Nella guerra in Sudan i droni esplosivi ora arrivano dappertutto
Anche in città considerate sicure, come Port Sudan: li usano le Forze di supporto rapido contro l'esercito regolare sudanese, forse arrivano dagli Emirati

Dopo essere state cacciate dalla capitale Khartum nel mese di marzo, le Rsf (Forze di supporto rapido) si sono riorganizzate e stanno cercando di riconquistare una qualche posizione di vantaggio nella guerra civile contro l’esercito regolare, che è l’altra grande fazione armata in Sudan. Questo vuol dire che il ritorno alla vita normale a Khartum che si sta vedendo in queste settimane non è l’inizio della pace generale.
Fino a due anni fa le due fazioni lavoravano assieme al servizio del governo, le Rsf comandate dal generale Mohamed Dagalo «Hemedti» e l’esercito sotto al generale Abdel Fattah al Burhan. Nell’aprile del 2023 hanno però cominciato a combattere l’una contro l’altra per il controllo della capitale e di tutto il Sudan. A soccombere, dopo una battaglia urbana interminabile che ha costretto la maggioranza degli abitanti – otto milioni di persone – a scappare da Khartum, sono state le Rsf.
Adesso i miliziani delle Rsf si sono ritirati a un po’ meno di venti chilometri dal centro della capitale e continuano a combattere per fare in modo che la sconfitta a Khartum non diventi una sconfitta definitiva. Se andasse male potrebbero chiudersi nell’ovest sudanese, nel Darfur che controllano quasi completamente, ma non sono ancora a questo punto.
La loro reazione ha preso la forma di due campagne militari aggressive. La prima è il bombardamento con droni esplosivi contro la città di Kassala e soprattutto contro Port Sudan, il centro sulla costa del Mar Rosso che in questi due anni, mentre si combatteva a Khartum, è diventato la sede del comando dell’esercito sudanese e un grande punto di raccolta per gli sfollati in Sudan.
A partire da domenica, per otto notti di seguito, i droni hanno colpito alcune infrastrutture importanti a Port Sudan, inclusi la parte militare dell’aeroporto internazionale, un grande serbatoio per lo stoccaggio del carburante, il porto, le caserme dell’esercito, l’hotel Coral e l’hotel Marina vicino a un palazzo spesso usato come alloggio da Al Burhan, il comandante dell’esercito sudanese. Le scene che arrivano dalla città portuale sudanese ricordano quelle che arrivano da Odessa in Ucraina, dove quasi ogni notte ci sono attacchi di droni russi: i proiettili traccianti della contraerea che tenta di colpire i droni nel buio e al mattino le colonne di fumo che si levano dalle zone della città colpite.
Alcuni testimoni sostengono che i droni usati nei bombardamenti siano di un tipo più moderno e silenzioso rispetto ai droni usati di solito dalle Rsf e il governo sudanese sospetta che siano droni degli Emirati Arabi Uniti, decollati da una vicina base militare a Bosaso, nello stato somalo del Puntland, oppure da nuove basi delle Rsf nella regione sudanese del Kordofan.
Gli Emirati Arabi Uniti sono il grande sponsor delle Rsf e potrebbero essere preoccupati per la perdita di Khartum. Martedì il ministro della Difesa del governo militare che governa il Sudan (o meglio: parti del Sudan), Yassin Ibrahim, ha detto che gli Emirati con il loro appoggio alle Rsf violano la sovranità del paese e che il governo avrebbe tagliato le relazioni diplomatiche con loro. Gli Emirati hanno risposto che non riconoscono il governo sudanese come legittimo (e così vanno contro alla comunità internazionale, che invece per adesso riconosce il governo sudanese).
Poiché sono gli alleati più forti delle Rsf, gli Emirati sono considerati anche corresponsabili per molti crimini di massa contro i civili sudanesi commessi dalle milizie in questi due anni. Le Rsf sono la continuazione sotto un altro nome dei janjaweed, i gruppi armati che tra il 2003 e il 2005 uccisero centinaia di migliaia di civili nel Darfur. Giovedì un rapporto di Amnesty International ha accusato gli Emirati di fornire alle milizie sudanesi alcune armi cinesi avanzate che sono state viste in Sudan e che non possono essere arrivate lì in altro modo.
Lunedì 5 maggio la Corte internazionale di giustizia ha respinto la richiesta del governo del Sudan, che accusa gli Emirati di genocidio per complicità con le milizie, e ha detto che non ha la giurisdizione sul caso. È stata una vittoria politica importante per gli Emirati e uno smacco per il governo sudanese.
L’altra campagna delle Rsf per reagire alla batosta di Khartum è consolidare il controllo nell’ovest del Sudan. I miliziani hanno appena preso En Nahud, una città che serve da accesso alla vasta regione del Darfur, dove in queste settimane sono morte centinaia di civili a causa degli scontri.
La conquista di En Nahud fa parte di una sequenza di conquiste da parte delle Rsf per bloccare ogni tentativo dell’esercito sudanese di avanzare nella metà occidentale del Sudan e fa anche da preludio, se le cose continueranno così, milizie a ovest ed esercito a est, a una scissione del paese. Di questa sequenza di conquiste farebbe parte in teoria anche la città di Al Fashir, nel Darfur, che è completamente circondata e assediata da mesi e resiste soltanto grazie a un ponte aereo che rifornisce la guarnigione locale dell’esercito. Per ora, tuttavia, non è ancora caduta.
Le Nazioni Unite stimano che in due anni la guerra civile in Sudan abbia fatto 140mila morti.