sostituire gradualmente la flotta e risolvere i problemi dovuti ai continui guasti. L’investimento iniziale era di 314 milioni di euro.
La commissione di gara aggiudicò la commessa a Hitachi, uno dei produttori di treni più noti e affidabili al mondo. Ma nel marzo del 2020, all’inizio della pandemia, il tribunale amministrativo regionale della Campania (TAR) accolse un ricorso presentato dall’azienda seconda classificata, la svizzera Stadler. La causa fu aperta per un dettaglio all’apparenza poco importante, cioè l’interpretazione di una formula matematica usata per calcolare la disponibilità media dei treni da far viaggiare ogni giorno. Un errore nella scrittura del bando.
I tempi si allungarono per via del successivo ricorso di Hitachi al Consiglio di Stato, che nel 2021 diede ragione a Stadler. Nel frattempo le limitazioni dovute alla pandemia avevano rallentato molto la produzione mondiale di treni. Mancavano i materiali e le spedizioni internazionali andavano a rilento, tutte ottime giustificazioni per rimandare la consegna dei primi treni al 2024. Poi ci si è messo anche un po’ il caso.
Stadler programmò di iniziare a costruire i treni nel suo stabilimento in Bielorussia. Era il 2022, poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina coinvolgendo indirettamente la Bielorussia nella guerra. L’azienda fu costretta a ridurre i suoi investimenti in Bielorussia e a spostare parte della produzione, che finì in Spagna, per la precisione a Valencia.
Lo scorso anno tutta l’area di Valencia è stata inondata da una delle alluvioni più gravi degli ultimi decenni. Migliaia di aziende sono state distrutte, e tra loro c’erano anche molte fornitrici di Stadler, che a dicembre ha scritto a EAV per comunicare un nuovo ritardo. L’azienda ha fatto in tempo a consegnare il primo treno all’inizio di settembre del 2024.
Il secondo treno è arrivato alla fine di marzo. Entrambi però non sono ancora in servizio. La colpa è sempre dello scartamento ridotto, che impone prove e test molto approfonditi per ogni convoglio prima di inserirlo nella programmazione oraria. «Non è come prendere un modello Jazz o Rock, come quelli che si vedono in altre regioni: qui sono su misura, e anche la certificazione è su misura», dice Gennaro Conte, segretario nazionale dell’ORSA, un sindacato di base dei ferrovieri. «Prima di avere il via libera servono mesi. E comunque anche questi treni non sono compatibili con gli altri, quindi dovranno viaggiare accoppiati».
Anche per via degli intoppi per l’acquisto dei nuovi treni è stata rimandata la manutenzione di molte linee. Fino a quando non saranno sostituiti i segnali, per cui è in corso una gara di progettazione, in alcuni punti i treni devono viaggiare a velocità ridotta. I segnali sono dispositivi come semafori e indicatori, essenziali per la sicurezza. «Anche se all’improvviso arrivassero tutti i treni nuovi, ci ritroveremmo a guidare Ferrari nei vicoli», dice Conte.
Salvatore Ferraro, portavoce del comitato pendolari “No al taglio dei treni della circumvesuviana”, ricorda che quando era ragazzo regolava l’orologio con l’arrivo del treno. Ora dice che non sa quando si parte e non si sa quando si arriva. Negli anni i tanti comitati dei pendolari nati per protestare contro i ritardi hanno chiesto conto a EAV di tutti gli errori fatti: sono state organizzate manifestazioni e in alcuni casi sono state promosse azioni legali.
Ultimamente si lamentano anche perché l’EAV e la Regione non assecondano mai le loro richieste, anzi spesso rifiutano il confronto. «Ci rendiamo conto che EAV non ha la bacchetta magica», dice Ferraro. «Però sta facendo scelte che penalizzano tutta la rete che serve oltre 2 milioni di abitanti. Per esempio, sta privilegiando la Napoli-Sorrento in ottica turistica, aumentando la frequenza su quella linea e riducendola altrove. Solo che i turisti sono molti meno dei pendolari». Dopo aver scritto al prefetto di Napoli, giovedì tutti i comitati hanno firmato un appello rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il presidente della Campania Vincenzo De Luca e Umberto De Gregorio, presidente di EAV da oltre 10 anni, da tempo sostengono che non si possa fare più di così. In una recente diretta su Facebook De Luca ha detto che la regione ha investito 500 milioni di euro per adeguare i sistemi di controllo e comprare nuovi treni per la circumvesuviana. Ha chiuso il discorso così: «Se qualche scienziato ha qualche soluzione si faccia avanti».
Nell’ultimo mese ci sono stati almeno quattro principi di incendio sulle carrozze o a ridosso dei binari e un deragliamento. Nessuno – né i comitati, né i sindacati – è riuscito a stimare quante volte, sempre nell’ultimo mese, i passeggeri siano stati costretti a scendere e camminare sui binari a causa di un guasto. Lo stesso vale per le soppressioni e i ritardi, problemi ormai quotidiani.



