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  • Giovedì 17 aprile 2025

50 anni fa i Khmer rossi entrarono a Phnom Penh

In Cambogia finì la guerra civile ma iniziò uno dei regimi più violenti del Novecento, durato quattro anni

Un soldato dei Khmer rossi mentre ordina ad alcuni residenti di Phnom Penh di lasciare la città (AP Photo/Christoph Froehder)
Un soldato dei Khmer rossi mentre ordina ad alcuni residenti di Phnom Penh di lasciare la città (AP Photo/Christoph Froehder)
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Quando i Khmer rossi, sostenitori del Partito Comunista cambogiano, entrarono nella capitale Phnom Penh il 17 aprile del 1975, esattamente 50 anni fa, vennero accolti nella confusione e da un discreto entusiasmo. Nei cinque anni precedenti avevano combattuto una guerra civile contro il regime del maresciallo Lon Nol, sostenuto dal governo statunitense, e l’avevano vinta: dopo un lungo assedio Lon Nol, che era fuggito all’estero alcuni giorni prima, ordinò all’esercito di deporre le armi e consegnarle agli insorti, che entrarono in città senza combattere.

Il 17 aprile segna anche l’inizio del regime dei Khmer rossi, una delle dittature più violente del Novecento. Guidati da Pol Pot, il leader del movimento armato, governarono fino al 1979: in soli quattro anni il regime uccise un quarto della popolazione cambogiana (circa 2 milioni di persone) con numerose esecuzioni e mise in atto politiche che portarono moltissimi a morire per fame, malattie o per gli effetti dei lavori forzati.

Il motivo per cui inizialmente la popolazione salutò i Khmer rossi come dei liberatori è che era estenuata da anni di guerra civile, e sperava nella fine delle ostilità. In quegli anni inoltre era sconfinata in Cambogia anche la guerra del Vietnam, e il paese era stato colpito da estesi bombardamenti statunitensi, che avevano avuto effetti devastanti soprattutto sui civili. Ci volle poco però per capire che l’entusiasmo per la fine della guerra era malriposto.

Molti dei soldati dei Khmer rossi erano giovani provenienti dalle campagne, indottrinati o costretti ad arruolarsi: all’epoca il Time scrisse che alcuni di loro, una volta entrati in città, salirono sulle macchine e si schiantarono contro pali della luce o muri perché non sapevano guidarle; che saccheggiarono i negozi alla ricerca di orologi, e che lasciarono ori e gioielli perché non sapevano che farsene.

Giovani soldati dei Khmer rossi sul confine tra Thailandia e Cambogia nei giorni seguenti alla presa di Phnom Penh, 20 aprile 1975 (AP Photo/Sal Veder)

Le violenze contro i civili ricominciarono presto. Poche ore dopo essere entrati a Phnom Penh i Khmer rossi imposero l’evacuazione forzata dell’intera popolazione della città verso le campagne, dove sarebbe stata costretta a lavorare nei campi di riso e nella costruzione di un gigantesco impianto di irrigazione. Così come le altre città cambogiane, la capitale si svuotò completamente e fu descritta nei giorni seguenti come una «città fantasma» dai pochi giornalisti occidentali rimasti.

I Khmer rossi costrinsero chiunque ad andarsene, compresi i pazienti degli ospedali sovraccarichi. Articoli dell’epoca scrivono di dottori costretti a interrompere le operazioni per lasciare che i pazienti venissero trasferiti. Molti morirono per strada per la fatica, l’assenza di cibo o perché vennero uccisi nelle rappresaglie dei miliziani.

Intanto la maggior parte degli stranieri presenti in città, tra giornalisti, medici, personale delle ambasciate e cittadini comuni, cercò di lasciare il paese. Circa 1.300 stranieri e cambogiani che avevano collaborato con il governo precedente trovarono rifugio nell’ambasciata francese: rimasero chiusi dentro per 13 giorni senza acqua corrente. Poi i Khmer rossi arrivarono e ordinarono ai circa 500 cittadini cambogiani di lasciare il complesso e trasferirsi come gli altri nelle campagne. Gli stranieri vennero invece portati al confine con la Thailandia e lasciati andare.

I Khmer rossi nacquero nel 1968 come una divisione dell’Esercito Popolare del Vietnam del Nord. Il loro obiettivo era creare una società agraria completamente autosufficiente, in cui i vertici del partito controllavano tutti gli aspetti della vita dei cambogiani. La loro ideologia univa alcuni elementi del marxismo con una versione estremizzata del nazionalismo khmer, termine che indica il gruppo etnico più grande della Cambogia. In quegli anni le politiche del regime vennero paragonate a un gigantesco esperimento sociale, al pari di altri condotti nel Novecento nel nome di ideologie di vario tipo.

Nella Kampuchea Democratica, il nome che i Khmer rossi diedero alla Cambogia negli anni del regime, i vertici del partito controllavano ogni aspetto della vita dei cambogiani, reprimevano ogni forma di dissenso e perseguitavano le minoranze, soprattutto quella musulmana. Per il loro impianto repressivo fecero costruire prigioni e campi di sterminio in tutto il paese.

Rifugiati cambogiani dopo la presa di Phnom Penh, 25 luglio 1975 (AP Photo)

Il regime dei Khmer rossi fu rovesciato nel 1979 dall’intervento militare del Vietnam, un altro regime comunista che a quel tempo (erano gli anni della Guerra fredda) era appoggiato dall’Unione Sovietica. Pol Pot e gli altri leader dei Khmer rossi si trasferirono nelle foreste e nelle zone montuose al confine con la Thailandia, dove combatterono una guerriglia durata molti anni, con il sostegno degli Stati Uniti. Nonostante fosse alla guida di un movimento comunista, Pol Pot fu a lungo più o meno apertamente sostenuto dall’amministrazione statunitense durante e dopo la guerra del Vietnam. Il dittatore cambogiano era visto come un possibile argine a un’espansione vietnamita nell’area.

Pol Pot lasciò ufficialmente il comando militare nel 1985, ma restò molto influente anche negli anni successivi. Morì nel 1998.

Nel 2006 venne creato il Tribunale speciale per i Khmer rossi, un tribunale misto formato da giudici cambogiani e di altre nazionalità, istituito grazie a un accordo tra Cambogia e Nazioni Unite con lo scopo di processare i responsabili dei crimini compiuti durante la dittatura dei Khmer rossi. Dalla sua istituzione ha emesso condanne soltanto nei confronti di tre persone: Kaing Guek Eav, detto Duch, un ex direttore del carcere dei Khmer rossi, condannato a 35 anni per crimini contro l’umanità; Khieu Samphan, capo di stato del regime, e Nuon Chea, allora capo ideologo del partito, condannati per crimini contro l’umanità e per genocidio. Il tribunale ha esaurito il suo mandato nel 2023 e ora si occupa di alcune questioni residuali come la gestione degli archivi su quegli anni.