L’esercito del Sudan ha riconquistato la capitale Khartum
Dopo un'offensiva durata diversi mesi: è una vittoria importante ma non è la fine della guerra civile

Mercoledì l’esercito sudanese ha scacciato il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF) dalla capitale Khartum, e ha ripreso il pieno controllo sulla città quasi due anni dopo averla abbandonata. È una svolta piuttosto importante nella guerra civile del Sudan, ma non è la fine: le RSF controllano ancora quasi tutta la regione occidentale del Darfur, dove molto probabilmente ora si ritireranno per riorganizzarsi, e dove hanno detto di voler instaurare un governo parallelo.
L’offensiva per la riconquista della capitale era cominciata nel settembre del 2024, e da allora l’esercito era riuscito a restringere l’area sotto il controllo delle RSF. Nelle ultime settimane era riuscito a conquistare alcuni importanti ponti sul fiume Nilo, che attraversa la città, costringendo i miliziani sempre più a sud. Aveva poi ottenuto le vittorie più importanti negli ultimi giorni: venerdì aveva ripreso il palazzo presidenziale, il giorno dopo la sede della Banca centrale e mercoledì aveva infine riconquistato l’aeroporto e la fabbrica di armi di Yarmouk, la più grande in Sudan.
Il generale che guida l’esercito e il presidente di fatto del paese, Abdel Fattah al Burhan, è atterrato in elicottero all’aeroporto poche ore dopo la riconquista della capitale. Ha baciato il terreno e ha detto «Khartum è libera, è finita». Ha poi visitato il palazzo presidenziale insieme ad alcuni soldati. Il palazzo è un luogo simbolico per il potere in Sudan: sarebbe la sede del governo, ma nei primi giorni della guerra civile le RSF lo avevano occupato insieme al resto della città, costringendo il governo a spostarsi nella città costiera di Port Sudan.

Abdel Fattah al Burhan, al centro, saluta le truppe durante la visita al palazzo presidenziale, 26 marzo 2025 (AP Photo)
Mercoledì i miliziani delle RSF, guidati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, hanno abbandonato la città passando per il ponte sulla diga di Jebel Aulia, che era rimasta l’unica via d’uscita, circa 40 chilometri a sud dal centro. L’ultima area attorno a Khartum ancora contesa è la città di Omdurmam, sulla sponda ovest del Nilo, dove sono presenti sia i miliziani delle RSF che i soldati dell’esercito. Alcuni giornalisti del New York Times hanno riferito di combattimenti durante la notte di mercoledì. Un portavoce dell’esercito ha detto che in città rimangono alcuni gruppi di miliziani, ma che verranno stanati e «distrutti».
I giornalisti sul campo hanno raccontato che i residenti di Khartum hanno accolto i soldati con gioia: il consenso per al Burhan e i suoi uomini non è particolarmente forte, ma l’occupazione delle RSF è stata violenta e repressiva. Negli ultimi mesi si erano intensificati i posti di blocco e la libertà di movimento dei residenti si era ristretta ulteriormente.
Nelle aree controllate dall’RSF non c’era acqua corrente, elettricità o internet. Da mesi a Khartum non era più possibile far entrare in città gli aiuti umanitari, e reperire il cibo e gli altri beni di prima necessità era diventato sempre più difficile perché i negozi venivano costantemente saccheggiati dai miliziani. Alcuni residenti hanno raccontato che l’RSF aveva cominciato anche a chiedere soldi alla popolazione, minacciando di uccidere chi non li avesse consegnati. Molti hanno riferito di stupri sistematici nei confronti di donne e ragazze.
La guerra civile in Sudan cominciò nell’aprile del 2023 quando si ruppe la fragile alleanza tra al Burhan e Hemedti. I due all’epoca erano a capo di una dittatura militare instaurata dopo il colpo di stato del 2021, ma quando provarono ad avviare una transizione democratica si scontrarono sul modo in cui dovesse avvenire. Inizialmente le milizie di Hemedti ebbero la meglio, ma dopo una lunga fase di stallo dall’inizio di quest’anno l’esercito era riuscito a svoltare la situazione in suo favore.
In questi due anni la guerra civile ha causato decine di migliaia, se non centinaia di migliaia morti: non esiste un numero certo, le stime vanno da 26mila a 60mila, alcune arrivano a 150mila. Ha costretto tra i 10 e i 13 milioni di persone a lasciare la propria casa e ha causato una grave carestia in ampie zone del paese. Entrambe le fazioni sono accusate di aver commesso atroci violenze contro i civili: bombardamenti, saccheggi, stupri sistematici e hanno entrambe impedito la consegna degli aiuti umanitari.
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