Cos’ha fatto Beppe Sala per la sicurezza a Milano negli ultimi tre anni

Cioè da quando se ne discute: ha puntato tutto sull'aumento dei vigili in strada e poco sulla questione sociale

(ANSA/MATTEO CORNER)
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Da qualche anno la sicurezza a Milano è diventato un grosso tema: è una delle questioni più discusse sui giornali e sui profili social dedicati alla città, concentra buona parte del dibattito politico e sarà uno dei temi fondamentali anche per le prossime elezioni comunali, in programma nella prima metà del 2027. A generare maggiore dibattito sono i cosiddetti reati di strada, ovvero quelli che vengono fatti in spazi pubblici, come scippi, aggressioni e atti vandalici, che sono aumentati negli ultimi dieci anni. I reati più gravi invece, come gli omicidi, sono diminuiti.

C’è stato un momento in particolare da cui si è iniziato a discuterne sempre di più ed è il luglio del 2022, quando la nota influencer Chiara Ferragni fece una storia su Instagram dicendo di sentirsi «angosciata e amareggiata dalla violenza che continua a esserci» in città e che la situazione era «fuori controllo», concludendo con un appello al sindaco Beppe Sala. Da allora i post sui social di personaggi famosi che denunciano scippi, aggressioni o semplicemente che dicono che Milano non è una città sicura sono aumentati, alimentando quella che è stata definita “percezione di insicurezza” in città.

Allora Sala aveva risposto minimizzando abbastanza la cosa, dicendo che non condivideva le affermazioni di Ferragni e che non pensava che la situazione fosse drammatica, per quanto comunque degna di attenzione. Aveva poi aggiunto che la giunta la stava già gestendo e che erano state fatte nuove assunzioni nella polizia locale. Il post di Ferragni venne molto ripreso, anche e soprattutto da personaggi politici e giornali di destra, al punto che lei poco dopo ne fece un altro dicendo che le dispiaceva che le sue parole avessero «causato strumentalizzazioni politiche e divisionismi».

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A distanza di tre anni dal post di Chiara Ferragni sono cambiate un po’ di cose: dopo aver inizialmente minimizzato, Sala ha preso diversi provvedimenti sulla sicurezza. Questi sono culminati, a metà marzo, con la decisione abbastanza inaspettata di assumere personalmente le deleghe alla Polizia Locale e alla Sicurezza (quest’ultima passata a un comitato presieduto dallo stesso Sala), togliendole a uno degli assessori più in vista della sua giunta, Marco Granelli, al quale sono rimaste le deleghe a Opere pubbliche, Cura del territorio e Protezione civile. Sala aveva motivato la sua scelta dicendo: «Molto del problema sicurezza viene attribuito al sindaco, che sia giusto o meno. Allora tanto vale mettermici in maniera diretta».

La sua decisione era stata criticata dall’opposizione: «Lui che era quello che diceva che la sicurezza non era un problema, che era solo percezione di insicurezza, ha deciso di tenersi le deleghe», aveva detto la consigliera comunale leghista Silvia Sardone.

Il primo grosso provvedimento preso dalla giunta risale all’ottobre del 2023, quando Sala nominò delegato per la sicurezza urbana e la coesione sociale Franco Gabrielli, ex capo della polizia e dei servizi segreti (è stato, tra le altre cose, direttore dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, e del Sisde, Servizio informazioni e sicurezza della difesa). Informalmente, Gabrielli veniva definito dai media il consulente (più spesso «super» consulente) di Sala per la sicurezza: era una carica a titolo volontario e gratuito, che ha mantenuto per circa un anno e mezzo, fino allo scorso febbraio.

Gabrielli fu messo a capo di un comitato di cui facevano parte anche gli assessori Granelli, che allora aveva ancora le deleghe alla Sicurezza e alla Polizia locale, e Lamberto Bertolè, assessore al Welfare. Dopo che Gabrielli se n’è andato il comitato ha continuato a esistere assumendo a marzo la delega dell’assessorato alla Sicurezza, con a capo lo stesso Sala e la vicesindaca Anna Scavuzzo. La scelta di includere all’interno del comitato per la sicurezza e la coesione sociale la vicesindaca Scavuzzo che, tra le altre cose, ha la delega all’Istruzione e gli assessori al Welfare e alle Opere pubbliche si lega al fatto che la sicurezza è connessa anche a una serie di questioni sociali, come l’abbandono scolastico e la vita di quartiere, che richiedono l’intervento di assessori competenti nei vari ambiti.

Il compito di Gabrielli era principalmente riorganizzare le forze di polizia locale e aumentare il numero di agenti in città e in linea di massima c’è riuscito. A febbraio, quando Gabrielli ha lasciato l’incarico, i vigili erano 3.037: nel 2024, tra nuove assunzioni e ricambio dovuto ai pensionamenti, ne sono stati aggiunti 242. L’obiettivo dichiarato è arrivare entro la fine del mandato a 3.350 vigili.

Agenti di polizia nel quartiere Cascina Merlata, a Milano (Ansa/Andrea Fasani)

Dopo le molte richieste di avere un maggiore controllo per le strade della città, a fine novembre la giunta ha introdotto una nuova categoria di agenti: i vigili di prossimità. Quelli che hanno questo incarico sono 216 e svolgono diverse funzioni: girano in macchina seguendo percorsi prestabiliti in ogni municipio (le nove zone in cui è divisa Milano) e poi controllano le strade a piedi, gli incroci, l’uscita dalle scuole e i mercati. Non sono funzioni del tutto nuove: gli agenti di polizia locale le svolgevano già, ma in modo più elastico, alternandole ad altri compiti.

Dallo scorso dicembre poi sono aumentati anche i vigili in servizio notturno: dopo diversi anni di confronti con il sindacato della polizia locale, il comune ha ottenuto di poter intervenire sul numero di vigili in strada di sera e di notte, raddoppiando il numero di pattuglie (che sono composte da due agenti) e passando da 13 a 26 (17 di sera, 9 di notte).

È ancora presto per dire se queste misure abbiano effettivamente funzionato, dal momento che ci vogliono mesi per avere un quadro completo e analizzare i numeri dell’anno precedente. Tuttavia, secondo gli ultimi dati diffusi dalla prefettura di Milano nel 2024 i reati, compresi quelli di strada, sono diminuiti rispetto al 2023. I reati complessivi accertati sono passati da 144.864 a 134.178, gli scippi e i furti per strada sono diminuiti del 10 per cento, i furti in casa e “con destrezza” sono diminuiti rispettivamente invece del 19,5 e del 17,5 per cento circa. Servirà più tempo per capire se questo calo sia parte di una tendenza più ampia.

A Milano negli ultimi anni il tema della percezione di insicurezza è stato in parte associato ai reati commessi da gruppi di giovani e giovanissimi, quelli che i giornali di solito chiamano “baby gang” e che di recente sono individuati dal termine “maranza”, giovani stranieri o italiani di seconda generazione che spesso commettono furti e che si riconoscono anche dall’abbigliamento (tute in acetato, scarpe da ginnastica, borsello e smanicato). A questo proposito qualche settimana fa è stata condotta un’operazione di polizia, presentata con toni piuttosto enfatici sia dal ministero dell’Interno che da Sala, che aveva portato all’arresto di 50 ragazzi che avevano compiuto scippi e rapine in strada e in metropolitana, e che facevano parte di un gruppo che riciclava gli oggetti rubati.

Negli ultimi mesi sui giornali locali e sui profili social legati a Milano si è molto parlato di un gruppo nato con l’obiettivo di organizzare delle ronde cosiddette “anti-maranza”, cioè dei pestaggi verso chi compie i reati di strada: sono state promosse da persone che ritengono che le forze dell’ordine non facciano abbastanza per contrastare questo genere di situazioni. Si ha notizia di almeno un pestaggio di questo genere, poi condiviso in video circolati sui social network. Secondo quanto scrive Repubblica alcune delle persone dietro ai profili social, poi chiusi, sarebbero state identificate dalla polizia che ha aperto un fascicolo per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.

– Leggi anche: Da dove viene la parola “maranza”

Tra le misure messe in atto a Milano, dallo scorso dicembre sono state create anche le cosiddette zone rosse. L’impulso di questa iniziativa non è del comune, ma del ministero dell’Interno, che aveva invitato i prefetti delle città a individuare zone in cui attuare maggiori misure di sicurezza (ma senza obblighi). Da allora sono state istituite zone rosse in diverse città, di grandi e medie dimensioni. Quando vennero annunciate furono molto contestate e discusse, anche dallo stesso Sala.

Con le zone rosse in sostanza le forze dell’ordine sono incentivate a sfruttare di più le possibilità già previste dal cosiddetto “daspo urbano”, ovvero un ordine di allontanamento da quella zone per un certo periodo di tempo verso alcune persone ritenute pericolose, ma sulla base di criteri un po’ vaghi. A Milano dovevano essere un esperimento temporaneo fino a marzo e inizialmente erano state istituite in cinque zone: attorno alle stazioni Centrale, Garibaldi e Rogoredo e Navigli, poi sono state estese anche alle zone delle Colonne di San Lorenzo e via Padova. Anche in questo caso non è ancora possibile stabilire l’efficacia di questa misura: secondo gli ultimi dati della prefettura, a marzo erano state identificate 132.742 persone ed erano stati emessi 1.313 ordini di allontanamento, cioè per meno dell’1 per cento degli identificati.